La fiera abbandonata di Palermo al centro della conversazione con alcuni lavoratori del collettivo del Teatro Mediterraneo Occupato. Video intervista
Siamo stati al TMO -Teatro Mediterraneo Occupato di Palermo lo scorso dicembre. In quell’occasione abbiamo avuto modo di conoscere lo spazio e raccontarlo, di lasciarci spiegare in questa intervista i presupposti e le modalità di conduzione dell’esperienza dell’occupazione per tentare di comprendere da dove e perché nasca non solo l’idea dell’ “appropriazione” di un luogo autogestito, ma di un luogo anti-canonico, in un certo senso assolutamente disfunzionale a un progetto culturale. L’occupazione di un padiglione della Fiera del Mediterraneo, iniziata nel dicembre del 2013 a distanza di qualche mese dalla fine di quella del Teatro Garibaldi (Teatro Garibaldi Aperto) di cui ha raccolto alcuni protagonisti, lascia facilmente dedurre il bisogno della creazione di una proposta parallela, «di avere in città un luogo polivalente e polifunzionale per la ricerca e la sperimentazione del teatro, delle arti visive e della musica […].Una sorta di vera e propria start-up culturale non autoreferenziale che possa raccogliere diverse maestranze cittadine, ospitando moltissime compagnie teatrali palermitane e siciliane, alcune delle quali pur avendo possibilità di debuttare in teatri “regolari” non trovavano spazio per le prove e la preparazione degli spettacoli; offrendo una “programmazione alternativa” a quella dei cartelloni teatrali cittadini, portando sul palcoscenico compagnie emergenti e non del panorama contemporaneo italiano, che forse difficilmente avrebbero avuto occasione di esibirsi a Palermo». Parole che non stupiscono in una città dove luoghi sterminati, potenzialmente validissimi come i Cantieri Culturali della Zisa pur destinati alla cultura, restano per la gran parte inutilizzati e riversano in condizioni fatiscenti. Ogni contesto ha la sua conformazione ed in questo senso ogni occupazione ha la sua storia, tuttavia questioni di gestione amministrativa e pantani di responsabilità diffuse, per cui è spesso comune la difficoltà di stabilire rapporti di causa ed effetto, si trovano anche in situazioni territoriali molto diverse tra loro sempre più facilmente in antitesi con nuovi tentativi di definizione della politica culturale. Non ricorrono a caso i concetti di “bene comune” e “produzione dal basso”. Pochi giorni dopo la registrazione di queste immagini è giunta la notizia dello sgombero impellente. In proposito uno dei responsabili dello spazio spiega: «Abbiamo ricevuto per il 14 gennaio un’ingiunzione di sgombero coatto che ad oggi non è avvenuto anche se non è stato revocato. L’attività del Teatro Mediterraneo è continuata regolarmente durante tutto il mese di gennaio, sia con la programmazione sia con la formazione. Ci è stato rimproverato di “sbigliettare” quando è pacifico che esiste un contributo di complicità, utile a stento a sostenere le spese dello spazio e pagare gli artisti che si esibiscono». Con la spada di Damocle che pende sulla testa del collettivo, restiamo a vedere se realmente le circostanze potranno rappresentare il punto di partenza di una “connivenza” virtuosa tra sistema istituzionale e iniziativa laterale, visto che « Il Teatro Mediterraneo Occupato, così come altri in Italia (vedi l’ex Asilo Filangeri di Napoli), si auspica non una assegnazione, ma il riconoscimento dello spazio da parte dell’amministrazione come bene comune ad uso civico, di modo che il Comune diventi il garante stesso del processo: lo spazio si riconsegna all’amministrazione, la quale a sua volta si impegna a pagarne le utenze e a lasciare che questo sia gestito da una assemblea permanente di “persone fisiche” responsabile delle sue attività culturali. Il TMO potrebbe così divenire l’unico luogo della città dove sarà possibile attuare nuove politiche di produzione culturale». [Marianna Masselli]
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