Teatrosofia esplora il modo in cui i filosofi antichi guardavano al teatro. Oggi cominciamo a parlare di Socrate.
In Teatrosofia, rubrica curata dal nostro redattore Enrico Piergiacomi – dottorando di ricerca in filosofia antica all’Università degli Studi di Trento – ci avventuriamo alla scoperta dei collegamenti tra filosofia antica e teatro. Ogni uscita presenta un tema specifico, attraversato da un ragionamento che collega la storia del pensiero al teatro moderno e contemporaneo.
È noto che Socrate non scrisse nulla. Chi dunque intenda ricostruire il suo pensiero è costretto a cercare di ricavare un profilo il più possibile unitario dalle molteplici immagini che gli autori antichi hanno consegnato a noi contemporanei. Essenziali si rivelano in tal senso soprattutto le opere dei discepoli diretti di Socrate, quali Platone, Senofonte e i Socratici cosiddetti “minori” (Aristippo, Antistene, etc.) che, pur non offrendo una testimonianza neutra, restano pur sempre più storicamente affidabili delle informazioni ricavabili da quanti non conobbero il filosofo dal vivo. Aristotele, Plutarco e tanti altri autori posteriori di “immagini socratiche” potrebbero dipendere quasi interamente dalle opere di costoro, quindi non aggiungere qualcosa di più a quanto queste già ci riportano.
Tale premessa metodologica permette di capire che una ricostruzione del rapporto di Socrate verso gli attori e il teatro incorre negli stessi problemi. Le fonti ci consegnano tante immagini, non del tutto conciliabili tra loro. Occorre perciò vedere il contenuto di ciascuna testimonianza singolarmente, per poi riunire le varie informazioni in un ritratto composito e complesso.
Su una cosa tutte le fonti antiche sono però d’accordo. Fu appunto il teatro ad alimentare i capi di accusa del processo che portarono Socrate alla morte, vale a dire l’aver corrotto i figli della buona aristocrazia ateniese e l’aver introdotto nuove divinità, dimostrando l’inesistenza di quelle vecchie con le indagini naturalistiche. Ad esempio, ne Le Nuvole Aristofane rappresenta il filosofo nell’atto di ridurre Zeus a un turbine, oppure mostrano come i giovani che entrarono in contatto con lui, simboleggiati nella commedia da Fidippide, si ribellarono presto all’autorità e impararono delle pericolose tecniche antilogiche, con cui dimostravano che è giusto picchiare il proprio padre e sovvertire le leggi degli avi. La pericolosità oggettiva delle accuse alimentate dai comici è poi confermata dal fatto che tutti i Socratici tentarono di negare l’immagine del Socrate empio e corruttore, sottolineando la pietà religiosa e la sua alta levatura etica, che lo portò a coniare dei principi di ferrea morale quale «è meglio subire un’ingiustizia che commetterla». Questo assenso comune delle fonti può essere allora presa quale genuino punto di partenza per l’indagine, nello specifico per sollevare il problema chiave che ci interessa: Socrate fu o no influenzato dalla persecuzione dei comici, nel suo atteggiamento verso il teatro e gli attori?
Rimandando ai prossimi appuntamenti l’esame delle testimonianze degli allievi diretti, va qui preliminarmente notato che le fonti stavolta divergono in maniera considerevole. In esse convive l’immagine di un Socrate che si diverte insieme agli altri spettatori delle rappresentazioni comiche, che non si lascia quindi coinvolgere dalle calunnie e si abbandona al gioco della scena, e l’immagine di un Socrate che si oppone, con composto ma deciso silenzio, alle calunnie che gli sono lanciate. L’oscillazione si riscontra pure nei tardi aforismi di Stobeo che il filosofo certamente non pronunciò, che ora gli mettono in bocca delle metafore teatrali di chiara edificazione morale, ora dei vitrei paragoni dell’attore che recita con l’ignorante. Potrebbe darsi che i due atteggiamenti non siano tra loro contraddittori, che Socrate amò e disprezzò gli spettacoli in diverse circostanze concrete, così come che solo l’immagine del filosofo ostile al teatro o solo l’immagine del filosofo che riesce nonostante tutto a gradirlo sia vera. Ma in assenza di dati precisi e sicuri, è più prudente per il momento limitarsi a sollevare e abbracciare il mistero.
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SOCRATE: Quando si sono ben riempite d’acqua, e sono costrette a muoversi gonfie di pioggia, pendono per forza verso il basso: allora precipitando pesantemente l’una sopra l’altra, scoppiano con gran fragore.
STREPSIADE: Già: e a muoversi chi le obbliga, se non Zeus?!
SOCRATE: Minimamente: l’etereo Turbine, invece!
STREPSIADE: La turbìna? Questa non la sapevo: non c’è più Zeus, ma al posto suo ci governa una turbina! (Aristofane, Nuvole, vv. 376-381)
FIDIPPIDE: Innanzitutto, ti voglio fare una domanda: quando ero bambino, me le davi?
STREPSIADE: Io sì, ma a fin di bene: lo facevo per te!
FIDIPPIDE: Allora dimmi: non è giusto che anche io lo faccio per te e ti suono? Darle, non significa farlo a fin di bene?! Come pretendi che la tua pelle sia esente da mazzate e la mia no? Sono nato libero pure io, accidenti! «Piangono i figli, non dovrà piangere il padre?». Dirai che, secondo l’uso, i bambini si trattano così. Ti rispondo: «Due volte bambini sono i vecchi». È naturale che i vecchi ne prendano più dei giovani, visto che meno dovrebbero sbagliare.
STREPSIADE: Secondo l’uso! A quale padre è capitato questo?
FIDIPPIDE: E non era un uomo, come me e te, chi fece questa legge, ai tempi suoi? A forza di chiacchiere, la fece approvare dagli avi. Perché non dovrei farla pure io, una legge nuova per i figli? Che vale da oggi in poi: restituire le mazzate ai padri. Quelle prese prima di fare la legge, passiamoci sopra: gli concediamo di avercele suonate, gratis. Ma guarda i galli, tutti gli animali di questa terra, come tengono testa ai padri: sono fatti come noi, salvo la smania di fare leggi! (Aristofane, Nuvole, vv. 1408-1429)
E quando Aristofane mise sulla scena le Nuvole, nelle quali versava su di lui ogni sorta di maldicenza, vi fu qualcuno dei presenti che gli disse: «Non sei dunque indignato, Socrate, che quello rappresenti sulla scena tali cose?». «No di certo» rispose «perché sono punzecchiato sulla scena come in un grande banchetto» (Plutarco, Sull’educazione dei fanciulli, 10c)
I motteggi e le calunnie, a mio avviso, non possono nulla: se infatti si scontrano con una reputazione salda, essi svaniscono; se invece si scontrano con una reputazione ignobile e miserevole, si rafforzano e non solo provocano dolore, ma spesso si uccidono. La prova di ciò è nel fatto che mentre Socrate rise di essere stato messo sulla scena, Poliagro invece si impiccò (Claudio Eliano, Storie varie V 8)
Essendo dunque Socrate messo alla portata di tutti sulla scena ed essendo spesso fatto il suo nome, non mi meraviglierei che fosse ben visibile fra gli attori…; ma i forestieri non conoscevano il personaggio preso in giro e quindi rumoreggiavano e cercavano di sapere chi mai fosse questo Socrate. Quando Socrate si accorse di ciò (egli infatti era presente, non invano né a caso, ma ben sapendo che era lui il personaggio preso in giro: e per questo sedeva in un posto ben in vista in teatro), per sciogliere il dubbio dei forestieri, stando in piedi per tutta la durata del dramma, mentre gli attori gareggiavano, si offriva ai loro sguardi. Di tanto prevaleva in Socrate il disprezzo della commedia e degli Ateniesi (Claudio Eliano, Storie varie II 13)
Propria dell’anima è una ragione che fa crescere se stessa. Nella vita come nelle scene, bisogna far dire le cose più importanti non al più ricco ma al più saggio. (Stobeo, III 1.180)
Nella vita come nel teatro bisogna rimanere fintantoché è piacevole la visione delle cose. (Stobeo, IV 53.39)
La vita degli ignoranti implica, come quella dell’attore, molte vesti di ricambio della vanità. (Stobeo, III 4.59)
[Ad eccezione delle opere di Senofonte e di Platone, che vanno consultate a parte, le fonti antiche su Socrate sono raccolte nel primo volume di G. Giannantoni, Socratis et Socraticorum Reliquiae, Napoli, Bibliopolis, 1990. Invece le traduzioni dei passi citati sono tratte da G. Giannantoni (a cura di), Socrate. Tutte le testimonianze da Aristofane e Senofonte ai padri cristiani, Bari, Laterza, 1971]
Enrico Piergiacomi
Twitter @Democriteo
Attendo con ansia le prossime puntate.
Per il momento mi piace pensare che Socrate mostrasse di divertirsi nella circostanza di uno spettacolo bello e che si ergesse provocatore quando lo spettacolo era brutto!
Per quel che riguarda l’ultimo aforisma di Stobeo, invece, mi sembra lo si possa leggere come un semplice esempio: ignoranti cambiano faccia per natura così come gli attori cambiano maschera per necessità di mestiere.
Un saluto
Claudio
Caro Claudio,
ecco, la tua è una nuova – e stimolante – “immagine” di Socrate! Se hai ragione, avremmo di fronte un filosofo che è sensibile al teatro e ostile allo spettacolo – cioè all’apparato che non manifesta nulla di vitale o di “teatrico”. Inutile che ti dica, comunque, che questo (come ogni altro discorso su Socrate) è e resterà un’ipotesi che non si potrà dimostrare con sicurezza.
Non avevo invece considerato l’interpretazione che proponi della massima di Stobeo. Ci rifletterò su, perché la tua idea ristabilisce il paragone con l’attore in termini positivi, dunque cancella l’oscillazione tra le fonti gnomologiche. Le ripercussioni sono potenzialmente enormi, perché viene meno uno dei miei argomenti a favore dell’esistenza di un’immagine di Socrate ostile al teatro. E come vedrai nei prossimi appuntamenti, questa è quasi del tutto assente in Senofonte, Platone e Socratici “minori”. Un caro saluto e grazie,
Enrico.