Teatro in video 16° appuntamento. Totò, principe di Danimarca di Leo de Berardinis
Pochi sono gli artisti che l’epoca successiva riconosce al punto di chiamare per il solo nome di battesimo. E allora oggi parliamo di Leo che qualche giorno fa avrebbe compiuto 75 anni, unitamente al cognome che ha portato per l’intera vita: de Berardinis. O, meglio, non li avrebbe compiuti qualche giorno fa se fosse effettivamente morto con il proprio teatro; è invece una forza incredibile quella che permette alla sua memoria di restare in vita come un residuo di metodo. Ma il suo contrario, forse, è ciò che meglio attiene alla sua arte, una follia in cui sia tracciabile un certo nesso, per dirla col Polonio del suo caro Amleto, capace di cogliere in una frase ogni cosa del principe, tranne una, che l’avrebbe ucciso. Ma qui non si parla di Amleto, si parla di Leo. Eppure, possiamo forse dire non sia lo stesso? Leo de Berardinis è stato l’artista che meglio di ogni altro ha incarnato il nuovo corso del teatro tardo novecentesco in Italia, colui che ha spezzato definitivamente l’impianto della rappresentazione per farne presentazione, promessa e riflesso d’esistenza, mimesi e non ripetizione. Nel tempo che andava corroborando fino a inverosimili presagi il concetto di riproducibilità tecnica, nel teatro si allargava l’idea che essere o non essere fosse proprio il problema, ma essere in scena, attore, contemporaneamente al personaggio che si andava a interpretare o, da allora con più precisione, al ruolo cui si assegnava il compito di manifestare la propria presenza nell’opera.
Nella sua ultima versione dell’Amleto (ce ne saranno quattro in tutta la carriera), quel tentativo di commistione fra cultura alta e popolare è evidente fin dal titolo: Totò, principe di Danimarca (1990). Nelle note dello spettacolo è lo stesso Leo a dire con acuto puntiglio: «Sono due mie componenti come di qualsiasi altro uomo. E nello stesso spettacolo è come se Totò sognasse Amleto e Amleto sognasse Totò. Non c’è nessuno spazio per la parodia», e come dargli torto? C’è forse parodia in un uomo che interpreta sé stesso? C’è dedizione e sacrificio, c’è il rischio continuo di fallire intrecciando i due piani fino a disperderli, fino alla cancellazione del naturalismo in virtù della flessione nel proprio corpo.
In una delle ultime interviste, rilasciata ad Antonio Cipriani e da poco fruibile, immaginiamo abbia pronunciato con la voce definitiva del monologo principale dell’Amleto che «il teatro toglie la vigliaccheria del vivere, toglie la paura del diverso, dell’altro, dell’ignoto, della vita, della morte». È allora morto, Leo de Berardinis? No, è teatro.
Simone Nebbia
Twitter @simone_nebbia
qui il link alla versione completa e a colori
TOTÒ, PRINCIPE DI DANIMARCA
testo Leo de Berardinis
regia, luci, spazio scenico, colonna sonora Leo de Berardinis
interpreti Antonio Neiwiller, Elena Bucci, Bobette Levesque, Marco Manchisi, Francesca Mazza, Marco Sgrosso e Paola Mandelli
produzione Teatro di Leo
Andato in scena per la prima volta al Teatro Politeama di Asti il 5 ottobre 1990
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Questa è la registrazione dello spettacolo a Bologna nel teatro di Leo nel 1998
con tra glI altri:
Ilaria Drago e Fabrizia Sacchi.