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Rialto Mon Amour. La danza di Arcalòh

Con una serie di interviste agli artisti in scena e in residenza, raccontiamo la nuova stagione del Rialto Santambrogio di Roma

I contenuti di questo articolo sono stati realizzati in coproduzione con il Rialto Santambrogio.

foto ufficio stampa
foto ufficio stampa

Il primo appuntamento che presentiamo è una prima assoluta, due nuovi soli della compagnia Arcalòh, composta dalla performer/danzatrice newyorkese Melissa Lohman e dal danzatore e coreografo italiano Flavio Arcangeli, che abbiamo incontrato per approfondire alcune questioni che ci paiono centrali per la conoscenza del linguaggio che usano, quello della danza.

Flavio, come è nato il sodalizio tra te e Melissa Lohman e la compagnia Arcalòh?

Abbiamo iniziato a collaborare nel 2011 come solisti, quando Melissa è stata invitata alla rassegna internazionale di danza butoh, Trasform’azioni, della compagnia Lios fondata nel 2000 insieme a Alessandra Cristiani, Maddalena Gana, Manuela Giovagnetti, Samantha Marenzi, Marie-Therese Sitzia, Stefano Taiuti presso il Teatro Furio Camillo di Roma. Nel 2011 abbiamo creato insieme il nostro primo spettacolo, Traslato, ospitato al Teatro dell’Orologio e ai Magazzini della Lupa di Tuscania. Nel 2012 è stata poi la volta di Menade, che ha debuttato al Teatroinscatola di Roma. Dall’incontro con la poesia di Marcello Sambati e sotto la sua regia abbiamo avuto modo di produrre nel 2013 Esitazioni, che metteva in comunicazione la nostra danza con i versi e le elaborazioni sonore di Sambati. È da qui che nasce formalmente la compagnia Arcalòh, grazie proprio al sostegno della compagnia di Marcello Sambati, Dark Camera.

Hai citato l’interessante esperimento di Esitazioni con Marcello Sambati, che tra l’altro con la sua Dark Camera sostiene anche questo lavoro. Che differenza c’è tra danzare un solo, danzare un passo a due e danzare in relazione con altri input artistici?

Marcello ci sostiene anche in questo lavoro, anche se in questa occasione non ci ha seguito di persona, è comunque per noi un punto di riferimento e un occhio esterno. Nella creazione del solo il performer è sia l’oggetto che il soggetto artistico. Questo è un fatto eccezionale. Considerare il corpo come materia in sé è un punto di partenza che apre infinite possibilità. Si va oltre le categorie di danza, teatro, arti visuali, etc.
Danzare in due comporta non soltanto una relazione con l’altro, con un corpo differente, un altro essere che ha un proprio modo di pensare e di reagire, ma anche una relazione con lo spazio tra i corpi. Come in un quadro, ci sono pieni e vuoti in connessione continua tra loro. Riguardo altri input artistici, anche lì, si tratta di uno scambio. Per esempio, durante le prove per Esitazioni, Marcello ci ricordava che i corpi danzanti e le loro azioni erano solo una parte della composizione, insieme alla sua voce, i suoni, lo spazio, la luce.

Due parole a proposito di Due Studi, la creazione che portate al Rialto Santambrogio.

Il lavoro che portiamo al Rialto è una serata di due soli. Il primo pezzo di Melissa è nato dalla sua collaborazione come danzatrice con il fotografo Paolo Porto nel progetto su L’Aquila post-terremoto, Pressoché Ignuda (una serie di fotografie scattate con diverse danzatrici negli spazi disastrati del capoluogo abruzzese, ndr). Melissa ha preso come punto di partenza un immagine di se stessa in un palazzo nobile in rovina e in abbandono. Girata di schiena, non più individuo, senza volto, neanche la testa visibile, più creatura o fantasma. Nel secondo pezzo io sviluppo una coreografia dallo spettacolo Menade (2012), si tratta di uno studio sulle figure mitologiche di menadi e satiri.

In un’epoca in cui molte delle difficoltà delle arti performative provengono da divisioni in categorie, che cosa significa per voi teatro, danza e teatro danza?

Entrambi abbiamo una formazione che risente di influenze diverse. Melissa è laureata in belle arti a New York e fa una ricerca anche con la danza, la voce, la musica e la recitazione. Io ho una laurea in architettura, sono anche pittore e lavoro come macchinista teatrale. Anche se comprendiamo il bisogno di definire i diversi ambiti, in realtà nel nostro lavoro questi risultano sempre molto fusi tra loro. Guardare all’esterno ed essere aperti il più possibile è una necessità. La nostra relazione con il teatro danza esiste certamente. Nasce dal nostro incontro con il butoh. Alla fine degli anni Cinquanta in Giappone questa forma nuova di danza è stata fortemente influenzata dall’espressionismo tedesco, così come anche il Tanztheater Wuppertal di Pina Bausch.

Avete o avete avuto esperienze anche all’estero? Se sì, che differenza avete trovato nella ricezione del vostro lavoro? Un breve commento sullo stato dell’arte della produzione e della distribuzione della danza in Italia.

Melissa ha vissuto e lavorato soprattutto a New York, mentre io ho portato il mio lavoro in Francia e Spagna. L’aspetto economico è un problema un po’ ovunque in questo momento. Però possiamo dire che fuori dall’Italia c’è sicuramente più interesse al lavoro corporeo. Esiste una produzione e una distribuzione della danza in Italia? Se esiste è riservata a pochi.

Redazione

vai alla pagina sul sito del Rialto Santambrogio

DUE STUDI
di e con Flavio Arcangeli e Melissa Lohman
produzione Compagnia Arcalòh
con il sostegno di Dark Camera e Rialto Santambrogio

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