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Rialto Mon Amour. Bartolini/Baronio: tutorato e residenza

Con una serie di interviste agli artisti in scena e in residenza, raccontiamo la nuova stagione del Rialto Santambrogio di Roma

I contenuti di questo articolo sono stati realizzati in coproduzione con il Rialto Santambrogio.

Foto Bartolini/Baronio
Foto Bartolini/Baronio

Abbiamo incontrato Tamara Bartolini e Michele Baronio in residenza per le prove di Passi. Una chiacchierata stimolante per approfondire inoltre l’impegno del tutorato, il lavoro dell’autoproduzione e riflettere sulle opportunità che offrono i percorsi residenziali.

Tamara, dopo PercorsiRialto hai proseguito la strada del tutorato, come si articola e come si è articolata a partire dal 2012?

Tamara: PercorsiRialto è un Centro di Formazione Teatrale nato nel 2012 da me, Lucia Calamaro, Federica Santoro, Lisa Ferlazzo Natoli, Casa d’ Argllia e Tony Clifton Circus.Volevamo abbracciare un percorso di formazione e abbiamo deciso di farlo qui al Rialto restituendo le nostre esperienze ai giovani artisti. Come se fossimo stati chiamati a metterci tutt’ insieme attorno a un tavolo, a tessere un filo, intrecciandoci con la storia nuova. Il tutorato è nato spontaneamente, proponendo un’offerta formativa di tipo autoriale che abbia come finalità l’accompagnamento di giovani artisti alla regia, permettendo loro di produrre un lavoro di 10 minuti che sia quindi una personale urgenza creativa. Io sto accompagnando due ex allieve di Percorsi: Françoise Boucaud che ha lavorato a Bologna con Roberto Latini e presenta un lavoro maturo incentrato sulla sua biografia; e Roberta Guccione, il suo è un progetto già presentato al pubblico, nato da una penna tragicomica e grottesca. Noi le accompagniamo, ma il lavoro è tutto nelle loro mani, tanto le visioni quanto le cadute.

Dal 2009 avete costituito il sodalizio Bartolini/Baronio, come lavorate ai vostri spettacoli e cosa significa per voi l’autoproduzione?

Tamara: La maggior parte degli artisti che viene dal teatro indipendente ha vissuto e continua a vivere di autoproduzione, lo fa anche a seguito del riconoscimento istituzionale perché  gli arretrati dei tuoi investimenti restano come dato economico importante e imprescindibile. Autoproducendoti ti sei sobbarcato delle spese, soldi che poi non ti rientreranno mai, anche quando sei visibile e programmato. Nonostante questo l’autoproduzione rappresenta una grande opportunità per poter immaginare di dire la propria, creando qualcosa che ti appartiene, che è veramente tuo! Ne deriva che nella giornata tipo inserita all’interno della dinamica autoproduttiva, si lavora per lavorare, procurandoti opportunità parallele allo spettacolo che ti possano permettere di sopravvivere e comprare i materiali. L’autoproduzione crea in fondo progettualità. Collaboriamo poi da anni con la Sycamore T-Company, da qualche mese abbiamo invece instaurato una nuova produzione con 369gradi grazie alla quale partiremo per una residenza ad Agliana. Siamo anche compagnia residente a Carrozzerie N.O.T , un luogo che sta cercando di andare in una direzione di accoglienza sia durante le prove che per la messinscena. E poi qui, al Rialto, dove abbiamo l’opportunità di provare per dieci giorni il nostro progetto Passi grazie anche alla collaborazione con Alessandra Cristiani.

Michele: Inoltre l’autoproduzione sviluppa sicuramente delle competenze a partire da quelle organizzative a quelle tecniche, toccando tutti i punti dell’iter di creazione di uno spettacolo. Questi i lati positivi, quelli negativi? Una vita e un lavoro sul baratro: qualsiasi imprevisto è da scongiurare..

Quant’ è importante per voi la possibilità di usufruire di un percorso di residenza?

Michele: All’inizio la residenza ha rappresentato una proposta per uscire dall’impasse della mancanza di spazi dove provare, le cui spese erano a carico degli artisti. Ora questa necessità è stata soddisfatta ma si è bloccata la possibilità di un rilancio, ci si ferma là, non esiste il passaggio successivo di un tempo retribuito. Un ragionamento di politica culturale positivo e indispensabile ma che si è accomodato.

Qualche parola su Passi

Tamara: Si è arrivati a questo lavoro attraverso una lunga serie di collaborazioni. Lo studio di Passi inizia addirittura nel 2011, arrivando in finale al Premio Dante Cappelletti senza però vincere. Da qui la decisione di fermarlo, di non lavorarci più, portando avanti altri progetti com’era stato Red Reading al Teatro Argot Studio. L’abbiamo poi ripreso mandandolo al Premio Dominio Pubblico Officine e vincendolo ci siamo decisi a riaprirlo finalmente per dargli compimento. Il premio prevede un sostegno alla produzione e assicura, dopo il debutto in regione col sostegno della ATCL, tre date a cachet e una residenza di 10 giorni a Kilowatt da svolgere in questo periodo poiché il debutto è fissato al 24 febbraio nella stagione di Dominio Pubblico. Passi è una confessione che attinge al materiale autobiografico, ma lo tradisce reinventandolo. L’urgenza è quella di raccontare l’inadeguatezza del tempo fatta di costrizioni e sovrastrutture, è una ferita generazionale. Quando qualcosa si rompe hai due alternative: o rimane tutto com’era o rinasci!

Michele: Uno spettacolo analogico che si basa sull’arrangiarsi. Il materiale povero, grezzo credo offra stimoli maggiori come materiale creativo. Passi è un diario, un’esposizione di vita e della natura umana, e scenicamente si adatta a un aspetto più performante.

Redazione

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