Filippo Gili presenta al Teatro Argot Dall’alto di una fredda torre con la regia di Francesco Frangipane
Siamo immersi in una bolla di attesa, aspettiamo che i due prendano una decisione, attendiamo che essa prenda corpo in modo vivido di fronte ai nostri occhi. Siamo noi a dover giudicare? Che cosa siamo noi? Pubblico generico, giudici popolari, un assembramento di testimoni, uomini che guardano altre creature vivere nei momenti in cui la vita mostra la faccia più scura? Noi, disposti sui due lati di questo esperimento, chi siamo? Dietro i vetri di una casa borghese, rappresentata con alcuni suppellettili al Teatro Argot Studio di Roma – tavolo centrale, divano e poltrona da un lato – ci troviamo a spiare, senza farci sfuggire niente. Morbosi, ci riconosceremo, mentre di fronte a noi si consuma una tragedia privata, guardiamo le reazioni degli altri spettatori sistemati nel lato opposto al nostro: una coppia di mezza età non fa altro che stringersi le mani, sono vicini e sono presi nel dramma, sembra si facciano forza e in silenzio si dicano: «A noi questo non succederà».
È evidente nel testo di Filippo Gili la volontà di intraprendere la strada della tragedia: come accadeva in Prima di andar via, anche in Dall’alto di una fredda torre la monotonia quotidiana della tipica famiglia della classe media italiana si scioglie immediatamente a contatto con una notizia infausta. I due genitori poco più che sessantenni sono affetti dallo stesso morbo, con le probabilità di una doppia vincita alla lotteria, la rarissima malattia li ha colpiti entrambi e nello stesso momento. Può salvarli solo una donazione di staminali proveniente dai due figli. Ma solo uno dei due può donare il midollo: per una svista del destino, per un errore genetico − come accadrebbe agli eroi dei tragici greci − fratello e sorella trentenni si ritrovano così di fronte a una scelta, a un bivio che inizialmente presenta due strade, indicandone poi una terza, quella socialmente più inaccettabile. In realtà essa è nell’ombra sin dall’inizio, ne sentiamo un’eco in lontananza, è quasi un fantasma; come l’immagine sfocata e altrettanto inaccettabile di una possibile relazione incestuosa tra i due fratelli, anche questa rimasta a mezz’aria. E la qualità della scrittura di Gili sta ancora una volta nella sospensione del tragico, proprio nel lasciare certe possibilità tra la nebbia e capire se e quando dar loro concretezza.
Tra la filigrana di un tessuto verbale quasi sempre convincente si inserisce un lavoro attoriale di pregio al quale la regia di Francesco Frangipane chiede di scommettere su una recitazione naturalistica, a costo di parlare durante la deglutizione o lasciando talvolta che le emozioni si portino via tratti di intelligibilità. Eppure in certe scoppi di ira, forse troppo manifesti nella voce, e nell’attesa finale, lunghissima, complice un dialogo di troppo tra i due dottori che aspettano un cambio di decisione da parte dei fratelli − perché secondo la dottoressa ci sono leggi etiche da rispettare e bisogna sempre cercare di salvare una vita quando è possibile − qualcosa si spezza e lascia pesare l’assenza di un cambio di registro. Rimaniamo intrappolati nella bolla, in attesa che diventi più vera della realtà senza riuscirci, non ci resta che continuare a osservare da dietro il vetro.
Andrea Pocosgnich
Twitter @andreapox
guarda il video su e-performance.tv
visto al Teatro Argot nel mese di gennaio 2015
DALL’ALTO DI UNA FREDDA TORRE
produzione Progetto Goldstein/Argot Studio/Uffici Teatrali
di Filippo Gili
regia Francesco Frangipane
con Massimiliano Benvenuto, Ermanno De Biagi, Michela Martini, Aglaia Mora, Matteo Quinzi, Barbara Ronchi
scenografia Francesco Ghisu
musica Jonis Bascir
luci Giuseppe Filipponio
Scrittura efficace ed elegante (anche troppo dotta nei colloqui che coinvolgono i due medici, estremamente compiaciuti ed autoreferenziali), regia “alla Bergman” e un sestetto di attori di livello (bravissimo DI Biagi) non credo siano sufficienti per raggiungere le vette di “Prima di andar via”: si assiste al dramma con distacco e scarsa partecipazione, con l’attenzione che un entomologo riserva ai suoi insetti e non con il coinvolgimento emotivo che ci si aspetterebbe. Il pathos galleggia, tra una crostata e una sigaretta, ma non passa.
HO visto tutti e due i lavori di Gili-Frangipane. Non è il teatro che più amo ma questo spettacolo mi è piaciuto più del primo. Credo che il tema mi abbia coinvolto di più rispetto a quello del suicidio. Mi ha sorpreso vedere una messa in scena praticamente identica all’altra, cambiano le parole ma atmosfera e disposizione elementi sono identici ( solo a tavola vanno snocciolati i grandi temi della vita?) Ho trovato superflui i personaggi dei medici ( il medico uomo poi del tutto inutile) messi li per dare probabilmente più brio alla storia ma a pensarci la storia potrebbe andare avanti anche senza di loro e quando è così i personaggi sono inutili. Bravi gli attori, tra i due figli sono entrato più in empatia con la ragazza (davvero brava), il fratello mmi ha lasciato un pò distante. Nel complesso però uno spettacolo ben confezionato.