Teatro in video 14° appuntamento. Natale in Casa Cupiello. Un estratto dall’originale di Eduardo De Filippo e una recensione della versione di Antonio Latella, al Teatro Argentina di Roma.
Per la quattordicesima uscita della nostra rubrica dedicata a ciò che il canale video più popolare della rete può offrire agli appassionati dei grandi maestri di teatro, abbiamo voluto costruire un piccolo ponte tra passato e presente, recuperando il frammento finale della registrazione realizzata dalla Rai nel 1977 e mettendo a confronto quelle immagini e qualche ragionamento con una visione della più recente produzione, a cura del Teatro di Roma per la regia di Antonio Latella.
« […] E quando, nel dicembre del 1981, lì su una bancarella, tra Madonne, San Giuseppi, angeli e zampognari, vidi anche la figurina di Eduardo, mi resi conto che egli era entrato nel mito popolare, in quel mondo onirico, nel presepe, codice collettivo di segni, di sogni, in cui molto di rado viene assunto qualche personaggio storico. Aveva indosso la lunga camicia da notte, uno scialletto sulle spalle, la berretta in testa, i piedi nudi e le braccia aperte: non c’erano dubbi, Eduardo era entrato nella tradizione con l’abito di Luca Cupiello, quella sua creatura che espresse al meglio il significato profondo del Natale, quell’angoscia di morte contrapposta alla Nascita divina, sospinta verso l’infanzia con lo struggimento di un bramato ritorno, nel segno emblematico di una grotta centrale, ventre materno donde nasce il Sole e in cui si rientra dopo la morte […]». Ci torna alla mente questo stralcio de Novena ed egloga per Eduardo di Roberto De Simone, scritto che funge da prefazione all’edizione Einaudi del 2000 di Natale in casa Cupiello di Eduardo De Filippo e decidiamo con cognizione di evitare di addentrarci ora in notazioni storiche o sinottiche.
Sino al 1 gennaio l’opera abiterà – inserendosi nel ciclo di attività e spettacoli per celebrare il trentennale dalla morte del drammaturgo-attore Roma per Eduardo – il palcoscenico del Teatro Argentina con la regia di Antonio Latella, per la prima volta impegnato in un allestimento eduardiano. Chi conosca un minimo il percorso del regista napoletano si sarà certo incuriosito sulla lettura che una certa forma, diremo di espressionismo, ormai consolidata come stile, avrebbe potuto lasciar germinare in relazione a uno dei testi più conosciuti dell’autore; si sarà interrogato su possibili elisioni e stravolgimenti, avrà temuto o agognato prima di entrare in sala di perdere le fila del conosciuto. Qui di fatto della vicenda nulla si perde: Luca Cupiello è ancora intento nella preparazione del presepe e la moglie Concetta è ancora l’asse su cui grava la congiunzione tra lui, la recalcitranza a tratti infantile del figlio Tommasino – sempre in conflitto con lo zio Pasquale – e l’insoddisfazione della figlia Ninuccia per il matrimonio con il ricco commerciante Nicola Percuoco, sfociata poi nel tradimento col giovane Vittorio Elia, quale molla che lascia scattare il meccanismo decisivo di turbamento dell’apparente equilibrio familiare sino al tracollo. Il lavoro di Latella, tuttavia, denuncia sin dal principio la propria vocazione allo scardinamento della pedissequa riproduzione, inserendosi in tal modo tra fedeltà e reinterpretazione attraverso un processo cui non mancano elementi più o meno destabilizzanti che contribuiscono al comporsi di un impianto nel complesso abbastanza stratificato e non necessariamente di immediato assorbimento, con influssi e rimandi kafkiani, brechtiani e collegamenti al melodramma rossiniano.
La canonica divisione in tre atti viene adattata in una architettura per quadri con un cambio scena tra il primo e il secondo e un’unica cesura prima del terzo. Imperante sulla fruizione l’aspetto visivo che rende la scenografia di Simone Mannino e Simona D’Amico un efficacissimo corrispettivo delle interpolazioni semantiche a caratterizzare la prospettiva materica e concettuale che la pièce assume. In una dimensione ove la morte incombe e si insinua progressivamente fra il nero delle fibre degli abiti e i colpi di tosse di Luca, il miraggio della stella cometa è la concretizzazione di un vessillo enorme fatto di fiori gialli, sfondo trionfale e inquietante dell’iniziale paralisi del movimento; la preparazione della cena di Natale è l’avanzare di un cocchio funebre verso il patibolo dell’armonia irreale e irrealizzabile, è l’orgia simbolica, cadenzata da suoni sintetici e forsennati, di fantocci animaleschi della tradizione (cammello, tacchino, cappone, gallina, maiale, ecc.) che finiscono stipati nel vetro di una teca a far da letto a un sonno irreversibile, viatico dell’acme di una seduta quasi messianica in cui l’avvento si conclama e la Nascita si compie attraverso il trapasso, il soffocamento delle contrazioni spastiche dell’iconografia della mangiatoia, in cui il padre torna figlio dal figlio ucciso e salvato.
Il rispetto della drammaturgia, spinto all’estremo con il sostegno di un insieme interpretativo sufficientemente solido, trasforma le didascalie in complemento del parlato mentre la sua rielaborazione traspone l’azione sul piano del racconto prima del suo farsi, demanda il commento a tre servi di scena inediti e spinge l’assenza del buon cuore al punto di poter fare della rabbia di Nicolino per l’adulterio della moglie uno stupro consumato davanti al suo amante inerme.
Restiamo distanti momenti a interrogarci su come a volte la ricerca di profondità, l’ispessimento che la soggettività determina nelle associazioni di senso possano portare a confusione, pur riconoscendo l’iscrizione di una cifra in grado di incontrare la nettezza e affrancarsi dai legami con le degenerazioni dell’idea di tradizione. Come dovesse restarci in mano una chiave d’accesso alla coscienza di poter, del lascito, distruggere la venerazione, spezzare le ali all’angelo dormiente sulla capanna del culto, lasciarlo cadere e restare a guardare cosa produce l’alchimia tra conservazione e abiura. Perché, passato Natale, verranno i magi e poi i pastori torneranno a dormire sino alla prossima attesa, al prossimo ciclo. E sarà allora, quando non sarà più festa, che ci chiederemo davvero: «Te piace’ ‘o Presebbio?».
Marianna Masselli
Twitter @Mari_Masselli
Visto al Teatro Argentina, Roma, Dicembre 2014
Leggi anche Sul Natale di Antonio Latella. Lettera a uno spettatore (in risposta al dibattito cominciato su delteatro)
NATALE IN CASA CUPIELLO
di Eduardo De Filippo
regia Antonio Latella
con Francesco Manetti, Monica Piseddu, Lino Musella, Valentina Vacca, Michelangelo Dalisi, Francesco Villano, Giuseppe Lanino, Leandro Amato, Maurizio Rippa, Alessandra Borgia, Annibale Pavone, Emilio Vacca
drammaturga del progetto Linda Dalisi
scene Simone Mannino e Simona D’Amico
costumi Fabio Sonnino
luci Simone De Angelis
suono Franco Visioli
assistente alla regia Brunella Giolivo, Michele Mele
assistente volontaria Irene Di Lelio
produzione Teatro di Roma
natale in casa latella sarebbe stato più corretto..inutili equilibrismi gergali per giustificare una operazione che si giustifica da sè,se si prescinde dallo specchietto per le allodole che sembra troppo una operazione belen corona.. latella non ha bisogno di esegesi così spericolate ma tant’è…
Credo ci voglia del coraggio, per mettere in scena un capolavoro così perfetto di Eduardo, e riproporlo in chiave totalmente personale , stravolgendolo così del tutto. Trovo inoltre completamente infondato descrivere la rappresentazione come ” Natale in casa Cupiello di Eduardo De Filippo”, in quanto di Eduardo non aveva nulla, tranne il copione canico riproposto in un contesto freddo e inadeguato, dulcis in fundo una scena finale di cattivo gusto. Sono stata ieri a vedere lo spettacolo a teatro, e sono rimasta sbigottita e indignata come la maggior parte del pubblico presente .
Lo spettacolo sarà anche brutto, ma questa che ne parla è peggio.
Lo spettacolo ha un intenzione: Innovare , oltre questa intenzione le altre sono ambigue, oscure, leggibili dal regista e poco dalla gente. Si capisce che lo spettacolo stesso vuole porsi in relazione con la tradizione , ma la comunicazione non passa la ribalta, la platea non si commuove, la funzione del teatro è assente, c’è il vuoto, il vuoto della passione teatrale per una passione per il proprio cervello. Il Realismo non viene abbattuto da simili operazioni, il Grande Teatro Realista emozionerà sempre e sarà sempre più efficace della iper sperimentazione. Il Simbolismo che in ogni messa in scena dovrebbe nascere da necessità, da urgenza , da sintesi estrema quando tutto è stato detto, in questa messainscena non emerge. Emergono le urla, la monocordia della rappresentazione, la non musicalità , il non ascolto. L’arte della semplicità era la virtù dei grandi, la virtù di Eduardo ed emozionava poichè la gente voleva ascoltare una storia. In questo modo di far teatro la gente non ascolta nessuna storia , poichè lo spettacolo ha una sola intenzione: innovare. Lo spettacolo è al servizio dell’individuo e non della collettività. Lo spettacolo è piccolo borghese con la pretesa che piccolo borghese sarebbe uno spettacolo chiaro, onesto, limpido, lienare dove si comprende tutto.
Come fare Eduardo senza Eduardo? Opere perfette come il Natale-Cupiello vanno imbalsamate? A Latella non è mancato il coraggio, ma la voglia di sperimentare qui porta fuori pista. Perchè mai far uccidere il padre dal figlio e la figlia che scopa con l’amante in scena? Letture che vogliono spiazzare, come i 3 tipi di recitazione diversi per ciascun atto. Salvo flash di poesia, tutto è in più oscurato da espedienti da teatro d’avanguardia anni 70: corpo nudo del moribondo, orge con musiche ossessive, i veri bue e asinello nel finale… Latella, riprova con testi eduardiani meno popolari o delicati, tipo LeVociDiDentro o Filumena..!. Comunque molto brava la compagnia.
Lo spettacolo è pessimo, una rilettura pretenziosa con ricerca di originalità ed anticonformismo fine a se stesso. Non dovrebbe essere consentito programmarla con lo stesso titolo della commedia di Edoardo. Pochi applausi di chi applaude a qualsiasi cosa senza spirito critico. Purtroppo il primo atto è molto lungo e chi, come me, aveva voglia di andarsene, ha dovuto aspettare che passassero ben due inutili ore!
Spero sia superfluo ribadire la totale assenza di intenti di giustificazione, men che meno di equilibrismi linguistici ad essi funzionali. Credo semplicemente Latella abbia fatto un’operazione registica equiparabile a molte altre su testi classici o “neo-classici”: può o meno incontrare il gusto del pubblico, come il pezzo può o meno incontrare quello del lettore. Il resto mi sembra lasci il tempo che trova. Grazie di aver letto e commentato.
Peccato che il primo tempo non sia durato di meno, così’ sarei andato via prima delle due ore, non l’ho fatto subito come altri solo per rispetto degli artisti.
Povero Edoardo, questa è mancanza di rispetto verso un genio del teatro e soprattutto verso noi spettatori. Io ho resistito un’ora e mezza ma tantissima gente è andata via dopo 15 minuti. Se questo Latella vuole fare teatro scrivesse cose sue. Io ci sono rimasto troppo male anche per la presa in giro che mi ha fatto il Teatro Argentina non comunicando questa specie di rilettura. Poi ci si lamenta che la gente non va a teatro, e grazie!!!
Learco
150 minuti: nei primi 40 stai lì a chiederti che cavolo abbia in mente il regista. Per i seguenti 80 cerchi di capire se per caso non sia capitato nella sala sbagliata. Durante la pausa ti rendi conto che il teatro ha una sola sala e che lo spettacolo non è ancora finito. Per i restanti 40 minuti credi di essere in una sala diversa da quella in cui ti trovavi prima perché ci sono meno della metà degli spettatori e incredibilmente la tua fila di poltrone è totalmente vuota. Così gridi al miracolo poiché potrai allungare meglio le gambe e schiacciare un pisolino.
Indecente. Una truffa costruita ad arte. E dire che a me piace la sperimentazione, ma questa è solo una esercitazione teatrale ad uso e scopo di personale solletico dell’ego del regista. Lasciare il titolo in modo da attrarre famiglie durante le festività è sicuramente un arte, appunto una truffa ad arte. Considerato poi il momento di difficoltà per cui anche il teatro può essere un sacrificio economico rende il tutto ancora più sconcio. Evviva la sperimentazione ! ma soprattutto il coraggio di dichiararla e non mistificarla.
Non capisco, davvero, mi sembrano tutti commenti che non tengono conto della totalità dell’opera, non guardano al sentimento che il natale eduardiano voleva raccontare, fermandosi alla superficie estetica. Latella riesce a scavare dentro il testo mostrando al pubblico la parte più sporca, più vera e meno divertente. Lo spettacolo dura tanto e può essere oscuro per alcuni, in determinati punti (secondo me questo è uno degli spettacoli più semplici del regista, in ogni modo), ma il dramma c’è tutto, “natale in casa Latella” ha il merito di ridare allo spettatore quel senso di angosciosa attesa che permane in tutto il calvario natalizio di Luca Cupiello. Emozione e critica sulla società, gli animali morti, finti, da presepe o da banchetto infinito? la cometa portatrice di buona notizia, siamo sicuri? la mangiatoia finale della nascita al contrario, la pietà del figlio( forzatura si, ma non senza senso), insomma, chi va a vedere Latella e si aspetta il classico allestimento sbaglia. Mi dispiace leggere commenti dove si mette in dubbio la genuinità dell’operazione, dove si scrive che questo spettacolo è uno specchietto per le allodole con cui attirare pubblico “ignaro”, o che sia solo l’immensa pippa intellettuale del regista. Io non lo credo davvero, anzi sono sicuro che spettacoli come questo debbano passare nel maggiore teatro di Roma e con il titolo originale, perché il pubblico va formato su tutto, anche su la visione teatrale di un regista come Latella che sovverte l’immaginario canonico, sia anche di un mostro sacro come Eduardo. In fine tutte queste critiche sono un ottimo riscontro, significa che tanti hanno visto, che tanti sanno, che tanti si sentono disturbati o affascinati, grazie T&C, grazie Antonio Latella.
Povero Eduardo… Regista e autrice del pezzo fanno una strana gara a chi si parla più addosso. Alla fine dello spettacolo applausi molto freddi del pubblico, a parte qualche parente degli attori.
uno spettacolo indegno. tutte le scelte del regista sono pessime, sovraccariche, inutili, forzate, a volte grevi e ridicole, intellettualoidi, con “trovate” senza alcun valore (per esempio – tra gli altri – leggere le didascalie, scrivere in aria, “recitare” gli accenti acuti, gravi e circonflessi o far passare la registrazione di De Filippo che dice ti piace il presepe?) ripetute ossessivamente, inutili citazioni brechtiane per darsi un tono. Peccato non solo per il pubblico, ma anche per gli attori che si sono prestati e per il teatro Argentinache dovrebbe ambire a molto di più.
Spettacolo terribilmente brutto.