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Taccuino Critico: Stand-up comedy, Lutero e l’immaginazione

Tra le molteplici offerte teatrali, sul Taccuino Critico si appuntano segni di sguardi diversi che rispondono a un’unica necessità: osservare, testimoniare, dar conto dell’espressione pura, del piccolo e grande teatro…

 

Foto Emanuele Girotti
Foto Emanuele Girotti

A-MEN.GLI UOMINI, LE NUOVE RELIGIONI E ALTRE CRISI
di Walter Leonardi, Carlo Giuseppe Gabardini
regia Walter Leonardi
con la collaborazione ai testi e alla regia di Paolo Li Volsi
scene e costumi Paola Tintinelli
disegno luci Luigi Biondi
effetti sonori e musiche originali Paolo Li Volsi
Si ringraziano PaoPao, Terzo segreto di satira, La Corte Ospitale per la generosa collaborazione

Bando al perbenismo, siamo sinceri, i generi teatrali suscitano in noi dei pregiudizi; una sorta di meschina presunzione in grado di influire, purtroppo, sulla scelta dello spettacolo e inoltre, non nascondiamolo, sul modo in cui ci approcciamo ad esso. La tv poi fa la parte della «cattiva maestra», aumentando il grado di scetticismo riguardo generi che, abbandonata la scena, spopolano ora sui canali televisivi, dove perdono la loro aura teatrale cadendo spesso nella volgarità. La stand-up comedy ne è un esempio, fortunatamente ci sono però delle eccezioni. A-men. Gli uomini, le nuove religioni e altre crisi scritto da Carlo Giuseppe Gabardini e Walter Leonardi – anche interprete poliedrico e grottesco –  andato in scena al Teatro Ambra alla Garbatella sembra farci cambiare idea. Scegliendo un tema usato e abusato come quello della crisi, il testo ne racconta tutte le deprimenti sfumature nel lavoro, amore, amicizia, fede, tecnologia. Tematiche inserite all’interno di una drammaturgia che, andando oltre la consuetudine secondo la quale l’attore di una stand-up comedy è sprovvisto di accessori, riesce a creare un incisivo ritratto delle nostre insicurezze attraverso creazioni sceniche spettacolari e immaginifiche, azzardando e riuscendo in un insolito dialogo con la «silenziosa luna». Permangono tuttavia alcuni cliché narrativi e il ricorso ad alcune situazioni stereotipate che si potrebbero facilmente superare  poiché ci sono tutti i presupposti per poter osare, ancora e fino in fondo.

Lucia Medri
Twitter @LuciaMedri

visto al Teatro Ambra alla Garbatella nel mese di novembre 2014

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Foto Ufficio Stampa
Foto Ufficio Stampa

95 TESI. UNA STORIA DI LUTERO-UNO STUDIO 2.0
progetto e regia Giuseppe Cerrone, Antonio Piccolo
con Raffaele Ausiello, Sergio Del Prete, Stefano Ferraro, Alessandro Paschitto, Antonio Piccolo
produzione Teatro in Fabula

Una scenografia essenziale, quasi nulla, e cinque uomini in un nero imperante di abiti contemporanei. La trasposizione scenica della parabola esistenziale e teorico-dottrinale di Martin Lutero si inscrive in una atmosfera dove gesto, simbolismo motorio e dinamica della partitura spaziale divengono il tratto saliente che sembra caratterizzare le intenzioni nella costruzione dell’allestimento di 95 tesi. Una storia di Lutero, presentato al Teatro Millelire per la regia di Giuseppe Cerrone e Antonio Piccolo. Partendo dagli scritti  di John Osborne, Roland H. Bainton e Luther Blissett in palcoscenico fra i leitmotive concettuali del dubbio accompagnato alla fede prendono corpo, più o meno accennati e più o meno conformi alla realtà storica, vari episodi dall’ordinazione agostiniana alla crescente insofferenza per le dinamiche di gestione istituzionale della Chiesa, per la mercificazione delle indulgenze sino alla stesura delle note 95 Tesi di Wittenberg, alla successiva scomunica, all’affrancamento non solo di pensiero dal “regime” pontificio con un accenno al matrimonio di Lutero con Katharina von Bora e l’appoggio ricevuto dai principi tedeschi durante i conflitti che portarono questi a scontrarsi con il potere centrale. Apprezzabile la costruzione della tessitura vocale nell’alternanza di ritmi e modulazioni commisurate alle situazioni drammatiche e all’architettura delle azioni, nonostante una discreta qualità nell’uso formale della parola, rimane qualche perplessità sulla scelta narrativa, un certo inappagamento critico sul tema che pure emerge con maggior efficacia in alcuni momenti.

Marianna Masselli
Twitter @Mari_Masselli

Visto al Teatro Millelire, Roma, Novembre 2014

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Foto Ufficio Stampa
Foto Ufficio Stampa

SANTA GIOVANNA DELL’IMMAGINAZIONE
ovvero la storia di Giovanna d’Arco vista con i miei occhi
di e con Silvia Frasson
musiche eseguite dal vivo da Stefania Nanni

C’è una pratica usuale per i raccontatori di storie, quella di comporre una sorta di bolla, di cellula narrativa, capace di contenere la vicenda effettiva che si vuole raccontare, fino a condurre il finale verso una chiosa morale che recuperi gli elementi iniziali e – con essi – l’intera missione, fondamento del messaggio originario. Silvia Frasson, narratrice di questo Santa Giovanna dell’immaginazione visto al Teatro Studio Uno di Roma, non si discosta dall’uso comune e compone una storia nel mallo di un’altra storia: c’è una nonna che non ha mai fatto viaggi, decide di fare il primo e andare a Lourdes, dove vedrà nientemeno che Dio; da questo viaggio spirituale per la Francia, ne inizia un altro, quello che porterà Giovanna, la pulzella di Orleans, dal proprio piccolo paese Domrémy-la-Pucelle fino a Reims inviata da Dio per incoronare il re Carlo VII. Di fianco ad accompagnare Silvia Frasson, in piedi a dar conto di un viaggio errante che coinvolgerà la Francia intera e i francesi tutti, è la fisarmonica guizzante di Stefania Nanni; è questa la storia di una religiosità non imposta, pura, a suo modo apostolica, di ciò che accade quando lungo il cammino si incontri una fede, di ogni tempra. In un’atmosfera evocativa di un piazzato fisso aranciato, Silvia Frasson cavalca sullo stesso cavallo di Giovanna, se ne apprezza la convinzione in ciò che sta raccontando, ma lo spessore della storia è indebolito da una linearità che non concede più di un primo piano di lettura, così come la connessione tra questa fede e la propria vocazione d’attrice, letta nel programma di sala, non è così visibile: Giovanna finirà avvinta in ceppi, arsa nel braciere di un’eresia, noi si andrà via con meno calore di quanto avvolgerà le sue fragili ossa.

Simone Nebbia
Twitter @Simone_Nebbia

Teatro Studio Uno, Roma – Novembre 2014

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