Romeo e Giulietta di Biancofango debutta al Teatro India. Recensione
Un classico è quell’opera artistica che vanta numerosi tentativi di imitazione. Ma attraverso le epoche essa dovrà confrontarsi con contesti diversi, in cui via via affronterà il difficile compito di conservarsi dai tentativi di oltrepassare l’imitazione e finire così nel campo del tradimento. Uno dei testi simbolici della storia teatrale è Romeo e Giulietta, scritto da William Shakespeare alla fine del 1500, si presume. È universalmente considerata una storia d’amore e così tramandata. Ma sotto la superficie della vicenda, molto frequentata nei secoli successivi, essa conserva caratteri duri ed eterni con cui la nostra contemporaneità deve misurarsi; c’è più di tutto un senso lancinante di sofferenza, un patimento silenzioso che trova nel passaggio generazionale e nelle relazioni familiari il suo più furente campo di battaglia. Perché di una guerra stiamo parlando, quella degli uomini contro gli uomini, secondo i diversi gradi di maturazione.
Hanno lavorato seguendo questa linea primaria Francesca Macrì e Andrea Trapani di Biancofango per questo Romeo e Giulietta, ovvero la perdita dei padri che ha debuttato al Teatro India – grazie alla produzione del Teatro di Roma – con dodici attori adolescenti coinvolti nei mesi precedenti attraverso una lunga fase di laboratorio. Ma si badi, prima di tutto: non si tratta di un saggio. È uno spettacolo con dignità almeno pari ai tanti che girano per le nostre stagioni nazionali.
Siamo nel mezzo di una partita di calcio in un campetto improvvisato per la strada, due squadre di avversari, ma forse meglio dire di nemici. L’ambiente è caldo, si fatica a tenere vivo il gioco per le continue interruzioni: i contendenti si scambiano parole, insulti, provocazioni; le parole vengono dal testo, il resto appartiene al clima creato dal poeta inglese affinché quelle stesse attraversassero epoche e contesti (con tutta la volgarità che vi si possa trovare). Nessuna scenografia, il palco denudato per farci stare dentro un mondo intero, anzi due, contrapposti; non ci sono che due panchine e altrettanti microfoni tra le mani dei padri, potenti, allenatori della vita familiare e civile, creatori dell’ordine, ma anche delle ostilità; speculare la loro latente partecipazione: uno è Montecchi (Simone Perinelli), l’altro è Capuleti (Andrea Trapani). Un violoncello misura le urla e lo stridio, ordina la lite continua, gli scontri del loro ardore che è – insieme – anche un movimento di conservazione. È Luca Tilli, una presenza ormai costante di molti spettacoli soprattutto del territorio indipendente romano; sembra sempre capitato sulla scena per caso, silenzioso e con uno sguardo naufrago, quasi a dire: io non volevo, mi ci hanno mandato qui, poi invece posiziona l’appoggio dello strumento e la sua presunta evanescenza si fa concreta, con l’arco crea una drammaturgia sonora di pregio, mai sovrastante ma piena.
L’indagine sulla relazione padri-figli si articola soprattutto quando l’incantamento amoroso coglie i due protagonisti del titolo, rispettivamente un Montecchi, Romeo e una Capuleti, la giovanissima Giulietta. Sarà una storia pervasa dalla morte, da qui in poi. Il mancato ricorso alla saggezza nel fermare il crescente stato di violenza è una colpa che i padri non possono eludere ma, quando dovrebbero occuparsi della delirante faida veronese, leggono il giornale ed è con tale carico di indifferenza che esercitano la decisione di non intervenire. Essi parlano davvero con i loro figli o stanno parlando con sé stessi, con il proprio potere?
Questa netta linea drammaturgica, tuttavia, non sarebbe così densa se non fosse sostenuta da due attori eccellenti, abilissimi nel doppio ruolo di interpretazione e di collante tra le sottili sfumature in cui gli altri attori cercano di mantenersi, indirizzando con diversi metodi – serafico e indolente Perinelli, paterno e laido Trapani – l’irruenza scomposta dell’adolescenza.
E poi. E poi c’è Rosalina. Personaggio secondario ma in questa versione considerato una vera chiave di lettura: l’amore tradito che prova per Romeo, la sua sofferenza inguaribile e sotterrata da eventi ben più noti, sono l’emblema del fatto che la vicenda, specialmente nei classici, corre il rischio di sostituirsi al tema di cui è portatrice.
Il finale è un brivido: al rallenty arriva la morte e con un cartellino nero si lascia la contesa, una canzone sommessa di inizio anni Settanta (Albergo a ore di Herbert Pagani, qui nella versione di Gino Paoli) accompagna i due ragazzi fuori da tutto, ignorati dai padri che ora li rimpiangono.
Fuori dalla sala, nel foyer. Gli stessi ragazzi escono di fronte agli amici accorsi per vederli, nel loro cuore un’emozione sovrapposta all’età urgente, un’impronta durevole nella cedevolezza dell’adolescenza: forse non faranno teatro, non finiranno vecchi a vestirsi ogni volta da un altro – come la direbbe Danio Manfredini – ma si può essere certi che abbiano capito stando qui quanto il teatro sia un gioco serissimo, in cui si può essere eludendo l’apparire, in cui è possibile parlare della propria storia, pur stando con i piedi conficcati nella storia di un altro.
Simone Nebbia
Twitter @Simone_Nebbia
Teatro India, Roma – fino al 21 dicembre 2014
ROMEO E GIULIETTA
ovvero la perdita dei Padri
prove di drammaturgia dello sport
drammaturgia Francesca Macrì e Andrea Trapani
drammaturgia musicale Luca Tilli
regia Francesca Macrì
con Simone Perinelli e Andrea Trapani
e con (in ordine alfabetico) Emilio Airulo, Diego Benedetti, Sara Celestini, Mounir Derbal, Gaia Diodori, Lorenzo Fochesato, Erica Galante, Paolo Leccisotto, Sara Mafodda, Martina Mignanelli, Antonio Saponara, Maria Sgro
violoncello Luca Tilli
voce off del Principe Federica Santoro
disegno luci Massimiliano Chinelli
suono Umberto Fiore
collaborazione artistica Isabella Rotolo
aiuto regia Bianca Palmieri Balduini e Arianna Vagni
progetto grafico Bianca Palmieri Balduini
produzione Teatro di Roma | Biancofango
in collaborazione con RialtoSantAmbrogio, Scuola di Cinema Gian Maria Volontè, Angelo Mai Altrove Occupato
grazie a Francesco Montagna | carrozzerie n.o.t., Max Malatesta | Accademia Beats