Una riflessione nata dalla platea dallo spettacolo MA – mains tenant le vide di Opera.
Una sottile venatura acustica inizia a ferire, a insinuarsi per lo spazio disponibile e raggiungere solitudini e sconcezze del quotidiano; fuori di qui c’è altro, c’è un mondo sconnesso, contraddetto dal solo presenziarlo, ma in una scatola di buio che non è notte, in cui manca il vento e il crepitio dell’inarrestabile evoluzione, qui dove tutto è fermo, la qualità dell’esperienza si raffina al punto di farsi esclusiva: essere in quella sala non è, non sarà mai, come essere in un’altra.
L’accesso è varcato, ora siamo dentro, abbiamo sottoscritto l’accordo di esserci, di non muoverci per un po’, di metterci in ascolto e farci attraversare da ogni tipo di materia; anche vi fossimo capitati per caso, tuttavia, non bastano che pochi secondi per diluirci nel clima d’intorno, affondare in una nuvola senza sfumature perché sia lacerato il viaggio, l’ingresso, ogni parola o gesto scambiati quando si era per entrare, ma non ancora. C’è un passaggio che è più di una porta, è un accesso segreto che dagli interstizi allarga in un’ansa percettiva, come ci fosse fatto indossare un velo che amplifichi l’ascolto.
È questo il momento in cui si inizia a lasciar andare, ogni cosa, ogni fremente ambizione di ricordare, di compitare una sequenza di pensieri, qui bisogna stare e niente altro, attraversare senza che vi sia mai chiaro un prima e un dopo, non è categoria che ci appartenga più, almeno per quel poco tempo che siamo qui il tempo si concede com’è, rivela la mimetica illusione e semplicemente non esiste. Esso è natura, è fatto di corpi compresenti e non vi è nulla di estraneo alla sfera sensibile, non sensitiva, sia chiaro, non è questa esperienza spirituale di sibillina evanescenza, è affermazione concreta di corporeità, sono piedi affondati in un luogo cui si sente di appartenere.
Ora possiamo fidarci di una nenia non presente, che non è il sonoro udibile ma una cadenza intima, diversa per ognuno, che solo noi ascoltiamo. Ora possiamo lasciar andare i muscoli del viso, rassegnare i lineamenti al fatto che nessuno li guarderà, così come nessuno si accorgerà che la distensione ci farà lacrimare, che avremmo avvertito un passaggio di confine tra la lacrimazione e il pianto e dopo, soltanto dopo, ne avremmo avuto coscienza. Si rimane con gli occhi brillanti, il timore di dover uscire fuori e mostrarli per incanto svanisce, come se le pareti circolari dell’ampolla in cui siamo accolti risuonassero il vortice di parole, pensieri, dall’uno all’altro. Farà freddo fuori, faceva freddo anche arrivando. Ma un calore sottopelle di altra origine che l’atmosfera ci riconsegna al tempo sequenziale, in cui saremo voce di rappresentanza, corpo d’apparenza, ma in cui potremo celare, proteggere, il segreto della presenza.
Dedicato a Vincenzo Schino e Marta Bichisao.
E dedicato a tutti gli artisti, sacerdoti del buio.
Simone Nebbia
Twitter @simone_nebbia
Visto al Caos di Terni in dicembre 2014
MA – mains tenant le vide
progetto, coreografia e danza Marta Bichisao
cura della visione Vincenzo Schino
composizioni sonore e live electronics Federico Ortica
scenografia Emiliano Austeri, Antonio Rinaldi, Vincenzo Schino
direzione tecnica Antonio Rinaldi
video Paul Harden, Grazia Genovese
tracce poetiche Florinda Fusco
consulenza coreografica Simona Zaccagno
coordinamento Marco Betti
produzione CRT Milano/Centro Ricerche Teatrali
con la collaborazione di Indisciplinarte/Terni Festival,
si ringrazia Associazione Demetra/Centro di Palmetta, Fibre Parallele Teatro