Gaetano Ventriglia e Silvia Garbuggino hanno aperto il Teatro Florenskij con Gabbiani nello spazio
È difficile che a un certo punto di una rappresentazione del Gabbiano di Cechov Trigorin venga a sedersi proprio accanto a voi, su una sedia che precedentemente era occupata da un libretto rosso, una copia de Le porte regali di Pavel Florenskij. Ma questa non è l’unica sorpresa di Gabbiani nello spazio e di quel luogo intimo che Gaetano Ventriglia e Silvia Garbuggino hanno aperto in una strada del centro di Livorno intitolandolo proprio al nome dello scrittore e teologo russo. Nel Teatro Florenskij, che una serranda divide dalla notte, vige infatti una prospettiva rovesciata che forse non è quella dell’icona russo-bizantina ma poco ci manca: chiusi, anzi quasi sigillati in un piccolo spazio, ci si ritrova in mezzo a un grande teatro dove la passione degli interpreti fa ben presto perdere agli spettatori quel sentimento di angustia (spaziale) e di noia (temporale) che spesso li insegue anche su scene più ampie. Mai come nelle due ore e quaranta di questo Gabbiano dato integralmente, con i suoi quattro atti e senza sipario (il sipario rosso di Kitémmurt ci sta simbolicamente alle spalle, noi, lo ripeto, siamo dentro) è apparso più vero quello che José Bergamin diceva del teatro: che è «spazio temporalizzato» e dunque sottoposto a una continua trasfigurazione. Quando Trigorin, un ragazzo con la barba dal fisico robusto e compresso (si chiama Andrea Farulli), si alzerà, sarà già qualcun altro, gli attori vanno e vengono abitando marionette invisibili che solo un dettaglio (un cappello, un libro, una borsa) rende riconoscibili.
Girano e spingono instancabilmente il testo in avanti, addensando l’aria con quelle conversazioni a un tempo bonarie e corrosive, da cui la sincerità trasalisce come il frullio improvviso di un passero, che fanno di Anton Pavlovic Cechov un autore fraterno: altri esercitano di fronte a noi la propria capacità di produrre meraviglia (come Shakespeare), altri ancora (come Brecht) ci stanno attorno e ci stringono d’assedio, ma solo Cechov è e sarà sempre con noi. Così la ronde dei Gabbiani nello spazio, che parlando tra loro si rivolgono al pubblico, non è un artificio di scuola o di laboratorio: restituisce allo spettatore il contagio mentale del testo, le oscillazioni di un pendolo empatico che si muove tra l’irrealismo di Kostja e il cinismo letterario di Trigorin, tra il divismo evanescente dell’Arkadina e la fedeltà alla vocazione di Nina, tra il materialismo carico di rancore di Medvedenko, il maestro, e la lucidità umanistica di Dorn, il dottore. Tutti hanno ragione, ma a modo loro. E da ciascuno i giovani attori della compagnia Garbuggino-Ventriglia estraggono quella scintilla di sogno che la vita ha compresso e offuscato, ma mai del tutto spento: creature fallimentari che avanzano e incespicano avvolte nella luce di una gloria umiliata che soltanto il teatro – essendo più e meno dell’arte – riesce a far splendere anche nell’ombra. Clownerie e pathos, derisione e sublime viaggiano avvinghiati. Tutti sono Gabbiani: Sorin e Masa non meno di Nina e Kostja, là dove tutto è minore niente lo è più. Bastano cinque minuti per dimenticare la loro qualità di allievi di fine corso: Elisa Baracchini, Giulia Bicchielli, Andrea Farulli, Francesca Finocchiaro, Elisa Lazzeri, Silvia Magnani, Nicola Vukich sono atleti dell’anima che con la forza dell’onestà – questa stimmate di cui il teatro orgogliosamente povero di Gaetano e Silvia ha fatto una divisa araldica – scavalcano gli inciampi della dizione e riplasmano persino i limiti del corpo nella misura del personaggio. Sciolti in mezzo a loro come un liquido di contrasto, i due attori-registi li seguono vigili e sporgenti, sospesi sul confine tra il dentro e il fuori. Talvolta lo varcano decisamente: l’Arkadina di Silvia Garbuggino irrompe come il vento da una finestra aperta con una recitazione che stressa la fatuità del personaggio fino a smaterializzarlo nel parossismo di un ritratto cubista su cui aleggia il sorriso folle e fisso della primadonna assoluta.
E c’è del metodo in questa follia che ha ancora lo sguardo scintillante di Nastasja Filipovna in Nella luce Idiota (uno dei primi spettacoli del sodalizio con Ventriglia) ma nel frattempo ha conquistato una leggerezza nuova e una nuova profondità. Al lato opposto, per un momento Elisa Lazzeri fissa Nina nella commovente inadeguatezza di una piccola fiammiferaia dell’arte che, per dirla con Beckett, ha provato, ha fallito e riproverà di nuovo «per fallire meglio». A lei viene consegnata la ripetizione finale di una frase di Kostantin che diventa il manifesto dello spettacolo. E se Gaetano Ventriglia arretra, lasciando soltanto l’impronta di una poesia attoriale subito riconoscibile, è per regolare meglio toni e volumi di uno spettacolo che declina tutte le sfumature del discorso artistico del “Teatro Florenskij”, a cominciare da quella cruciale del rapporto tra la scena e la vita. Gabbiano ostinato che non vuole arrendersi né al nichilismo ironico delle “forme nuove” né all’umiliante cabotinage delle vecchie, il teatro resta per lui quello che era per Copeau: una chimera che bisogna scagliare contro l’avarizia di un tempo troppo incredulo per non essere anche ottuso. Da un registratore arriva una musica lontana che sembra evaporare dalla strada (è la voce di Tom Waits ma ricorda quella di Vladimir Vysostky), poi cade a pochi passi da noi, distillata in limpide gocce da una canzone che Nicola Vukich arpeggia nell’intermezzo come una miniatura dal vivo. Quando lo spettatore si risveglia, tutto è cambiato attorno a lui. Eravamo venuti a prendere un tè con dei vecchi amici. Ci ritroviamo a camminare nella notte livornese con il respiro del mare non lontano, chiedendoci quale partito abbiamo scelto, tanti anni dopo, tra Kostja e Trigorin.
Attilio Scarpellini
Twitter @AttilioScarpell
Teatro Florenskij, Livorno – ottobre 2014
GABBIANI NELLO SPAZIO
da Il Gabbiano di A.P. Cechov
regia Silvia Garbuggino e Gaetano Ventriglia
con Elisa Baracchini – Giulia Bicchielli – Andrea Farulli – Francesca Finocchiaro – Silvia Garbuggino – Elisa Lazzeri – Silvia Magnani – Gaetano Ventriglia – Nicola Vukich
produzione Teatro Florenskij e Compagnia Garbuggino-Ventriglia