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The Valley of Astonishment: la semplicità poetica

The Valley of Astonishment di Peter Brook e Marie-Hélène Estienne, visto a Il Funaro Centro Culturale di Pistoia.

Foto Pascal Victor / ArtComArt
Foto Pascal Victor / ArtComArt

L’opulenza spregiudicata della capitale, innervata da arterie viarie affollate dal traffico,col suo caos imperante, meta ambita da coloro che la considerano il locus amoenus delle possibilità; possiede una propria drammatica bellezza. Ingrigita e polverosa, stanca di pulsare attrattiva, se ne sta ripiegata su se stessa faticando nel proteggere i suoi preziosi averi che poco a poco le vengono strappati dal grembo, come fossero figli illegittimi. Il teatro verrà dunque accolto altrove, ritrovando quella tranquillità che fa del tempo e dello spazio non due variabili ma due costanti.

Nel silenzio e nella quiete, nelle ore dilatate perché assaporate in tutta la loro interezza cogliendone il caduco fluire, l’arte può rifugiarsi. Non è un caso se dal 2004, ancora prima di trovare una sede nella città di Pistoia, l’odierno Il Funaro Centro Culturale costituiva già un polo pulsante di ricerca e interesse verso il teatro nazionale e internazionale. Un progetto che ha puntato sull’importanza del dialogo e dello scambio (politica culturale sconosciuta ai molti), coinvolgendo artisti, ricercatori e pensatori come Andres Neumann, Jean-Guy Lecat, Enrique Vargas, Cristiana Morganti e Peter Brook. Sì perché l’unica tappa italiana di The Valley of Astonishment, ultimo lavoro di Peter Brook e Marie Hélène Estienne, è stata ospitata – dopo il debutto al Teatro Stabile dell’Umbria – non nella magnificenza decadente della capitale troppo distratta dal vano clamore, ma qui nella provincia toscana, in vecchi capannoni artigiani in una serata nebbiosa e ovattata.

Foto di Pascal Victor / ArtComArt
Foto di Pascal Victor / ArtComArt

Nonostante le strade del centro pistoiese fossero sgombre di passanti e solo l’eco dei propri passi potesse essere avvertito, una volta giunti in via del Funaro 16, ci si accorge che quella solitudine discreta ha ceduto il posto al calore di una comunità numerosa di spettatori, in attesa di occupare i soli 90 posti della sala.
Sembra non essere stato preparato per accogliere uno spettacolo, lo spazio si presenta infatti spoglio ma essenziale, pochi gli oggetti funzionali alla scena: alcune sedie, un attaccapanni, un tavolo, uno spazzolone per lavare a terra. Sul lato alla nostra destra, i musicisti Raphael Chambouvet e Toshi Tsuchitori aspettano in silenzio che entrino gli attori: Kathryn Hunter, Marcello Magni e Jared McNeill. «In a rich world» siamo condotti dal racconto di questo viaggio che, basandosi su ricerche neurologiche, testimonianze di pazienti e sul poema mistico Il verbo degli uccelli scritto dal persiano Farid al Din ‘Attar nel 1177, esplora le possibilità sinestetiche della psiche umana, i suoi percorsi imprevisti e affascinanti, i nessi sinaptici e i voli fantasiosi per i quali «ogni suono ha un colore, dove ogni colore ha un sapore, dove il numero 8 è una grassa signora».
Emozionante la roca voce della Hunter, contraddistinta però da una tenera dolcezza, con la quale impersona Sammy Costas «The phenomenon», colei in grado di memorizzare, facendola propria, qualsiasi cosa: oggetti, numeri, nomi di persone, di strade, elenchi, descrizioni, articoli di giornali. Una capacità mnemonica superiore e incredibile, talmente fuori dalla norma da gettarla in situazioni grottesche, fino ad arrivare al tragico epilogo di non riuscire più a dimenticare…

Foto di Pascal Victor / ArtComArt
Foto di Pascal Victor / ArtComArt

«La valle dello stupore» – la sesta attraversata dagli uccelli per raggiungere Dio secondo il poema persiano da cui lo spettacolo è tratto – ci lascia sbigottiti, attraverso il divertimento e la curiosità sondiamo insieme agli attori in scena sia la magia di queste libere associazioni, impersonata da un mago strampalato interpretato da Marcello Magni, che il dramma, quello della psicosi, illustratoci dal giovane medico (Jared Mc Neill).
L’«astonishment» non è uno stato mentale ma reale nella sua tangibilità: seguire il pennello inesistente di un pittore e veder disegnare un quadro davanti i nostri occhi, quando c’è solo un pavimento bianco; figurarsi cumuli di numeri accatastati gli uni sugli altri a terrorizzare l’indifesa Sammy, schiava della sua stessa potenzialità mnemonica.

Semplicità è una virtù che fatica sempre più a manifestarsi e solo in pochi riescono a comprendere quanto possa esserne gravosa la sparizione, per questo Peter Brook ha saputo farne poesia. Un teatro artigianale e umile che ci consegna una sempre vivida immagine di noi stessi, il cui riflesso possiede i lineamenti della giovinezza; resa giovane non dall’eternità ma proprio da quel lento incedere del tempo.

Lucia Medri

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visto a Il Funaro Centro Culturale di Pistoia nel mese di novembre

THE VALLEY OF ASTONISHMENT
Una ricerca teatrale di
Peter Brook e Marie-Hélène Estienne
Luci Philippe Vialatte
Con Kathryn Hunter, Marcello Magni, e Jared McNeill
Musicisti : Raphaël Chambouvet e Toshi Tsuchitori
con l’aiuto di Franck Krawczyk
Realizzazione elementi scenici e direttore di scena Arthur Franc
Assistente costumi Alice François
traduzione dall’inglese e sottotitoli a cura di Luca Delgado
Production C.I.C.T. / Théâtre des Bouffes du Nord
Coproduction Theatre for a New Audience, New York, Les Théâtres de la ville de Luxembourg
Coproducteurs associés Théâtre d’Arras / Tandem Arras Douai ; Théâtre du Gymnase, Marseille ; Warwick Arts Center ; Holland Festival, Amsterdam ; Attiki Cultural Society, Athènes ; Musikfest Bremen ; Théâtre Forum Meyrin, Genève ; C.I.R.T. ; Young Vic Theatre, Londres

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Lucia Medri
Lucia Medri
Giornalista pubblicista iscritta all'ODG della Regione Lazio, laureata al DAMS presso l’Università degli Studi di Roma Tre con una tesi magistrale in Antropologia Sociale. Dopo la formazione editoriale in contesti quali agenzie letterarie e case editrici (Einaudi) si specializza in web editing e social media management svolgendo come freelance attività di redazione, ghostwriting e consulenza presso agenzie di comunicazione, testate giornalistiche, e per realtà promotrici in ambito culturale (Fondazione Cinema per Roma). Nel 2018, vince il Premio Nico Garrone come "critica sensibile al teatro che muta".

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