The Dubliners: Giancarlo Sepe mette in scena Joyce al Teatro La Comunità. Recensione
C’è come un pontile dal mare alla terra, lega il palcoscenico alla platea, o meglio, la penetra, la indica finendoci dentro. È il Teatro La Comunità, immaginato per l’occasione da Giancarlo Sepe, direttore artistico e regista, con un concetto prospettico in verticale, fendente la scena come una ferita nel verso opposto dell’accoglienza. Non è un posto ospitale la Dublino dei “dubliners” che il regista ha tratto da James Joyce, suo grande amore al pari, forse, dell’altro grande irlandese Samuel Beckett raffigurato in ogni angolo del teatro, a lui idealmente dedicato. Per Joyce, per quel racconto di frammenti in cui è raffigurata La gente di Dublino, è The Dubliners by James Joyce/15: The Dead – Part 1, spettacolo che ha debuttato a Spoleto 57 Festival dei Due Mondi e che sarà fino al 21 dicembre nel teatro trasteverino, ideato dal regista casertano attorno all’ultimo dei racconti dublinesi: I morti.
È una Dublino desolata, straziante, di canti segreti e sommessi, quella che torna nelle parole di Joyce; vi è riposta una domanda sociale, ognuna delle vite narrate dai racconti in prima persona è un fuoco latente e misero di un’urgenza più grande, mai definitiva. Ci sono sagome di cartone sul fondo e uomini distesi che paiono morti, tutto intorno alla pedana rialzata, veicolata nella profondità, che si staglia come un letto cosparso di fiori. La loro morte è però riordinata dalla vitalità della scena, dalla fremente letteratura che ne recupera i caratteri, li ricompone in una forma umana, gli dona una vita perduta nel canto e nei fiori del commiato. Le poche parole nel grande impianto scenico di luci e immagini, di corpi che battono il ritmo della propria rinnovata fioritura, arrivano dalla bocca degli attori direttamente nel testo inglese. Poche, ma determinanti. Durante la cena, servita sopra la grande tavolata dov’erano prima i fiori, è Gabriel Conroy a pronunciare: «I don’t remember»; io non ricordo, eppure così sta denunciando la sua memoria, sembra dire: «I don’t remember, but I live or die», la memoria di Joyce che non è verticale lungo le epoche ma orizzontale, a battere nel tempo presente e vivo di oggi.
Dirà più avanti, nel libro: «questo nostro viaggio nella vita è cosparso di simili meste memorie e se dovessimo meditarvi in ogni momento, non troveremmo il coraggio di espletare la nostra opera tra i vivi»; Joyce non si sofferma, la sua scrittura situa la sofferenza nell’individuo e la sconta fino alla decomposizione dell’espressione. Sepe ha capito tutto questo, il suo impianto ha un’origine materiale che non aggira l’ostacolo “opera” ma la affronta, vi verifica dentro le proprie certezze, affina le convinzioni marginali alla centralità dell’esperienza, individua quella che Franco Cordelli nel Declino del teatro di regia chiamava «la freccia del senso»; egli non si limita a mettere in scena uno spettacolo, pone domande urgenti a Joyce, le stesse che lo scrittore di Dublino pose al suo tempo; Sepe è un regista critico, esce modificato dall’azione sulla materia che tocca, consegna una visione di Dublino, dei suoi abitanti, del tempo che ha consegnato i loro caratteri alla fruizione futura e che ha fatto memoria presente dei ricordi più antichi, uomini e donne attorno a un tavolo, in attesa dell’omogenea neve, sulle grida e sui silenzi, sui corpi eretti e quelli distesi.
Simone Nebbia
Twitter @Simone_Nebbia
Teatro La Comunità, fino al 21 dicembre 2014 AGGIUNTA REPLICHE STRAORDINARIE
THE DUBLINERS by James Joyce, 15: The DEAD – Part one
Spettacolo ideato e diretto da Giancarlo Sepe
Con (in ordine alfabetico):
Giulia Adami, Lucia Bianchi, Paolo Camilli, Federico Citracca, Manuel D’amario, Giorgia Filanti, Domenico Macrì, Caterina Pontrandolfo, Guido Targetti
voce Pino Tufillaro