Sistema Čechov : Tre sorelle di Filippo Gili che porta il drammaturgo russo al Teatro Argot
Prescindendo da situazioni specifiche ci si potrebbe chiedere che senso abbia ancora portare in scena un testo di uno dei drammaturghi, anzi del drammaturgo del naturalismo per antonomasia: è rischioso, potrebbe risultare ordinario, se non addirittura seccante. Eppure uscendo dalla sala del Teatro Argot, dalla rappresentazione delle Tre Sorelle di Filippo Gili – inserita con l’allestimento de Il Gabbiano nel progetto Sistema Čechov di Uffici Teatrali in associazione con La Compagnia Stabile del Molise – ci sembra di poter affermare che ciò che conta a volte è raccontare una storia e quando questo riesce sfugge a categorie, assuefazioni, preconcetti e aspettative. D’altro canto la validità e la perizia di un buon racconto, adattate al tempo, il tempo non conoscono.
Della vicenda originale di Anton Čechov quasi ogni cosa resta invariata nella riduzione da quattro a due atti (l’ultimo dei quali diviso in due quadri): tre sorelle, Ol’ga, Maša e Irina, vivono le proprie individualità congiunte e scollegate, in una dimensione provinciale, quasi fosse un confino, nel perenne desiderio del ritorno a Mosca come prospettiva agognata di opportunità tentacolari e realizzazione. Nell’interno domestico si sviluppano prima e crollano poi le dinamiche relazionali in una riproduzione sociale sull’orlo della disgregazione, spaccato umano abitato dal fratello Andrej con le sue aspirazioni intellettuali, i suoi slanci irrealizzati per la moglie Nataša e i suoi fallimenti esistenziali; dal disincanto dell’anziano dottore, dalla filosofia troppo espressa del colonnello Veršinin, dall’approssimazione di Fedotik e Rodè, dall’amore non ricambiato del barone Tuzenbach per la giovane Irina. Tremiti e noia, armonia e acrimonia, serenità e disperazione si susseguono e si condensano quali grumi silenti che, intaccandolo, connotano il palpito della quotidianità di ieri, di oggi, di domani.
La prima cosa che balza agli occhi varcata la soglia d’entrata è la costruzione dello spazio: rimodulata la frontalità strutturale palco-platea, la sala è utilizzata in profondità e lo sviluppo delle azioni si articola dal fondo sino alla parete estrema dell’ingresso, lasciando ai due lati la doppia fila di sedute per gli spettatori. Scelta dimensionale che comporta in primo luogo una scelta di sguardo e per cui il concetto di sfondamento della quarta parete porta i personaggi ben oltre il limite del “palcoscenico”, con entrate e uscite nel e dal foyer quando non dal teatro stesso. Fra pochi oggetti e un mobilio essenziale l’incisione maggiore si vuole lasciata all’introduzione di una vena ironica, facilmente individuabile come intervento sarcastico sull’opera e non solo, utile a creare la principale sponda con la contemporaneità e all’interpretazione con la marcatura appropriata di alcuni caratteri. Evitando la piaga nel caso specifico più che prevedibile della tentazione del naturalismo, peggio ancora di qualche forma di verismo, gli interpreti riescono con una certa omogeneità nella conquista di una verità performativa che ha a che vedere con l’accezione positiva dei termini mestiere e maniera, in primis perché non lascia trasparire alcuna forma di presunzione, tracotanza, eccessiva esasperazione o al contrario eccessiva soggezione attoriale: la coscienza del movimento, unita ad un buon controllo di partiture vocali fatte di regolarità e alternanze tonali intervallate da sporadici silenzi permettono di fruire della durata intera senza cedere a supposizioni di fatica.
Insomma a volte basta trasformare un testo in un lavoro per significare e motivare la sua sopravvivenza.
Marianna Masselli
Twitter @Mari_Masselli
Teatro Argot, Roma, ottobre 2014
TRE SORELLE – SISTEMA ČECHOV
da Anton Čechov
adattamento e regia Filippo Gili
aiuto regia Francesca Bellocci
con Alessia Alciati, Apollonia Bellino, Massimiliano Benvenuto, Paola Cerimele, Ermanno De Biagi, Vincenzo De Michele, Katia Gargano, Filippo Gili, Arcangelo Iannace, Raffaello Lombardi, Liliana Massari, Rosanna Mortara, Omar Sandrini, Vanessa Scalera, Beniamino Zannoni
Vorrei ricordare alla critica, che Le Tre Sorelle era una commedia e non una tragedia! La noia c’è solo negli allestimenti che non hanno letto bene il testo…
Forse lei non è stata fortunata (come molti nel mondo a causa della lettura sbagliata di Stanislavskji).
Parlare delle Tre Sorelle come di un dramma borghese, in cui le persone non riescono a realizzarsi è ridurre un’opera che è un affresco di vita (tra l’altro con molte parti molto divertenti) ad una rottura di scatole.
Purtroppo è un testo fatto sempre molto male (non parlo di Gili, perché non l’ho visto), proprio perché non si capisce la grandezza dell’autore che racconta qualcosa di più grande di piccole problematiche psicologiche che intercorrono tra i personaggi.