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Digital life 2014. Emozione 1-0

Le installazioni di Digital Life 2014 (Romaeuropa Festival) a La Pelanda di Roma

 

Arpa di luce - foto Jacopo Manghi
Arpa di luce – foto Jacopo Manghi

Recandovi negli spazi de La Pelanda di Roma (o nell’intervento conclusosi il 1° novembre presso il Palazzo M di Latina), vi renderete conto di trovarvi in un luogo dove la tecnologia – finissima, a dire il vero –regna sovrana; tuttavia dimenticate l’alone algido che vi investirebbe al cospetto di un hard disk o di un qualsiasi altro intrigo di connessioni 0-1; a meno che voi non siate esperti di settore, non ne avrete bisogno a Digital Life 2014. Il progetto di installazioni nato in seno al Romaeuropa Festival strappa i visitatori dalla compostezza tipica del fruitore museale, li invita a un attraversamento dell’opera in grado di generare sudore, tensione, stupore, timore, senso del magico, immergendoli attivamente in atmosfere emozionali tanto che il setting asettico dei luoghi dell’ex Mattatoio diventa luogo condiviso della performance per lo spettatore e per la macchina, i due estremi dell’equazione teatrale. Non a caso Digital Life quest’anno si chiama Play.

In questa V edizione il fil rouge che lega idealmente gli incontri, i concerti e soprattutto le dieci opere – di provenienza internazionale – è quello del suono, in una interessante declinazione dello sguardo verso l’arte nata dalle tecnologie digitali, laddove quest’ultimo termine sembra recuperare parte della propria radice linguistica latina legata al contare con le dita (da qui deriva il termine inglese riferito al codice binario). Difatti la gran parte delle “sculture sonore” è attivabile grazie all’intervento del fruitore, che di volta in volta può muovere un pendolo per azionare un’Arpa di luce (progettata da Pietro Pirelli e Gianpietro Grossi), determinare l’ampiezza dei suoni acuti o gravi generati da un meraviglioso dondolo di campane (Balançoire, di Veaceslav Druta), innescare la memoria sonoro-visiva di un antico telaio (di Kingsley Ng) o perfino far suonare a distanza un’intera orchestra di campane tibetane (Damassama, di Léonore Mercier). Tranne nell’ultimo caso, dove la riproduzione del suono è generata realmente da martelletti – azionati da un sistema di captazione del movimento a distanza – negli altri casi sopra citati le sonorità sono tutte precomposte, sta allo spettatore la possibilità di combinarle (o sarebbe più corretto dire, di influire sulla combinazione). Questo ruolo attivo non distoglie tuttavia dalla componente giocosa e immersiva generata ad esempio dalla fascinazione dei laser del lavoro di Pirelli e Grossi, riproduzione in forma visivo-elettronica di una gigantesca arpa che riproduce  i suoni ogni qual volta viene interrotto il circuito evidenziato dal sottile fascio di luce.

Balançoire - foto ufficio stampa
Balançoire – foto ufficio stampa

Degne di nota risultano essere anche altre due installazioni, macchine infernali in grado di incutere soggezione, timore, piccole reali scosse all’andamento fluido garantito dalle altre sale: l’impressione di attraversare un campo minato con le bobine Tesla attivate nel passaggio dei fruitori e create per Impacts di Alexandre Burton; o l’atteggiamento animalesco – ora di studio e di tensione all’attacco, ora in ritirata – dei movimenti e delle sonorità generate da Cycloïd-e del duo Cod.Act. Altri lavori presentati come Tutti (di Zahra Poonawala), l’Orchestra stocastica (di Donato Piccolo) raggiungono minore incisività, rimanendo tutto sommato ancorati a un’idea di visione più passiva, meno originale o coinvolgente sotto molti aspetti, anche se coerente dal punto di vista tematico.

Le arti digitali si aprono alla varietà delle professioni, troveremo a collaborare alla creazione musicisti, compositori, artisti digitali, ingegneri del suono, architetti, in una commistione di forze ideative e tecniche capaci di far saltare le distinzioni tra i singoli generi e creare un’esperienza sempre più totale. Il pensiero che ne scaturisce è quello di una tecnologia non così astratta e dominante sulle nostre vite, ma una validissima possibilità artistica per raccontare il mondo, recuperandone in forma contemporanea e secondo delle specifiche ancore tutte da definire le componenti vitali. Avremo forse un unico rimpianto dato dal desiderio di soddisfare anche un altro tipo di piacere, più intellettuale, così da apprezzare oltre alla componente emozionale ancor meglio il complesso processo tecnico di ideazione e composizione.

Viviana Raciti

Twitter @viviana_raciti

Romaeuropa Festival in mostra
DIGITAL LIFE 2014. PLAY
presso La Pelanda, Testaccio – fino al 30 novembre 2014

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Viviana Raciti
Viviana Raciti
Viviana Raciti è studiosa e critica di arti performative. Dopo la laurea magistrale in Sapienza, consegue il Ph.D presso l'Università di Roma Tor Vergata sull'archivio di Franco Scaldati, ora da lei ordinato presso la Fondazione G. Cinismo di Venezia. Fa parte del comitato scientifico nuovoteatromadeinitaly.com ed è tra i curatori del Laterale Film Festival. Ha pubblicato saggi per Alma DL, Mimesi, Solfanelli, Titivillus, è cocuratrice per Masilio assieme a V. Valentini delle opere per il teatro di Scaldati. Dal 2012 è membro della rivista Teatro e Critica, scrivendo di danza e teatro, curando inoltre laboratori di visione in collaborazione con Festival e università. Dal 2021 è docente di Discipline Audiovisive presso la scuola secondaria di II grado.

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