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Carmen. La danza sanguigna di Dada Masilo

Dada Masilo porta in scena una sua personale visione della Carmen di Bizet. Recensione

 

carmen masilo
foto di John Hogg

Accade che la creatività di singoli artisti sia in grado sempre di sparigliare nuovamente le carte, mandando avanti una prorompente energia di interpretazione e rinnovamento in grado di far convivere gli echi di un passato ormai lontano con le tinte forti di un presente che va oltre ogni geografia. È il caso della Carmen di Dada Masilo, presentata in prima nazionale al Romaeuropa Festival 2014. Nel 1845 Prospère Mérimée scriveva una novella dal titolo Carmen, una complessa opera in quattro parti di cui solo l’ultima entrava nel vivo della storia, mentre le prime tre vedevano l’autore stesso, in viaggio in Spagna qualche mese prima, incontrare separatamente i due protagonisti, la gitana di Cordova e il «criminale» Don Jose Navarro. Quest’ultimo racconterà allo scrittore la tragica vicenda di amore e morte che lo aveva precipitato in un vortice di orgoglio e vendetta, spingendolo ad assassinare Carmen, delitto per il quale verrà giustiziato il giorno seguente. Trent’anni dopo, un già famoso Georges Bizet riceveva dal direttore dell’Opéra-Comique di Parigi l’incarico di trarre un’opera dal racconto di Mérimée. La gestazione sarebbe stata lunga e piena di amare vicissitudini, mutilando le idee del compositore che rifiutava di accontentare le richieste degli impresari, decisi ad ammorbidire di molto i toni neri e tragici del materiale originario. Il risultato fu che l’enorme successo della Carmen (chi non ha fischiettato almeno una volta l’ouverture o l’Habanera L’amour est un oiseau rebelle) tardò molto ad arrivare, proprio perché il suo debutto si inseriva in un gusto e un immaginario ancora tardo-romantico. La Parigi che lo ospitava non era ancora quella dei bassifondi, dei bordelli, della tragedia della vita di strada alla fine del secolo.

carmen masilo
foto di Christian Ganet

Va da sé che spiccando un salto di un secolo e mezzo si può veder scorrere sotto un intero fiume di adattamenti più o meno fedeli, di rivisitazioni, di nuove versioni e diversioni, tra opera, cinema, teatro e letteratura, al passo di tempi che hanno scavato intere questioni dentro l’incontro tra sessi, tra culture, tra estrazioni sociali. Poi arriva Dada Masilo. La coreografa sudafricana, che nell’edizione 2012 dello stesso festival era stata interprete d’eccezione del debordante esperimento di William Kentridge Refuse the Hour e che era tornata lo scorso anno per presentare una sua personalissima visione del Lago dei Cigni, organizza dodici straordinari interpreti della sua compagnia The Dance Factory sul palco vuoto del Teatro Brancaccio, riuscendo a restituire al pubblico settanta minuti di danza pura. Una perfetta macchina di ritmo ed equilibrio scenico che mescola la partitura di Bizet con brani di Arvo Pärt ed estratti dalla Carmen Suite di Rodion Ščedrin, che, nota Luca Del Fra nel programma di sala, «rielabora i temi di Bizet in chiave sinfonica». Con una vitalità gioiosa e sfrontata, Masilo è in grado di far assaporare al pubblico le tracce del testo di Mérimée amalgamate a un assoluto talento per la nettezza visiva che molto deve – e lo fa dichiaratamente e senza mai risultare troppo sofisticata – ora all’esempio dei grandi della Modern Dance, ora all’ordine e al sincrono della migliore Pina Bausch, ora alla complessa filologia del flamenco, in cui gli esperti additano tracce delle danze popolari sivigliane.

carmen masilo
foto di John Hogg

L’apertura, nel buio trafitto da un solo faro, è per la stessa Masilo, testa nera rasata e corpo compatto e muscoloso, che scompone in tempo ternario il ritmo nudo e incalzante di mani che battono da dietro le quinte: in un crescendo di tempi perfettamente calcolato, Carmen la gitana diverrà un potente polo d’attrazione per il resto del gruppo di corpi, agili come gazzelle e rigorosamente divisi cromaticamente tra l’abito scuro degli uomini e il rosso delle donne. Fa eccezione una Micaela in costume dorato, elemento di luce che attira lo sguardo di Don Jose e del pubblico tutto, si fa scheggia impazzita e pomo della discordia. Il picador Escamillo diventa un torero, agita il tradizionale drappo giallo e fucsia, sarà con lui che Don Jose appena macchiato dell’omicidio di Carmen ingaggerà il memorabile duello finale che lo costringerà alla resa. Sulle musiche ben si sovrappongono le voci dei danzatori in una delle lingue sudafricane senza bisogno di sopratitoli, forte com’è il senso di un branco che comunica a gesti e, ancor più, a movimenti, che si richiamano ai codici delle danze barocche. A colpire lo sguardo è la natura sanguigna di questa coreografia, in grado di materializzare sui corpi e sui costumi tutto ciò che in scena non appare: la questione della supremazia dei sessi, dell’organizzazione gerarchica che forse niente ha a che vedere con richiami tribali, molto di più con il linguaggio delle strade di oggi. L’enorme talento di questa artista è nell’attitudine vulcanica e incredibilmente precisa con cui i diversi stili si fondono e si confondono, ricostruendo nello stesso quadro i salti e le prese del jazz, il rito di accoppiamento di animali immaginari e la sublime leggerezza del flamenco, incalzante nel ritmo come battito di cuore che non la smette di correre. Nella forsennata danza dei tarocchi che predigono l’infausto epilogo, brillanti come specchi sotto il denso piazzato di luce, in un sincrono non sempre perfetto e però perfettamente viscerale rivivono tutti gli strati della cupa epopea evocata da Mérimée.

Si può apprezzare la danza a molti livelli, a patto che, al fianco di una simile eccellenza e impeccabile muscolarità, non manchi mai la spinta vitale dell’ironia e del gusto di spingersi, sempre, oltre i confini già liquidi del racconto per immagini. E questo spettacolo ne è una prova sorprendente e appassionante.

Sergio Lo Gatto
Twitter @silencio1982

visto al Teatro Brancaccio, novembre 2014, per Romaeuropa Festival

Leggi altri articoli e recensioni sul ROMAEUROPA FESTIVAL

CARMEN
coreografia Dada Masilo
interpreti Dada Masilo, Nadine Alexa Buys, Sonia Zandile Constable, Phindile Kula, Ipeleng Merafe, Refiloe Mogje, Khaya Ndlovu, Cindy Okkers, Thami Majela, Songezo Mcilizeli, Llewellyn Mnguni, Thabani Ntuli, Nonofo Olekeng, Kyle Heinz Rossouw, Tshepo Zasekhaya, Xola Willie
maestra di danza e istruttrice Rosana Maya
direttore tecnico Emmanuel Journoud
direttore di palco François Saint-Cyr
assistente di produzione Sarah Bonjean
compagnia The Dance Factory direttrice Suzette Le Sueur
musica Georges Bizet, Rodion Šcedrin, Arvo Pärt
creazione luci Suzette Le Sueur
ideazione costumi Dada Masilo, Suzette Le Sueur
costumi Ann Bailes, Kobus O’Callaghan
produzione The Dance Factory/Suzette Le Sueur, Interarts Lausanne/Chantal et Jean-Luc Larguier
diffusione Scènes de la Terre/Martine Dionisio
co-produzione Biennale de la danse/Lyon, Théâtre du Rond-Point/Paris, Les Théâtres de la Ville de Luxembourg/Luxembourg, L’Espace des Arts/Chalon-sur-Saône, Théâtres en Dracénie/Draguignan, La Rampe – Scène conventionnée danse et musique/Echirolles

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Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto è giornalista, critico teatrale e ricercatore. È stato consulente alla direzione artistica per Emilia Romagna Teatro ERT Teatro Nazionale dal 2019 al 2022. Attualmente è ricercatore presso l'Università degli Studi Link di Roma. Insegna anche all'Alma Mater Studiorum Università di Bologna, alla Sapienza Università di Roma e al Master di Critica giornalistica dell'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica "Silvio d'Amico" di Roma. Collabora alle attività culturali del Teatro di Roma Teatro Nazionale. Si occupa di arti performative su Teatro e Critica e collabora con La Falena. Ha fatto parte della redazione del mensile Quaderni del Teatro di Roma, ha scritto per Il Fatto Quotidiano e Pubblico Giornale, ha collaborato con Hystrio (IT), Critical Stages (Internazionale), Tanz (DE), collabora con il settimanale Left, con Plays International & Europe (UK) e Exeunt Magazine (UK). Ha collaborato nelle attività culturali e di formazione del Teatro di Roma, partecipato a diversi progetti europei di networking e mobilità sulla critica delle arti performative, è co-fondatore del progetto transnazionale di scrittura collettiva WritingShop. Ha partecipato al progetto triennale Conflict Zones promosso dall'Union des Théâtres de l'Europe, dove cura la rivista online Conflict Zones Reviews. Insieme a Debora Pietrobono, è curatore della collana LINEA per Luca Sossella Editore e ERT. Tra le pubblicazioni, ha firmato Abitare la battaglia. Critica teatrale e comunità virtuali (Bulzoni Editore, 2022); con Matteo Antonaci ha curato il volume Iperscene 3 (Editoria&Spettacolo, 2018), con Graziano Graziani La scena contemporanea a Roma (Provincia di Roma, 2013). [photo credit: Jennifer Ressel]

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