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age. L’altra giovinezza di CollettivO CineticO

age. Il lavoro di Francesca Pennini (CollettivO CineticO) con nove adolescenti al Teatro Vascello nella rassegna Le vie dei festival.

 

age pennini
foto di Ufficio Stampa

Molte volte se ne è parlato su queste e altre pagine, quando si portano sulla scena dei corpi “altri” – soprattutto gli “under o over” una certa età – occorrono particolari cautele. Lasciando da parte (ma è davvero possibile?) l’intero discorso che si riferisce alle peculiarità di queste fasce anagrafiche, e di conseguenza l’atteggiamento dello spettatore nei confronti della contemplazione di certi corpi invece di altri, la subdola impressione che l’artista stia in qualche strano modo abusando sia di loro che di noi, l’opinione di chi scrive è che per far sì che un lavoro scenico non si veda schiacciato da una tale valanga di problematiche è necessario che resti visibile al pubblico innanzitutto il processo di lavoro.
Ci è capitato diverse volte in passato di incontrare il lavoro di Francesca Pennini e del suo CollettivO CineticO, ammettiamo di aver diverse volte sperimentato la fatica di accedervi realmente, in qualche modo calciati fuori da un certo eccessivo piglio concettuale, intellettuale ed ermetico anche a dispetto del carattere di questa artista ferrarese, invece così curiosa e aperta alla messa in discussione. Bisogna tuttavia riconoscere a questo gruppo la strenua volontà e l’ingegno necessario per sperimentare davvero: grazie a un assetto d’analisi di carattere eminentemente scientifico il loro è sempre stato un percorso alla ricerca della definizione, prima ancora che di un risultato, di un “modo”. E dunque di un processo.

age pennini
foto ufficio stampa

La versione 2014 di <age> è andata in scena al Teatro Vascello nell’ambito de Le vie dei Festival e proprio il processo di lavoro è stato subito chiaro agli spettatori. Così come il dispositivo I x I No, non distruggeremo…, che vedeva un gruppo di performer bendati reagire agli impulsi dati da una macchina azionata dagli spettatori, anche in questo (liberissimo) omaggio a John Cage il tavolo operatorio e l’intero set di strumenti è da subito spiegato a tutti: i nove adolescenti che abiteranno il palco hanno memorizzato una serie di gesti associati a stati d’animo, conformazioni emotive e comportamenti e verrà loro chiesto di “rappresentarli” a comando. A un angolo del palco vuoto giace un computer portatile, una sorta di principio generatore che detta a un tecnico – il quale rimarrà in scena a impartire silenziosamente gli “ordini” per i performer, proiettandoli sul fondale – le istruzioni per costruire l’ambiente: tavolo, sedia, computer, due panche, bottiglie d’acqua. Come in una desolata palestra, i ragazzi siedono muti sulle panche, si alzano a turno o in gruppo per andare a occupare il palco eseguendo i gesti imparati dai propri corpi, che rispondendo in maniera diretta alle descrizioni proiettate sul fondale, portano l’individuo a «autodefinirsi».

Quest’ultimo verbo viene messo in chiaro nei titoli di testa che precedono il tutto, assegnando all’intero lavoro un intento programmatico. Pur se in parte giustificata da quel gusto, appunto, scientifico, quasi hegeliano che pone immediatamente la tesi, poi la confuta e traccia risultati, una simile formula rischia di produrre nel pubblico aspettative che sottraggono attenzione al vero centro dell’opera: il processo. Stavolta non ci troviamo di fronte a uno dei tanti “esiti di laboratorio”, in cui l’artista invitato mostra cosa ha fatto fare al suo gruppetto nella settimana appena conclusa; si tratta di un vero e proprio lavoro di creazione e produzione lungo dei mesi, preceduto da un casting accurato e seguito da un vero e proprio tour. Tutto ciò resta molto evidente e specifica un indirizzo di cura complesso e stratificato: mescolare una sorta di algoritmo aleatorio alla memoria fisica e vedere la combinazione dei due come l’espressione performativa di uno “stato d’anima” peculiare di un’età è un compito ambizioso e appassionante. Così come è divertente, a volte tenero, a volte fieramente noioso osservare i nove corpi mettersi in mostra per noi.

age pennini
foto ufficio stampa

Il lato scientifico dell’esperimento è di tale spessore che la dimensione prettamente performativa (in parte anche perché declinata su dei corpi che non vivono, ai quali non è richiesto in quell’ora e un quarto una vera e propria vocazione al movimento) è più debole. L’obiettivo che vorrebbe rintracciare una linea visiva o drammaturgica peculiare della danza viene quindi programmaticamente offuscato, in forza dell’attenzione a un concetto, quello dell’autodefinizione, e alla sua problematicità rappresentata, tramite la componente aleatoria, come un agente esterno nel vissuto dei singoli. Quello che a tratti pare mancare è un vero e proprio passaggio di stato che dalle radici quasi meccaniche dell’apprendimento dei movimenti e del sistema di reazione porti alla costruzione in tempo reale di un’identità. Anche momentanea, anche sfuggente, anche effimera, come lo sono quasi tutti casi della vita accaduti tra i tredici e i diciannove anni. Forse quell’intimità poetica dei corpi ha bisogno di essere indagata anche con strumenti meno freddi, forse più poggiati sull’interazione. E forse questa non è una reale critica, ma un incoraggiamento a osare ancora di più, se non neutralizzando l’intento scientifico, passando dalla sperimentazione all’applicazione.

Sergio Lo Gatto
Twitter @silencio1982

visto al Teatro Vascello, novembre 2014

<AGE>
NUOVA EDIZIONE (anno 2014)
concept e regia Francesca Pennini
assistente alla drammaturgia e alla didattica Angelo Pedroni
assistenza organizzativa Carmine Parise
azione e creazione Tilahun Andreoli, Samuele Bindini, Thomas Calvez, Marco Calzolari, Camilla Caselli, Jacques Lazzari, Matteo Misurati, Emma Saba, Martina Simonato
produzione 
CollettivO CineticO, Romaeuropa Festival, Armunia / Festival Inequilibrio, 
L’Arboreto Teatro Dimora di Mondaino, 
CSC Centro per la Scena Contemporanea / Operaestate Festival Veneto, Festival miXXer / Conservatorio di Ferrara, Danae Festival
con il contributo del Fondo per la Danza d’Autore della Regione Emilia Romagna
ha vinto il “Progetto Speciale Performance 2012. Ripensando Cage” ideato da Valentina Valentini e indetto da Centro Teatro Ateneo dell’Università La Sapienza di Roma, Fondazione Romaeuropa, L’arboreto – Teatro Dimora di Mondaino, Armunia/Festival Inequilibrio di Castiglioncello eCSC – Centro per la Scena Contemporanea/Casa della Danza di Bassano del Grappa in occasione del centenario della nascita di John Cage.

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Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto è giornalista, critico teatrale e ricercatore. È stato consulente alla direzione artistica per Emilia Romagna Teatro ERT Teatro Nazionale dal 2019 al 2022. Attualmente è ricercatore presso l'Università degli Studi Link di Roma. Insegna anche all'Alma Mater Studiorum Università di Bologna, alla Sapienza Università di Roma e al Master di Critica giornalistica dell'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica "Silvio d'Amico" di Roma. Collabora alle attività culturali del Teatro di Roma Teatro Nazionale. Si occupa di arti performative su Teatro e Critica e collabora con La Falena. Ha fatto parte della redazione del mensile Quaderni del Teatro di Roma, ha scritto per Il Fatto Quotidiano e Pubblico Giornale, ha collaborato con Hystrio (IT), Critical Stages (Internazionale), Tanz (DE), collabora con il settimanale Left, con Plays International & Europe (UK) e Exeunt Magazine (UK). Ha collaborato nelle attività culturali e di formazione del Teatro di Roma, partecipato a diversi progetti europei di networking e mobilità sulla critica delle arti performative, è co-fondatore del progetto transnazionale di scrittura collettiva WritingShop. Ha partecipato al progetto triennale Conflict Zones promosso dall'Union des Théâtres de l'Europe, dove cura la rivista online Conflict Zones Reviews. Insieme a Debora Pietrobono, è curatore della collana LINEA per Luca Sossella Editore e ERT. Tra le pubblicazioni, ha firmato Abitare la battaglia. Critica teatrale e comunità virtuali (Bulzoni Editore, 2022); con Matteo Antonaci ha curato il volume Iperscene 3 (Editoria&Spettacolo, 2018), con Graziano Graziani La scena contemporanea a Roma (Provincia di Roma, 2013). [photo credit: Jennifer Ressel]

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