Riforma Fus: l’intervento di Velia Papa, direttrice di Marche Teatro. Segui su Twitter #inchiestaFUS
Stiamo conducendo un’inchiesta sulla nuova legge che regola l’accesso ai contributi con la riforma Fus. Dopo l’articolo di Andrea Pocosgnich di attraversamento e riflessione stiamo chiedendo, ad alcuni artisti e operatori a nostra scelta, uno scritto o un video in cui emerga un parere sulla legge in relazione al lavoro e alle prerogative di ognuno. Gli interventi verranno pubblicati su TeatroeCritica.net a puntate al fine di creare un dibattito aperto ed eterogeneo sull’argomento. TeC
Velia Papa ha fondato e diretto il Circuito Teatrale Regionale Amat fino al 1992, ha fondato e diretto fino al 1997 il Teatro Stabile Privato di interesse pubblico Teatro Europa Esperimenti, ha fondato e diretto il Centro Inteatro già finanziato, nell’ambito del Teatro, come Festival Internazionale e Teatro Stabile di Innovazione.
Ha fatto parte della Commissione Consultiva Musica istituita presso il MIBAC nel biennio 2008 e 2009.
Dal 2004 al 2011 è stata docente a contratto presso l’Università Politecnica delle Marche per
l’insegnamento di “Economia e gestione delle Imprese dello Spettacolo” nel corso di laurea in Economia del
Turismo e del Territorio. Ha fatto parte dell’Osservatorio Regionale delle Marche per lo spettacolo dal vivo, nel biennio 2006-2008. Il suo percorso professionale si distingue per una particolare esperienza in materia di innovazione artistica, scoperta e promozione dei nuovi talenti della scena nazionale ed internazionale. Info curriculum
Nel nuovo decreto ci sono aspetti molto positivi. Si introduce finalmente il concetto di triennalità, si spinge verso il sostegno ai giovani e all’innovazione, si apre alla trasversalità dei generi, si introducono elementi di valutazione che rendono più difficile mantenere le rendite di posizione. Se questi sono gli elementi decisamente positivi, ci sono però altri aspetti che rischiano di irrigidire ancora di più il teatro italiano.
Innanzitutto scompare il concetto di funzione pubblica. È vero che fino ad oggi in molti casi pubblico ha rischiato di sottintendere: sprechi, clientele, ingerenze della politica, ma questo non basta per eliminare completamente un termine che invece andrebbe declinato in forme corrette e che resta un elemento fondamentale per rilanciare un’idea di teatro inteso anche come servizio. Glissando sul termine “pubblico” si rende superfluo il concetto di responsabilità nei confronti della comunità in cui si opera. In Italia abbiamo sempre sofferto la confusione tra pubblico e privato. In altri Paesi il cosiddetto teatro commerciale gode di agevolazioni ed incentivi ma non si confonde mai con le istituzioni pubbliche. Nel nostro Paese non c’è alcuna differenza, tutti fanno tutto e ci si contendono fette di mercato con le medesime modalità ed attraverso i medesimi canali distributivi. Una caratteristica che ha irrigidito il mercato, che non ha favorito investimenti sulla crescita di una cultura teatrale diffusa aperta a nuove fasce di utenza. Una confusione che si nota nelle programmazioni quasi identiche dei teatri della penisola che preferiscono proporre titoli “sicuri”, volti televisivamente noti, piuttosto che puntare su nuovi autori e su attori, magari bravissimi, ma sconosciuti al cosiddetto “grande pubblico”.
Sottolineare la funzione pubblica, incentivando la partecipazione diretta o indiretta degli Enti locali e regionali, non solo attraverso l’erogazione delle risorse, significa approfondire il senso della missione pubblica, le forme del controllo, la visione artistica e culturale di ciascuna istituzione avviando un processo di revisione delle strategie culturali perseguite, dei meccanismi operativi e dei modelli di sostenibilità economica. In merito alla preoccupazione riguardo ai famosi “elenchi Istat”, piuttosto che optare per una strada abbreviata che ha cancellato ogni riferimento, avrebbe giovato un chiarimento ex ante sulla natura degli Enti teatrali e dunque sulla loro o meno sottomissione alle norme vigenti in materia di finanza pubblica. Sarebbe stato forse più produttivo introdurre una generale revisione delle modalità, delle procedure, delle tecniche di controllo e gestione, cominciando a radicare una efficace e solida cultura manageriale, la cui mancanza, nelle imprese, è probabilmente all’origine della difficoltà di riformare in modo deciso il teatro italiano permettendogli quel salto di qualità che oggi fatichiamo a perseguire.
Per quanto riguarda le forme della stabilità, declinate oggi in Teatri Nazionali e Teatri di Interesse Culturale, è ampiamente condivisibile l’intento di incentivarne la stanzialità, il rapporto con il proprio bacino di utenza, le lunghe teniture che purtroppo in Italia mancano anche nei grandi centri metropolitani. Ma per far questo si sono inseriti limiti preoccupanti alle forme di cooperazione tra teatri, quando in altri Paesi il ricorso alla molteplicità dei coproduttori è una modalità consueta che permette la produzione di spettacoli di grande spessore artistico e la promozione di artisti emergenti. Inoltre il limite piuttosto elevato alla diffusione della produzione, connesso al forte aumento delle “recite in sede”, potrebbe spingere verso una diluizione produttiva qualitativamente poco efficace, indebolendo la capacità di creare occasioni di confronto con compagnie ed artisti esterni. Un meccanismo di implosione che potrebbe isolare ed impoverire ancora di più il teatro italiano che già soffre di un’insufficiente apertura internazionale.
È apprezzabile la volontà di colpire le rendite di posizione immeritate e le distorsioni del mercato degli scambi, ma l’imposizione di rigidi parametri quantitativi riducono i margini per premiare le scelte strategiche più coraggiose ed innovative. I limiti del FUS, i continui tagli alla spesa e un insieme complesso di briglie numeriche, probabilmente, non saranno in grado di ridare al nostro teatro quello slancio ideativo e progettuale di cui avrebbe bisogno.
Velia Papa
direttore Marche Teatro
Teatro Stabile Pubblico
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