Riforma Fus: l’intervento di Marco Valerio Amico di gruppo nanou. Segui su Twitter #inchiestaFUS
Stiamo conducendo un’inchiesta sulla nuova legge che regola l’accesso ai contributi con la riforma Fus. Dopo l’articolo di Andrea Pocosgnich di attraversamento e riflessione stiamo chiedendo, ad alcuni artisti e operatori a nostra scelta, uno scritto o un video in cui emerga un parere sulla legge in relazione al lavoro e alle prerogative di ognuno. Gli interventi verranno pubblicati su TeatroeCritica.net a puntate al fine di creare un dibattito aperto ed eterogeneo sull’argomento. TeC
GRUPPO NANOU nasce a Ravenna nel luglio del 2004 come luogo di incontro dei diversi linguaggi e sensibilità che caratterizzano la ricerca artistica di Marco Valerio Amico, Rhuena Bracci e Roberto Rettura. In questo contesto suono e immagine e movimento trovano un linguaggio comune nella coreografia, dando vita ad un’opera organica.
gruppo nanou concentra la propria ricerca sul corpo, inteso come: corpo sonoro, corpo/oggetto, corpo/luce, elementi che si situano sullo stesso piano del corpo del performer, il quale diviene segno tra i segni. Di conseguenza il linguaggio coreutico è assunto come piano comune per le diverse specializzazioni artistiche che dialogano sulla scena. Vi è una coreografia dell’immagine, il cui movimento è dato da un peculiare utilizzo della luce, ed una coreografia del suono, che non solo accompagna, ma suggerisce e talvolta svela la direzione stessa del corpo e del movimento.Info www.grupponanou.it/curriculum/
La riforma del FUS pubblicata il primo luglio 2014 non può che trovarmi d’accordo ed entusiasta: d’accordo sul fatto che i teatri debbano offrire maggiori aperture, d’accordo che la circuitazione debba essere aumentata sia per quanto riguarda le realtà produttive che quelle ospitanti, d’accordo nell’immaginare l’aumento del numero di giornate lavorative.
In fondo, per quanto riguarda la danza, settore di cui faccio parte, credo che 40 giornate di spettacolo su 365 giorni o 600 giornate di contributi versati in un anno siano una prospettiva accettabile.
Ai “nuovi” teatri Nazionali viene chiesto di garantire 240 giornate recitative di produzione; tale operazione potrebbe determinare nuovi accessi produttivi alle compagnie. Stesso discorso per i “nuovi” centri di produzione teatrale, i cui minimi sono fissati a «120 giornate recitative di produzione e a 100 di programmazione recitativa» (produzione nel primo caso, ospitalità nel secondo). Anche questo può rappresentare un’interessante potenzialità per nuove co-produzioni proposte da realtà che non hanno spazi in gestione e una spinta per una circuitazione più capillare sul territorio nazionale.
E ancora: aumento a 160 giornate recitative per i circuiti, aumento per i festival, per le rassegne… aumento per tutti.
Insomma, vista sommariamente, la situazione è rassicurante e anzi, potenzialmente, di grandissimo rilancio per ciò che potrebbe divenire il nuovo sistema teatrale italiano.
Poi sorge qualche dubbio, si insinuano paure date dalla mancata chiarezza dei riferimenti, delle regolamentazioni e dal “sistema Italia” che a partire dagli slanci ha spesso elaborato storture sistematiche.
Tutti questi innalzamenti dei minimi corrisponderanno poi anche ad aumenti dei finanziamenti? Se un teatro dovrà programmare più giornate di apertura, avrà maggiori economie a disposizione? O si suddividerà ulteriormente il budget causando una diminuzione dei cachet proposti? Le “nuove” realtà che si occuperanno di produrre gli spettacoli, potranno sostenere nell’arco di un anno produzioni di più autori? O un autore soltanto sarà costretto a produrre dieci lavori in un anno? Appare il rischio che, nelle piccole città, una realtà artistica possa monopolizzare la visione dello spettacolo dal vivo territoriale, proponendo quasi esclusivamente le proprie produzioni. Queste modalità saranno in grado di sbloccare gli accessi ai circuiti superando la necessità della “logica dello scambio”?
Su più fronti ho sentito nominare questo decreto come il decreto “multidisciplinare”.
Per quale motivo allora proprio alle attività di produzione artistica viene chiesto di “schierarsi” su un genere di spettacolo, mentre alle realtà di programmazione viene offerta la possibilità di programmare in maniera multidisciplinare? Che significa multidisciplinare? Che in un cartellone possono essere presenti danza, musica, teatro, circo o che l’attività artistica si è ibridata da più linguaggi capaci di coesistere e creare qualcosa di diverso?
Un ultimo aspetto riguarda la nascita di nuove realtà. In particolare riguardo alla programmazione si esplicita che il finanziamento ministeriale dovrà essere corrisposto per una somma pari al 100% dagli enti territoriali nel caso dei Teatri Nazionali e del 40% nel caso dei Teatri di rilevante interesse culturale.
In un momento in cui gli enti territoriali hanno meno risorse, impiegando i loro budget su indicazioni esclusivamente ministeriali, si rischia che future realtà non possano nascere neanche sotto la guida di enti territoriali accorti che potrebbero non essere in grado di sostenere le condizioni economiche. Non si rischia che la programmazione teatrale in Italia diventi un atto di clientela politica anziché di visione culturale?
Certo, queste domande nascono proprio dai timori che il decreto dice di voler ribaltare. E speriamo che lo faccia davvero perché trovo ancora sorprendente che in Italia l’accesso ai fondi per le attività dello spettacolo dal vivo sia visto come elitario e non popolare come invece spesso accade nel resto d’Europa. E non intendo popolare come sinonimo di “intrattenimento” ma come un accesso aperto a chiunque lavori per il progresso culturale di una nazione. Ritengo che lo spettacolo dal vivo in Italia sia ancora una risorsa di pensieri e azioni d’avanguardia capaci di far crescere questo paese. Per questo motivo, spero con tutto me stesso che i timori vengano smentiti dalle azioni.
Marco Valerio Amico per gruppo nanou
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