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Riforma Fus. Interviene Marco Lucchesi del Teatro Due di Roma

Riforma Fus: l’intervento di Marco Lucchesi, direttore dal 1985 del il Teatro Due Roma teatro stabile d’essai. Segui su Twitter #inchiestaFUS

 

Marco Lucchesi direttore del Teatro Due di Roma
Marco Lucchesi direttore del Teatro Due di Roma

Stiamo conducendo un’inchiesta sulla nuova legge che regola l’accesso ai contributi con la riforma Fus. Dopo l’articolo di Andrea Pocosgnich di attraversamento e riflessione stiamo chiedendo, ad alcuni artisti e operatori a nostra scelta, uno scritto o un video in cui emerga un parere sulla legge in relazione al lavoro e alle prerogative di ognuno. Gli interventi verranno pubblicati su TeatroeCritica.net a puntate al fine di creare un dibattito aperto ed eterogeneo sull’argomento. TeC

Marco Lucchesi (1955) è un regista teatrale italiano. Dirige dal 1985 il TEATRO DUE ROMA teatro stabile d’essai.
Inizia il suo lavoro come regista/documentarista nel 1981 realizzando vari documentari per la Corona Cinematografica. Nello stesso anno partecipa come borsista ad alcuni allestimenti del Piccolo Teatro di Milano diplomandosi con una tesi sul Caligola di Albert Camus. Lavora quindi come assistente di Eduardo De Filippo (Teatro Ateneo, Mettiti al passo di Claudio Brachino) e Gabriele Lavia (Teatro Eliseo, Tito Andronico) fonda quindi nel 1985 il Teatro Due di Roma.
Dal 1986 ad oggi ha messo in scena numerosi spettacoli tratti da testi di autori moderni e contemporanei (Pinter, Camus, Duras, Sarraute, Nicolaj, Santanelli, Sanguineti, Nediani, Kohout, Betti, Ruccello, Landolfi, Valduga). Nel 1997 fonda, su incarico del Maestro Menotti, la Compagnia Stabile del Festival di Spoleto, mettendo in scena L’isola purpurea di M. Bulgakov e Per un si o per un no di Nathalie Sarraute.
Dal 2000 alterna l’attività di regista teatrale a quella di organizzatore/produttore di eventi culturali e di direzione artistica del Teatro Due di Roma.

Un baratro travestito da ponte

Il 2015 si appresta a diventare l’anno di grazia in cui alcuni piccoli storici teatri romani (parliamo di almeno 30 anni di attività) saranno costretti a chiudere in seguito alla emanazione del DM FUS “a firma” del Ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini, che ha approvato i “Nuovi criteri per l’erogazione e l’anticipazione di contributi allo spettacolo dal vivo, a valere sul FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo), di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163”.

In poche parole succede che le nuove disposizioni dettate dal Decreto Ministeriale, un obbrobrio burocratico fatto di algoritmi e punti/euro, alla faccia della semplificazione renziana, non consentono più nei fatti, quanto improvvisamente, l’accesso ai finanziamenti pubblici a quelle sale teatrali che non abbiano numeri e strutture così grandi da poter prevedere l’impiego per tutto l’anno di almeno 12 persone (quelle che servono per gestire un teatro come l’Eliseo per intenderci) e cancellano contestualmente ogni forma di incentivo accordato negli anni a tali attività (teatri con capienza inferiore a 250 posti) in virtù delle particolari funzioni svolte e riconosciute da quegli stessi Uffici che oggi le negano per legge. A fronte di questo non viene proposto niente di alternativo che possa ragionevolmente accompagnare tali strutture verso una nuova organizzazione del proprio lavoro se non un vago e demagogico invito a consorziarsi (del tipo: ”se proprio ci tenete…”) in aggregazioni impraticabili e fallimentari vista la pochezza delle risorse e la complessità di un tessuto culturale come quello romano sempre più anonimo e neo-dilettantistico, ormai talmente sfilacciato da non essere neanche più difendibile.

I teatri che vengono esclusi sono tra quelli che a Roma hanno massimamente contribuito negli anni a far nascere, crescere e promuovere quelle nuove generazioni di attori, di autori, di registi che oggi sono giustamente considerati e protetti, ma che senza quel tessuto di spazi piccoli e medi che li hanno accolti in supplenza dei ruoli istituzionali, non avrebbero certamente avuto modo di crescere e di farsi conoscere, visto il sistema teatrale pubblico ingessato degli ultimi cinquant’ anni; come dire: “grazie non servite più, adesso ci siamo noi, potete anche tornare a casa”.

Ma “ci siamo noi chi ?” Un’amministrazione che sta attribuendo i finanziamenti del 2014 in questi giorni, a fine stagione, un’amministrazione che a ottobre non è in grado di dare una luce su quanto accadrà “rivoluzionariamente” nel 2015, un’amministrazione che non è stata in grado di nominare il Direttore dello Stabile Capitolino,contestata omeopaticamente da se stessa, un’amministrazione (e non ci rivolgiamo ai quadri operativi che da anni suppliscono alle mancanze dell’apparato politico con tenacia e professionalità non sempre riconosciuta) abbandonata a se stessa da  che negli anni hanno costantemente delegato al Direttore Generale oneri e onori di questo baraccone creato da loro stessi.
Però in questo caos c’è chi si è preso la briga di individuare nelle piccole sale teatrali il bubbone che appesta il teatro italiano con buona pace delle grandi strutture che faranno spalluce fregandosene della nuova normativa.
Il solco che separa in modo sempre più netto e profondo la Pubblica Amministrazione dal mondo produttivo si è fatto baratro travestendosi da ponte; un ponte pericolosissimo poiché invita ad attraversarlo in nome del cambiamento e dell’innovazione senza tener conto della realtà di trent’anni di incuria e  smobilitazione del tessuto culturale italiano.

Tutto questo con l’avallo dei sindacati e delle sigle di Categoria, alle quali andrebbe chiesto immediatamente di pubblicare i nomi dei propri iscritti poiché nella maggior parte dei casi non rappresentano più nessuno – partendo dall’AGIS Nazionale – e questo la Pubblica Amministrazione lo sa ma fa strumentalmente finta di non saperlo.

Visto il pre-pensionamento artistico che si profila all’orizzonte avremo tempo di stare alla finestra a vedere questa distribuzione di pani e di pesci nella convinzione che le riforme non si fanno mai contro qualcuno ma per qualcuno e quei ”qualcuno” non saranno certo i giovani ai quali è rivolta strumentalmente questa devastante rivoluzione.

Bene noi diciamo a questi miopi burocrati che i giovani, gli autori, gli artisti tutti, si sostengono creando le condizioni strutturali di libera scelta e circolazione delle idee, comune a qualsiasi paese culturalmente civilizzato, e non obbligando gli operatori a decidere in funzione di punti e benefit da promozione televisiva.
La trasparenza si ottiene con regole semplici e chiare non con dichiarazioni giurate.
La produttività e i numeri si ottengono facendo crescere la propria comunità, insieme alla scuola, allo Stato, alla politica, alle professioni e anche ai teatri che sono innanzitutto delle città che li ospitano e non di coloro che li gestiscono e la comunità se ne dovrebbe – e se ne farà carico, ne siamo certi – in nome del buon senso e dell’Art. 9 della Costituzione Italiana “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica, tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione……..” Tutto! Non dice né grande né piccolo. Dice TUTTO

Marco Lucchesi

Leggi l’articolo sulla riforma Fus

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2 COMMENTS

  1. E’ sconcertante apprendere che ciò che non sono riusciti a fare i governi di centrodestra riesca così bene al centrosinistra: Buttiglione, Tremonti, Galan, Urbani, non sono riusciti a smontare definitivamente la rete dello spettacolo dal vivo, Franceschini si. Che Dio mi folgori se voto ancora PD

  2. Curiosando nel web a proposito dell’argomento abbiamo trovato questo articolo su ATEATRO:
    – Dario Franceschini: “È una riforma attesa da anni che rende più equi e trasparenti i criteri di assegnazione del Fus, incentiva la partecipazione giovanile, semplifica le procedure, incoraggia la programmazione prevedendo la triennalità dei contributi e supera il vecchio sistema dei teatri stabili creando i Teatri nazionali e di rilevante interesse culturale. Il riordino è il frutto di un percorso intrapreso nel giugno 2013 attraverso un fruttuoso e positivo confronto con Regioni e Comuni e le categorie che ha permesso di elaborare un testo ampiamente condiviso. Il provvedimento rende il sistema equo e rispondente alle attuali esigenze del settore, superando disposizioni che non avevano ormai alcuna corrispondenza con l’offerta culturale del Paese. Le risorse del FUS verranno attribuite in base alla quantificazione delle attività realizzate e dei risultati raggiunti, con indicatori chiari e misurabili, e saranno aperte a tutte le realtà attive nel territorio nazionale. Verrà incentivata la partecipazione giovanile, saranno semplificate le procedure e i fondi saranno assegnati su base triennale, consentendo una maggiore capacità di programmazione finora limitata dal carattere annuale del contributo. Inoltre verrà reso possibile il finanziamento delle realtà multidisciplinari e favorita l’internazionalizzazione delle attività, mentre verrà rafforzato il ruolo della musica contemporanea di qualità, tra cui il jazz, finora esclusa dai finanziamenti statali. Infine, le nuove norme prevedono la creazione dei ‘Teatri Nazionali’ e dei ‘Teatri di rilevante interesse culturale’ per riconoscere e premiare le eccellenze e fare di queste due nuove categorie gli assi strategici dell’intervento pubblico per lo spettacolo dal vivo. Con questa riforma la scena italiana godrà di uno strumento efficace per crescere e sviluppare le proprie straordinarie potenzialità”.

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