Due spettacoli del progetto Fabula Mundi. Playwriting Europe. L’inferno è solo una sauna di Valentino Villa e Trilogia della separazione di Babilonia Teatri
Non siamo impazziti, no. Sappiamo che Short Theatre 2014 è finito ormai un mese fa e che ciò che compare in queste righe, invece, va a ripescare almeno due titoli di lavori offerti al pubblico della Pelanda. A discolpa chiamiamo un vivo interesse che ci ha colto nei confronti dell’anima del progetto che di questi due lavori era punto comune, Fabula Mundi Playwriting Europe. C’è voluto un po’ per organizzare un pur piccolo ragionamento e il motivo non sta solo nell’ipertrofia di questo ambiente e di questo mestiere (di qua o di là dal palco), non solo nella difficoltà e a volte nel pudore che costa fermare certe impressioni e far sì che un pensiero le contestualizzi in un flusso incapace di arrestarsi. Stavolta l’inerzia è motivata da una certa difficoltà proprio di visione. Del progetto Fabula Mundi avevamo già parlato in queste pagine, non limitandoci a registrarlo come una “bella iniziativa”, ma andandone con piacere a conoscere e ad approfondire lo slancio creativo, il coraggio e, soprattutto, la lungimiranza. In un recente convegno nell’ambito di stArt Up a Taranto avevamo ascoltato, con un po’ di sorpresa, l’intervento dell’illustre collega «critico militante» (così recita una delle sue note biografiche) Gianni Poli il quale, da esperto, ci offriva un interessante excursus della scena francese contemporanea votata alla drammaturgia, per poi chiudere rammaricandosi a proposito della mancanza di contatti con quel paese e di carenza, qui in Italia, di omologhi esempi di rilievo. Era giunta presto una replica di Gerardo Guccini, che bruciava sul tempo il sottoscritto nel citare il pregevole lavoro svolto da Face-à-Face in questi anni e, appunto, il bel seguito di Fabula Mundi. Dal 2012 a oggi il lavoro di scambio di autori e relativi testi tra Italia, Francia, Spagna, Germania e Romania non si è mai interrotto, arricchendosi invece di un comparto analitico e di connessione diretta con gli spettatori.
Fatto sta che a Short Theatre 9 ci siamo trovati ad assistere a due costole di questo adamo: L’inferno è solo una sauna affidato alla regia di Valentino Villa e Trilogia della separazione per la cura di Babilonia Teatri, due esempi che testimoniano di certo un diverso linguaggio ma, qui sta il senso di queste righe, forse anche di diverso approccio alla complessa questione della commissione. Il primo testo, firmato dalla giovane drammaturga svizzera Katja Brunner (tradotto da Alessandra Griffoni) prende spunto dal fatto di cronaca noto come “caso Fritzl”. Prima della liberazione nel 2008, Elisabeth ha vissuto segregata per ventiquattro anni dal padre in una cantina, dove ha dato vita a sette figli incestuosi. In un dirompente esperimento drammaturgico, al fatto di cronaca – cui si è ispirata anche Elfriede Jelinek per il suo FaustIn and Out, che Fabrizio Arcuri porterà in scena nei prossimi mesi – restano pochi inquietanti accenni, messi a mollo in un vero e proprio fiume di parole che scava un percorso più morale, disegnando la controversa figura dell’ermafrodito da un lato come il risultato evidente di una perversione, ma maggiormente quasi come un prodotto espressionista di una distorsione sociale. Quella di Brunner è una sorta di distopica mitologia dell’essere umano, non separata dalla critica all’abuso di una comunicazione “social” di massa, che riesce tuttavia a non farsi schiavizzare da essa. Il lavoro di Valentino Villa, che avevamo visto in veste di attore in Ce ne andiamo per non darvi altre preoccupazioni e prima come regista del bell’esperimento radiofonico di Music Hall di Jean-Luc Lagarce, riesce a destreggiarsi in questa sorta di campo minato del linguaggio in cui apparentemente non esistono ripari. A un gruppo di rampolli dell’Accademia Silvio d’Amico – che non interpretano personaggi, come potrebbero? – offre d’appiglio solo lo spazio quasi nudo, l’uso di qualche microfono e l’imponente totem di una casa stilizzata, telaio di plastica la cui copertura trasparente è affumicata dal vapore. Al suo interno, la coscienza ormai dilaniata di Elisabeth sfodera monologhi dal centro dell’inferno, mentre la struttura scompaginata lascia allo spettatore il compito di portarsi a casa il proprio inventario di significati.
Il testo finito in mano a Enrico Castellani e Valeria Raimondi, di certo più ingessato e tenue, è scritto dall’ex operaio belga Remi De Vos (tradotto da Anna D’Elia), adottato dalla Francia che gli ha dato notorietà. È un serrato affresco a due voci sui rapporti di coppia, sul ruolo della donna, sulla omosessualità, su bambini che «se non nascevano era più semplice per tutti». Babilonia Teatri, dopo averci negli anni sorprendentemente provocato con crude e sfacciate presenze che scandiscono pedantemente ogni sillaba urlando oltre ogni intonazione, compie qui un saltello in avanti e mette in scena due corpi seminudi e volutamente sgraziati, attorno a un tavolo neutro che sarà prima altare per una statua immobile ma aggressiva, poi piano di lavoro per sezionare tra le lacrime indotte un sacco di cipolle, mentre le casse mandano il testo così com’è, “recitato” da due voci automatiche di quelle da centralino telefonico. È intuibile dunque il passaggio di grado che toglie agli interpreti addirittura la ruvida enunciazione dell’invettiva, trasferendone l’ascolto sul tono asettico dell’intelligenza artificiale – che strappa anche qualche risata –, ma lo è di più per chi conosce il percorso della compagnia. Agli altri rischia di sembrare un freddo esperimento a togliere.
Esperimenti, entrambi, che fanno i conti con la grande scommessa di un lavoro che si riceve per commissione, su cui dunque non interviene, non dall’inizio almeno, la scintilla creativa che invece anima le urgenze del nostro teatro di ricerca. Al di là dei giudizi di valore sui testi (che tutto sommato sono solo una parte del progetto Fabula Mundi) la sensazione è che, ammorbidita appunto la molla dell’urgenza, per dare davvero valore a un lavoro di scambio (spesso accettato sotto la spinta di un’emergenza sistemica ed economica) debba intervenire una pratica scenica in grado di sporcarsi le mani. Senza dubbio un’estetica e anche una carica comunicativa forte, ormai stabile come quella di Babilonia si espone maggiormente al pericolo di non riuscire a integrarsi in un lavoro di “traduzione” che potrebbe, in fondo, non far parte – non ora – del percorso di questo gruppo, il cui margine di rischio è chiaro almeno quanto il livello di rilevanza nel teatro di oggi. Eppure nel lavoro di Villa – pur se aiutato da un linguaggio e da un nome meno radicati – esiste e resiste una sorta di vocazione alla sfida, la stessa rintracciata nel complicato tentativo di Music Hall, quella di attraversare la materia testuale da corpo nudo, accettando che certi detriti vi rimangano attaccati. Salvo poi riutilizzarli dentro ciò che emerge quale promettente prospettiva di crescita. E forse è anche responsabilità di un “viaggio” come Fabula Mundi, il cui senso può essere raccogliere pezzi per seminare i propri.
Sergio Lo Gatto
Twitter @silencio1982
L’INFERNO È SOLO UNA SAUNA
di Katja Brunner
traduzione di Alessandra Griffoni
studio di Valentino Villa
con Valeria Almerighi, Roberta Azzarone, Barbara Chichiarelli, Vittoria Faro, Marco Palvetti, Francesco Petruzzelli, Stefano Vona Bianchini
spazio scenico Francesco Mari
a cura dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio d’Amico”
TRILOGIA DELLA SEPARAZIONE
di Remi De Vos
traduzione di Anna D’Elia
con Babilonia Teatri