Dignità autonome di prostituzione. Intervista a uno degli ideatori del format, Betta Cianchini
Simone Nebbia: come nasce l’idea iniziale di Dignità autonome di prostituzione?
Betta Cianchini: Nasce per la volontà di restituire una dignità al lavoro dell’attore. In Italia molto spesso gli attori quando non lavorano fanno i camerieri, sottopagati come quando fanno gli attori. L’idea era perciò quella di creare un posto, la “Casa Chiusa dell’Arte”, dove gli attori fossero prostitute, anche perché questa è la realtà: dobbiamo andare con chi ci paga di più. Invece noi volevamo creare uno spazio dove l’attore potesse sentirsi nel suo posto, dove l’attore potesse prostituirsi liberamente. Da qui il desiderio di far emergere la meritocrazia: se allo spettatore piace il pezzo recitato paga altrimenti no, poi questo portava dei problemi con la Siae che abbiamo risolto con dei “dollarini” e un sistema di contrattazione che porta a dare mance dopo lo spettacolo. Questa è l’idea che ho condiviso con Luciano (Melchionna, altro ideatore del format. ndr). Però non è un teatro interattivo, o meglio, l’interazione avviene nella scelta dello spettatore, non parliamo dunque di quell’interazione che traumatizza il pubblico. Lo spettatore qui non ha paura di essere tirato in mezzo.
S. N. Dunque l’attore ha la libertà di proporre quello che più ama?
B. C. Questo però avviene prima, l’attore non può scegliere all’ultimo momento, c’è già una prestazione prestabilita. Una volta che lo spettatore sceglie, finisce il gioco del “circo”, della prostituzione, e si comincia a recitare.
S. N. Gli attori li scegliete voi o si propongono da soli?
B. C. Gli attori sono scelti da Luciano Melchionna, è un regista molto classico per certi versi. Poi molti attori si propongono ma è lui che li sceglie.
S. N. I pezzi sono assegnati?
B.C. Alcuni attori si sono proposti con vari testi classici come Dostoevskij, Čechov, Shakespeare. Però cerchiamo di far diventare Dignità un contenitore teatrale contemporaneo, per questo ci sono dei testi di Luciano e alcuni miei pezzi (ad esempio quello di Anna e La grazia). E ne continuerò a scrivere altri.
S. N. In parte abbiamo parlato del titolo…
B. C. Si, oltre a quello che abbiamo detto c’è da sottolineare la dignità ma anche l’autonomia: il non dover dipendere da cose che non ti piacciono. Perché una delle cose più importanti e belle degli inizi era proprio quando contavamo i soldi tutti insieme.
S. N. Come si è evoluto nel tempo il format, anche con il variare dei diversi luoghi toccati?
B. C. Lo scheletro è sempre quello, cambiano però gli incipit a seconda della location. A Teatro Brancaccio a Roma, per esempio, c’era una coreografia, un balletto danzato da tutti, poi un coro con degli artisti musicali pazzeschi. Queste particolarità cambiano a seconda degli spazi a disposizione.
S. N. “Mi sento una prostituta, tutti noi attori lo siamo, veniamo pagati per fingere attrazione e amore”. È una frase di Megan Fox. Cosa ne pensi?
B. C. Io credo che il discorso della prostituzione non sia legato alla finzione, quello è il nostro lavoro. Diventa prostituzione quando quelle emozioni non si addicono al tuo essere, però tu ne hai bisogno per mangiare. Il problema in Italia è in certi meccanismi produttivi e distributivi, nei finanziamenti distribuiti male. Per ristabilire un sistema puro bisogna ripartire dall’autoproduzione, è qui la vera libertà, e cercare di portare tutto questo all’interno di circuiti che però devono essere modificati.
Simone Nebbia
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