Babilonia Teatri ha presentato Jesus per Vie Festival 2014
C’è sempre qualcosa di organico, di pulsante. Un battito che corrisponde sotto diversi spessori di pelle, per non dire degli abiti, delle asprezze, delle convenienze. Si avverte in una sala teatrale attraverso un contatto di immediatezza cui non si può opporre resistenza, è urgente e vivo tanto per chi ne fa rappresentazione, tanto per chi vi assiste. In questa scala tonale della coesistenza si muove il corpo unico di Babilonia Teatri, coppia artistica composta dai veronesi Enrico Castellani e Valeria Raimondi, rapiti per questa ultima creazione – ideata assieme a Vincenzo Todesco e affiancata dalla solita valida presenza di Luca Scotton per la tecnica – dalla figura del Cristo, ridato al mondo sotto il valore di Jesus.
La tematica suggerita dal titolo – spettacolo apprezzato al Teatro Ermanno Fabbri di Vignola per Vie Festival 2014 – non inganni: il punto di riflessione muove da una domanda di dolcezza, potremmo dire, di convivenza tra uomini e natura, incapaci entrambi di rassegnarsi all’assenza di Dio. Eppure, eppure Jesus, Gesù, il Cristo. Quel tramite tra l’umano e il divino cui da incapaci del divenire abbiamo contestato la leggenda, benché intrisa di virtù esemplare. Ma non c’è dottrina nel Cristo di quest’opera. C’è, forse, religione. O almeno il bisogno di raggrumare sentimenti, stati emotivi, attenzioni e preoccupazioni in una forma di dedizione verso la propria specie.
Allo spazio è lasciata ogni via di fuga, povero di elementi si compone unicamente della loro presenza. E di quella di un bambino che corre in circolo, senza apparente finalità. Quel bambino è Ettore Castellani, il figlio della coppia; questo spettacolo si avverte come un tentativo di iniziare un percorso per un passaggio testimoniale: figlio mio, nostro, noi dobbiamo imparare a dirti l’indicibile, l’immensità e la minutezza, troppo facile è insegnarti la consistenza di un filo d’erba o quanto è salata l’acqua del mare, io devo imparare a raccontarti perché l’erba, perché il mare hanno la mia stessa linfa e il mio stesso sale. Non solo consistenza, dunque, ma coesistenza. Sembra questa la missione che si concedono, cui si concedono, i due Babilonia Teatri.
Seguendo una struttura circolare, i frammenti che compongono lo spettacolo fluttuano da una constatazione più evidente, in superficie, di quanto ci sia o meno del Cristo nel nostro vivere quotidiano, giungendo poi a introiettare una maggiore profondità con testi più intimi, capaci di scavare nella loro sensibilità e – per converso – in quella di chi ascolta. Più di tutti è un monologo sul Natale, vero banco di prova per misurarsi con la spiritualità confezionata, in cui le domande del figlio prendono la voce dei genitori; poi è un personale “credo”, dal titolo Chiese di pietra, in dedica a una religiosità interiore, in cui è vivo il richiamo alla purezza, al silenzio, alla devozione dell’uomo verso l’uomo.
Occuparsi della figura del Cristo è oggi popolare anche nei contesti storicamente più refrattari dell’arte, tanto ricca nel suo passato di tradizione quanto povera nel presente figurativo che sembra aver perduto la tensione spirituale. Babilonia Teatri – cui Stefano Casi ha dedicato l’interessante volume Per un teatro pop – La lingua di Babilonia Teatri (Titivillus, 2013) – accetta la difficile sfida di cambiare registro, tentare una tematica già molto viva nei precedenti lavori ma prenderla di fronte, senza arretramenti o deviazioni. Per farlo usa la stessa frontalità formale dei contenuti, ormai tratto distintivo della loro ricerca artistica, e stimola nell’ascolto quel grado di compromissione urgente, cui nessuno potrà sottrarsi. Il corpo dell’opera è ancora da fluidificare, la frammentarietà dovrà trovare replica dopo replica una gestione drammaturgica più netta di scelte non sempre convincenti e a volte poco indagate, ma nella sconfitta dichiarata a inizio spettacolo, quella impossibilità a parlare davvero di Jesus – per paradosso icona e assieme paradigma – si avverte la purezza del pensiero e la solidità dell’impianto, finché le loro voci continueranno a parlare di ciò che opprime l’individuo con il rispetto dell’ascolto e la semplicità dovuta, connotata alla materia stessa.
C’è una musica attorno alla corsa del bambino, è un gioco quello in cui tutto inizia e nello stesso gioco finirà, con una altalena e il Personal Jesus dei Depeche Mode su cui ballano una danza naïf e – anch’essa – personale, come dire che tutto quanto è stato detto non perda mai misura dell’uomo, perché all’uomo ogni progressione di pensiero ritorni.
Simone Nebbia
Twitter @Simone_Nebbia
Teatro Ermanno Fabbri di Vignola, Vie Festival, ottobre 2014
JESUS
nuova produzione 2014
di Valeria Raimondi, Enrico Castellani, Vincenzo Todesco
parole di Enrico Castellani
con Enrico Castellani, Valeria Raimondi, Ettore Castellani
scene Babilonia Teatri
luci e audio Babilonia Teatri/Luca Scotton
costumi Babilonia Teatri/Franca Piccoli
organizzazione Alice Castellani
grafiche Franciu
produzione Babilonia Teatri
in coproduzione con La Nef / Fabrique des Cultures Actuelles Saint-Dié-des-Vosges (France) e MESS International Theater Festival Sarajevo (Bosnia and Herzegovina)
in collaborazione con Emilia Romagna Teatro Fondazione
con il sostegno di Fuori Luogo La Spezia
laboratorio teatrale in collaborazione con l’Associazione ZeroFavole realizzato col contributo della Fondazione Alta Mane-Italia
lo spettacolo è stato scelto da Emma Dante per il prossimo 67° Ciclo di Spettacoli Classici al Teatro Olimpico di Vicenza