TurnOver. Riflessioni sul convegno Frattura Critica di Napoli
Una frattura, “frattura critica”. Si suppone che una frattura avvenga quando un equilibrio, l’equilibrio di una materia, arrivi al punto di rottura. Eppure questo termine, unitamente all’aggettivo che vi è stato posto di fianco, suggerisce, con un’immagine rubata all’immaginario poetico, quella necessità che appartiene alla venatura del legno giunto a compimento del proprio arco evolutivo. Proprio lì dove il legno ha la ferita, l’interruzione della continuità, si fa evidente il punto nodale da cui leggere l’esistenza stessa della materia di cui è composto. Insomma, nella frattura c’è l’essenza.
Questo pensiero è tra i tanti che raccolgono la suggestione lanciata da Interno 5 con TurnOver – più spazio per crescere, ciclo napoletano di incontri e spettacoli che con tale nome, Frattura Critica appunto, ha voluto indirizzare riflessioni sul ruolo della critica nella società, sulla figura del critico da ripensare e ricontestualizzare nel contemporaneo. Eppure è proprio grazie a questa suggestione, grazie all’intera giornata di dibattito nella sala del Teatro Bellini di Napoli, che torna urgente parlare esattamente del complemento, della materia su cui si opera critica, perché quest’ultima da essa è generata.
Critica dunque, in quanto esercizio di analisi dell’esistente, si connota solo ed esclusivamente in relazione a un territorio, perché ogni società si articola all’interno di un contesto e gli agglomerati urbani riconoscono la propria necessità per attrazione e repulsione, in un insieme stabilito, codificato proprio dalla nascita di consuetudini. Come si originano e sviluppano il racconto diretto e le pratiche che segnano la narrazione lungo il tempo e lo spazio?
Il teatro è tra le arti la più incline a dar conto del presente, perché riguarda la necessità stessa dell’esistenza, ossia la riproduzione trasfigurata del reale che acquista così, per impressione distorta, il peso di verità. Specchio deformante, esso è però la più diretta forma di rappresentazione di quella società. Questo fa del teatro una formidabile sonda territoriale, una pratica d’indagine senza pari. L’esercizio di presenza che il teatro pone in atto dà forma a una comunità che lo fa vivere, costituendo così il sottoinsieme più concretamente connesso alla totalità, laboratorio di mondo di grande, profondo affidamento. È proprio tale comunità che, iniziando un percorso di narrazione dei propri caratteri, inizia a sviluppare in sé stessa gli elementi della critica, della divisione, della scelta, di ciò che dunque, esplicitando i lineamenti di una presenza cosciente, dà fondamento all’evoluzione culturale. Questo racconto allora dal particolare giunge al collettivo, dall’individuale di quella comunità a un più grande universale della società che essa rappresenta.
Durante la giornata di studio in cui ognuno ha studiato l’altro – i critici napoletani hanno interpellato chi viene da fuori (per Rete Critica – che si riunisce oggi e domani a Vicenza – oltre chi scrive con Marianna Masselli per Teatro e Critica, presente Matteo Brighenti che su PAC ha tracciato una delle linee espresse dal convegno), gli artisti hanno studiato i volti e le parole di chi fa uso di penna nei confronti della loro espressione – come fossimo in uno zoo interattivo ogni specie ha dichiarato i caratteri che le permettono esistenza. Ognuna di esse fa parte di una comunità. La abita e, dunque, la connota, denunciando ognuna, nel discorrere di differenti pratiche, la prossimità di un identico nume. Il teatro, che è in tutto quella comunità. Ciò ch’è uscito con più interesse dall’incontro, oltre gli spunti legati alla sostenibilità e all’incidenza dell’agire critico, è che la formazione di un gruppo di lavoro che analizzi la società circostante, che ne delinei le tracce riconoscendole nel trascorrere del tempo e nei movimenti dello spazio, che ne misuri la rilevanza culturale e cerchi di estenderla oltre i propri limitati confini, potrebbe essere l’accadimento naturale per un nucleo che cerchi di esprimersi, comunicare dentro e fuori la propria essenza.
Napoli è città multiforme, in cui vivo è il paradosso di una tradizione sovrastante eppure ancora stimolo di creazione, sempre origine del contemporaneo. La convivenza è uno stritolamento delle passioni, cui l’appartenenza ha generato ora rigore ora tradimenti. E così strade diverse incrociano le proprie destinazioni, affascinate da un dibattito mai sopito, lontano da qualunque esaurimento. Eppure, speculare alla vitalità è la decadenza. Napoli è il suo golfo, la riva che assorbe l’acqua di un’onda scrosciante e la mette di nuovo nel circolo dei marosi. Non c’è frattura, allora, che non sia coinvolta nel divenire ciclico della continuità. È per questo che preme dire, agli amici critici napoletani, quanto ogni parola, azione, sia un flutto di spuma, la critica è una parola di domani sottratta a oggi, smettiamo di essere onde che si infrangono, iniziamo ad essere mare. Il mare, corpo intero di mille fratture. E il mare, sappiamo da letture mai dimenticate, Napoli la bagna eccome.
Simone Nebbia
Twitter @Simone_Nebbia
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