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Roberto Latini e la macchina delle apparizioni

Roberto Latini e Federica Fracassi insieme ne I giganti della montagna, atto primo

 

Foto Claudia Pajewski
Foto Claudia Pajewski

Tremano i muri della villa. Il frastuono avvertito è assordante e rimbombando annuncia l’arrivo dei giganti a cavallo che con impeto selvaggio discendono giù dalla montagna. Inquietudine e sgomento; l’avvento del caos coglie impreparati la compagnia della Contessa, il mago Cotrone e gli scalognati tutti. La tela di un sipario arriva allora a riportare la quiete, a far cessare il timore, strusciando con incedere solenne sopra il palcoscenico sognato.

Così “non finisce” il mito de I giganti della montagna immaginato da Luigi Pirandello agli inizi degli anni Trenta, rimasto incompiuto a causa della morte dello scrittore. Il caso però, si sa, si contraddistingue spesso per un involontario tempismo rendendo l’accidente così puntuale da ritenere «perfetto per Pirandello e per il Novecento che il lascito ultimo di un autore così fondamentale per il contemporaneo sia senza conclusione.[…] L’incompiutezza è per la letteratura, per il teatro è qualcosa di ontologico». A spiegare con siffatte parole questa apparente fatalità è Roberto Latini: l’attore- macchina, il corpo-voce nel quale riecheggia il significante beniano, che sceglie ora di «provarci» insieme all’attrice Federica Fracassi, presentando I giganti della montagna, atto primo replica unica al festival Short Theatre di Roma.

Foto Claudia Pjewski
Foto Claudia Pjewski

Come molteplici sono i livelli di lettura di questo dramma così ritroviamo in scena altrettanti livelli di visione: tre per l’esattezza, a dividere il palcoscenico in indeterminati spazi fluttuanti nell’incanto di sottili velatini. «Io ho paura! Ho paura!» grida Diamante nell’ultima battuta che chiude il terzo e ultimo atto. Se Pirandello con questo urlo chiude, Latini al contrario apre il suo incubo gridando ai microfoni che lo circondano quel sentimento di umano terrore per l’ignota avanzata delle giganti creature. Cinica, spettrale e oscura è infatti l’atmosfera che aleggia intorno all’ “altromondo scenico” popolato da due esseri, Cotrone e Ilse che, muovendosi orizzontalmente lungo i piani in cui è diviso il palco, assumono le sembianze di quei fantasmi che presenziano la Villa, detta «La Scalogna». Nel mezzo delle loro vite, vi è al centro della scena una striscia di grano color dell’oro a illuminare le tenebre, ma la luce è morta poiché gli steli sono cristallizzati e privati di quel vento che un tempo, chissà dove e quando, li agitava. L’artificio, la magia che Cotrone è in grado di sprigionare è fatta propria dal corpo meccanico di Latini, costruito come fosse un prodigio tecnico che si muove impossessandosi dello spazio alla stregua di un mostro. Di altro segno è invece la Ilse di Fracassi, schiava dell’incanto nero e doloroso che la muove convulsamente per la scena, con quella risata isterica e stregata al punto da renderla carnale ma allo stesso tempo eterea. Irragiungibili sono i due o molti protagonisti; in effetti non possiamo affermare con sicurezza che fossero solo due gli attori. Forse erano realmente due quelli visibili, ma gli altri, il resto della compagnia e i poveri nomadi scalognati, quelli vivevano dentro quegli stessi attori, ai quali parlavano, sussurravano e trasformavano da uno a molti. Artificiale è lo sguardo dei protagonisti, finto a causa di due lenti che ingigantiscono l’iride e rendono completamente bianca la pupilla; un leggero involucro che rende lo sguardo di Ilse e Cotrone impenetrabile e lontano, difficile da afferrare, ci parla isolandoci quasi a voler interporre l’ennesimo velo al visibile.

«Respiriamo aria favolosa». Non qui, non in questa prova, non in questo luogo, orfano di meraviglia e d’ incanto, imprigionato in una gabbia spaventosa dove non c’e aria e tutto è troppo perfetto perché artificiosamente strutturato da essere ingombrante. Roberto Latini costruisce dunque il suo «arsenale delle apparizioni» col rigore freddo e matematico di un architetto, a differenza del mago Cotrone che insegna: col possibile «non bisogna ragionare».

Lucia Medri
Twitter @LuciaMedri

Visto a settembre 2014 [Short Theatre]

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I GIGANTI DELLA MONTAGNA, ATTO PRIMO
di Luigi Pirandello
adattamento e regia Roberto Latini
con Federica Fracassi e Roberto Latini
musiche e suoni Gianluca Misiti
luci e direzione tecnica Max Mugnai
video Barbara Weigel
assistente alla regia Lorenzo Berti
collaborazione tecnica Marco Mencacci
realizzazione elementi di scena Silvano Santinelli
produzione Fortebraccio Teatro
in collaborazione con Armunia Festival Costa degli Etruschi, Festival Orizzonti Fondazione Orizzonti d’Arte
Emilia Romagna Teatro Fondazione

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Lucia Medri
Lucia Medri
Giornalista pubblicista iscritta all'ODG della Regione Lazio, laureata al DAMS presso l’Università degli Studi di Roma Tre con una tesi magistrale in Antropologia Sociale. Dopo la formazione editoriale in contesti quali agenzie letterarie e case editrici (Einaudi) si specializza in web editing e social media management svolgendo come freelance attività di redazione, ghostwriting e consulenza presso agenzie di comunicazione, testate giornalistiche, e per realtà promotrici in ambito culturale (Fondazione Cinema per Roma). Nel 2018, vince il Premio Nico Garrone come "critica sensibile al teatro che muta".

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