L’anarchico non è fotogenico, primo capitolo di Tutto è bene quel che finisce di quotidiana.com a Teatri di Vetro.
Credo ci sia il bisogno di partire da un assunto. Se si pensa come si guarda è psicologicamente necessario cambiare ogni tanto il punto di vista; vale la pena quindi, davanti alla profondità di un burrone, compiere l'(in)sano gesto di buttarcisi dentro, così una volta atterrati – se ancora si è tutti interi – si può alzare la testa e guardare dal basso verso l’alto quello che prima era un precipizio. Cambiare prospettiva. Prendiamo una secentesca commedia shakespeariana Tutto è bene quel che finisce bene, titolo talmente celebre da essere entrato nel novero dei modi di dire, frasi fatte e proverbi popolari. Elidiamo l’ultimo avverbio e ci accorgeremo come l’intero sillogismo, privato della sua chiosa serena, si connoti come un paradosso, acre, cinico e moralmente provocatorio. Cambiare prospettiva.
È dal 2003 che la compagnia quotidiana.com fondata da Roberto Scappin e Paola Vannoni ha deciso di mettersi “dall’altra parte” per osservare analiticamente il reale e incarnare quello sguardo spostato in “testi- gioco”, attraverso i quali fronteggiare gli spettatori tenendoli in scacco all’interno di labirinti linguistici dove faticano a trovare quel filo di Arianna che li condurrebbe alla fine. Tutto è bene quel che finisce – tre capitoli per una buona morte: L’anarchico non è fotogenico, Io muoio e tu mangi e Lei è Gesù; autonomi e indipendenti momenti di riflessione sulla «centralità della parola» che possono tuttavia essere considerati come facenti parte di un’unica partitura drammaturgica, muovendo questioni alle categorie del presente che impone un solo e uniformante punto di vista.
Il primo dei tre capitoli è andato in scena al Teatro Vascello durante il festival Teatri di Vetro. Nella sala dove due sedie, un tavolo e una luce fanno di un buco nero una scena teatrale si inseriscono due figure, uomo e donna vestiti da cowboy. Imbastendo un dialogo flemmatico sull’assurdità logica dell’essere al mondo, si appropriano dello spazio misurandolo con una gestualità stanca ma precisa nella sua inerzia. Oscillano le parole prima in un dialogo, poi in un monologo e ancora in un soliloquio; l’altalena ipnotica di un enigma scenico che avviluppa fin da subito lo spettatore, ignaro che di lì a poco sarà messo al muro proprio da quella drammaturgia ludica che, se all’inizio stimola il riso, successivamente lascia sgomenti. Le parole corpose, dense della loro pronuncia, morbide nel poggiarsi sui fili del pensiero vengono inframezzate da pause e silenzi organici, per poter respirare prima di ricominciare… A cullarsi nella ninna nanna dell’eutanasia; l’ossimoro tabù ripudiato dalla morale cristiana e dalla politica ipocritica diventa ora una lente d’osservazione: non più cura ma accanimento, non esseri umani ma involucri di persone. Solo il sopraggiungere della buona fine e della buona morte potrà ridare finalmente dignità al dolore. La risata iniziale dello spettatore si smorsa dunque in un ghigno amaro, mesto, che stenta a riaffiorare, a risollevarsi. L’anarchico non è fotogenico ribadisce la sua non appartenenza a dei modelli, rifuggendo da schemi precostituiti, non omologandosi a quella fotogenia dilagante che sfrutta immagini di uomini e donne riproducibili in serie.
Scappin e Vannoni non si parlano addosso – e badate si corre il rischio di pensarlo quando le parole cadono incessantemente e il loro senso è “pesante” tanto da non riuscire a sostenerlo – ma co-dialogano con chi è disposto a compiere quel salto nel vuoto per guardare giù. Cambiare prospettiva.
Lucia Medri
Twitter @LuciaMedri
Visto al Teatro Vascello nel mese di settembre 2014
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L’ANARCHICO NON È FOTOGENICO
di e con Roberto Scappin e Paola Vannoni
produzione quotidiana.com con il sostegno di Provincia di Rimini, Regione Emilia Romagna in collaborazione con La Corte Ospitale/progetto residenziale, Armunia/Festival Inequilibrio
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Se un giorno potessi diventare un supereroe oltre alle doti di coraggio è nobiltà vorrei avere un unico super potere non tecnologico, l’implacabile ninna nanna esiziale, da sussurrare alle sorde orecchie di chi non ne vuol sapere. Grazie per le tue riflessioni.