Short Theatre. Una riflessione su Insulti al pubblico di Peter Handke, conversando con Pieraldo Girotto
In un articolo dell’11 settembre avevamo pubblicato una conversazione con Daria Deflorian, interprete insieme a Pieraldo Girotto della riedizione di Insulti al pubblico di Peter Handke, nuovamente firmata da Fabrizio Arcuri. Il debutto iniziale era stato nel 2006 e per Accademia degli Artefatti il testo di Handke rappresentava il terzo – rischioso – passo dentro una nuova estetica: da un teatro di forte impronta visuale la compagnia romana avrebbe preso il volo senza voltarsi più indietro, andando invece a indagare la drammaturgia contemporanea europea, esplorando i meandri del rapporto tra testo, scena, attore e soprattutto pubblico alla ricerca di una spinta politica (intenzioni ben chiarite da un’intervista con Arcuri che riproponiamo qui).
Dopo Tre pezzi facili (2003) e Attentati alla vita di lei (2005) di Martin Crimp, nel 2006 Deflorian e Girotto vengono chiamati sul palco (e dietro) per dare vita alla completa demolizione non solo del normale rapporto scena-platea, ma anche della metateatralità “convenzionale”. Il testo-non-testo di Handke mira infatti a sradicare del tutto l’idea di storia raccontata, di realtà alternativa. Dopo la falce del drammaturgo austriaco rimane soltanto l’evidenza dell’uso politico della parola, del potenziale (ma, sembrerebbe, neppure troppo probabile) recupero di una comunità addormentata. Ai severi moniti in forma di aforisma studiati da Handke, alcuni dei quali fulminanti nel cogliere del sistema di rappresentazione le implicazioni più profonde e pungenti, Arcuri aggiungeva un gioco acido sull’idea dell’attore, un esperimento già tentato con i due lavori precedenti e che non lo avrebbe mai lasciato. L’atteggiamento eternamente critico – che marca la distanza tra attore e personaggio e che mostra del primo la fragilità e del secondo la statuaria freddezza – a guardar bene è tutt’altro che arbitrario: quello che somiglia a una grande libertà lasciata agli attori è invece forse il segno più autoritario della regia di Arcuri, in grado di determinare un modo preciso e sempre costante di affrontare la materia drammaturgica affinché conservi un rapporto ben definito tra attore, testo e sua comunicazione al pubblico.
Di questo ho il piacere di parlare con Pieraldo Girotto, nei rimessini della Pelanda mentre un altro incontro si svolge: neanche a farlo apposta, sono Graziano Graziani e Attilio Scarpellini che dialogano con lo scrittore Marco Lodoli intorno al tema della potenza della parola. Può essa essere ancora rivoluzionaria? Mi piace pensare soprattutto a quella teatrale. E allora pongo a Pieraldo la stessa domanda, chiedendogli di specificare se e in cosa sia cambiato l’approccio a Insulti al pubblico nell’arco di otto anni. «Di certo – risponde – c’è la consapevolezza di avere otto anni di più. Otto anni come uomo ma come attore. C’è la percezione di una maturazione, di una continuità tecnica, di una sicurezza nell’affrontare un testo come questo», che non è cambiato di una virgola, mi spiega l’attore, «è tale e quale a quello portato al Furio Camillo e poi al Rialto Santambrogio». Chiedo che cosa rimanga intatto di quel senso di dentro/fuori, espresso dalla regia con i due attori in continuo andirivieni tra dietro e davanti un sipario grigio che sbarra il boccascena. «In questa occasione ho goduto molto di più lo spettacolo e ho sentito una grande differenza tra il dentro e il fuori: dietro ci si sente come in un liquido amniotico, protetti da ogni cosa». Mai come in questo lavoro il rapporto con il pubblico definisce il tono, argomento. «Fondamentale, sì. Quando non sentiamo il pubblico, da sempre, ci diamo da fare per prenderlo. E questo lavoro, anche nella ripresa, ha dimostrato di riuscire a instaurare un contatto anche a distanza. Ed è un contatto che amo (e devo) portarmi dietro per l’intero spettacolo».
Per concludere voglio tornare al tema della comunità addormentata e alla possibilità – vagheggiata da Arcuri pur dove Handke si fa più severo – di un risveglio, chiedendo anche a Pieraldo quale insulto rivolgerebbe al pubblico di oggi. Daria ha nominato «faccia di tolla». «Nessun insulto. Per me il pubblico ha sempre ragione. Semmai svegliamoci noi, teniamo intatto quel contatto. Quindi semmai è a me stesso che rivolgo un insulto».
Leggi Una birra con Daria Deflorian
Sergio Lo Gatto
Twitter @silencio1982
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INSULTI AL PUBBLICO
di Peter Handke
traduzione Enrico Filippini
con Daria Deflorian e Pieraldo Girotto
scene e costumi Rita Bucchi
sonoro Dj Rasnoiz
regia Fabrizio Arcuri