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Zombitudine. La morte dei morti viventi

Zombitudine. Frosini/Timpano portano in teatro la morte, vivente, della società

 

zombitudine
Foto Sefora Delli Rocioli

Succede, succede alle parole di avere un significato che il tempo sgretola e trasforma – i più colti direbbero sviluppa o trasfigura – fino a porsi in una cultura con un senso rinnovato e a rendere difficile risalire il corso di una mutazione semantica. Questo è quanto accaduto al termine “zombi”, in un tempo remoto assimilabile probabilmente agli strati più bassi della popolazione di Haiti (dal cui idioma ha origine) a voler indicare il loro stato di subalternità che quasi li rende dei morti viventi, più avanti e nella cultura occidentale – grazie al grande apporto del cinema e soprattutto del film cult del 1968 La notte dei morti viventi di George Romero – ha preso connotati più mistici, indicando lo stato dei morti resuscitati, fuoriusciti dalle tombe e “viventi” in giro per la città dei vivi. Da qui alle interpretazioni metaforiche, quasi in una crasi tra le due sponde di significato, ecco che una trasformazione contemporanea molto facilmente riproduce, attraversando l’una e l’altra sponda, lo stato amniotico in cui versa la società attuale, una sorta di condizione esistenziale perenne da cui è impossibile riaversi. Questo spunto, per Daniele Timpano ed Elvira Frosini, diventa una sorta di diario della lenta caduta nel mondo dei morti viventi, la loro denuncia prende corpo – morto – attorno a un suffisso che cristallizza, calcifica tale condizione e si fa Zombitudine, atto d’accusa e autoaccusa del mondo al proprio mondo, del teatro a sé stesso, dei viventi a una vita così vissuta.

C’è un sipario chiuso, rosso aranciato sul palco del RIC Festival 2014 di Rieti dov’è andato in scena. Nel sottile spazio di proscenio due corpi toccati da una luce sfumata di rosso mattone, l’uno è disteso e immobile, l’altro in piedi fronte alla platea. Morti, tuttavia, entrambi. La voce del corpo in piedi, di donna, da un microfono fa uscire un suono sottile, parole tra morte e vita iniziano a determinare la loro presenza “morente” tra presunti vivi. «Se non siamo morti non cominciamo», così questo prologo fa un salto decisivo nel dialogo, così il risveglio agognato colpirà il corpo disteso, di uomo, e la loro morte diverrà primo passo di una rivolta collosa, lentissima, claudicante, insomma una rivolta zombi.

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Foto Sefora Delli Rocioli

Se il prologo dunque dichiara la condizione di partenza, nelle tre parti in cui essa si evolve c’è uno spostamento dalla rabbiosa attestazione, esplicata in espressioni al negativo, all’innesco di una reazione: l’iniziale tentativo di scuotersi e dare avvio alla protesta si va a scontrare continuamente con la difficoltà di darvi seguito, «prendere posizione!», gridano e ricordano un po’ il «rompete le righe!» di Roberto Latini in Noosfera Titanic, ma sono costretti a desistere e quasi irridere il lancio vigoroso, annichilirlo fino allo sfinimento della portata: « – ma dopo che dobbiamo fare? – Quello che facciamo sempre. – E che facciamo sempre? – Niente». Qui il dialogo, animato anche dal ricorso all’elenco, prende toni più aspri, l’attesa vischiosa in cui cadono i due sembra rifarsi al più proverbiale Beckett, finché la seconda parte non scardinerà questo stato: arrivano gli zombi, dalla platea una marcia avvilita, sforzata, raggiunge in mezzo al fumo l’intero perimetro e si ferma sotto il palco, i morti viventi e morenti insieme hanno cartelli appesi in cui è compresso un urlo che ammutolisce nei lineamenti della loro decomposizione: può mai un morto avere questa vitalità di rivolta? Forse no, o forse…macabra, quasi, la terza parte: «Il mondo non appartiene più ai vivi, ma ai morti», dicono mentre una luce cerea, poi verde, disegna il volto dei due come di porcellana, sembrano automi, uomini replicati ma da un processo artistico, scolpiti nell’involucro di un corpo che non serve più. Ecco allora che a sipario aperto si fa più facile scoprirsi in teatro, nel luogo dei “replicanti” di professione, questi morti viventi prendono la forma di una protesta già incanalata, per questo fredda e automatica, inaccessibile. Questo ciò che amareggia una proposta arrabbiata, scoprire la propria inerzia a specchio tra palco e platea, vittime dello stesso destino, tutti morti, abitanti di un mondo – generato, dal divenire, non creato – a immagine e somiglianza.

Netto, dunque, il messaggio di Frosini/Timpano al loro e di tutti mondo. In questa nettezza, che avvalora il lavoro fatto con laboratori performativi “zombeggianti” in tanti luoghi comunitari (mercati, piazze, ecc) per stimolare attenzione sul tema, c’è tuttavia un freno alla portata del messaggio. Il nobile ricorso all’esemplificazione degli obiettivi, perché fosse permesso parlare a una fetta più ampia di pubblico come appurato dal successo in platea, danza sul rischio di semplificare eccessivamente i mezzi espressivi, riponendo tutte le speranze di riuscita attorno a una tematica che si sviluppa poco, ruota attorno a un concetto senza mai affondare del tutto il colpo. Ecco allora che la struttura frammentata si fa frammentaria, non giovando a una costruzione drammaturgica unitaria che si presenta così impoverita di ulteriore complessità. Se insomma è chiaro il riferimento al morto vivente per determinare lo stato della nostra società, non facilmente si ravvisa un passo verso la sublimazione dell’assunto in una formula artistica che duri un intero spettacolo e che davvero sia stimolo, riducendo lo spunto a innesco iniziale di una spinta alla rivolta che, invece, sembra non rivoltarsi mai.

Simone Nebbia
Twitter @Simone_Nebbia

RIC Festival 2014, Rieti, luglio 2014

ZOMBITUDINE
Testo, regia, interpretazione / Elvira Frosini e Daniele Timpano
Scene e costumi / Alessandra Muschella
Ideazione e realizzazione tecnica / Marco Fumarola e Daniele Passeri
Aiuto regia / Francesca Blancato
Luci / Matteo Selis
Assistenza scene e costumi / Daniela De Blasio
Organizzazione e promozione / Daniela Ferrante
Ideazione e regia teaser video / Emiliano Martina
Progetto Grafico / Antonello Santarelli
Disegni / Valentina Pastorino
produzione / amnesiA vivacE, Kataklisma
coproduzione / Teatro della Tosse – Genova, Fuori Luogo – La Spezia, Teatro dell’Orologio – Roma
ZOMBITUDINE è nato in collaborazione con Teatro di Roma nell’ambito del progetto “Perdutamente”

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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