Il libro delle ombre di Teatro di Carta/Ombre Bianche Teatro, E quindi uscimmo a riveder le stelle… di Teatro Alchemico, Fratelli Applausi di Laura Landi. Recensioni brevi dal RIC Festival
Tra le molteplici offerte teatrali, sul Taccuino Critico si appuntano segni di sguardi diversi che rispondono a un’unica necessità: osservare, testimoniare, dar conto dell’espressione pura, del piccolo e grande teatro…
IL LIBRO DELLE OMBRE
ispirato a “Storia straordinaria di Peter Schlemihl” di Adalbert Von Chamisso
di e con Chiara Carlorosi e Marco Vergati
Produzione Teatro di Carta e Ombre Bianche Teatro
scenografie e oggetti di scena Marco Vergati
realizzazione ombre Chiara Carlorosi
tecnico audio e luci Martina Serpa
disegno luci Marco Vergati, Roberto Giannessi
Le ombre hanno sempre un grande vantaggio. Se già in generale il teatro di figura genera meraviglia nell’animazione di ciò che al senso comune risulta inanimato, vedere crearsi storie, personaggi e atmosfere dal semplice passaggio di sagome attraverso un fascio di luce si porta dietro una magnetica componente di astrazione: il teatro d’ombre sopporta l’allontanarsi della somiglianza immediata e libera l’accesso più diretto alla fantasia. Il libro delle ombre, di Teatro di Carta/Ombre Bianche Teatro, ispirato a Storia straordinaria di Peter Schlemihl di Adalbert Von Chamisso, tenta di drammatizzare l’altra faccia della medaglia, quella che nell’ombra vede il lato oscuro della personalità. La vicenda faustiana del giovane scrittore che baratta la propria ombra con una sorta di borsa di Mary Poppins che produce denaro ha l’opportunità di creare un meta-discorso sul concetto di doppio, evocato sia nella drammaturgia che nella componente visiva. Le astringenti condizioni dello spazio del Teatro dei Condomini soffocano molto la libertà degli interpreti, la cui scelta forse troppo rischiosa è quella, nella tecnica mista che include anche l’attore dal vivo, di assegnare troppo spazio alla pantomima e alla clownerie, finendo per far passare in secondo piano le sagome e indebolirne così il potenziale. La voce off, molto presente, è una buona guida per lo spettatore – attraverso una storia tutto sommato fin troppo basica – e però cancella parte della poesia, della meraviglia e della componente nera, stemperando l’arguzia dell’idea iniziale, che avrebbe invece a portata di mano qualche ragionamento anche più astratto su temi morali, certo, ma anche sulla complessità degli strati della personalità. Tutti spunti importanti per la coscienza degli spettatori più giovani.
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E QUINDI USCIMMO A RIVEDER LE STELLE…
Con Umberto Caraccia, Federica Scappa
Regia Pedro Tochio
produzione Teatro Alchemico
Non è impresa semplice realizzare uno spettacolo sulla guerra: è un argomento che, tristemente, non passa mai di moda; ogni luogo diventa dunque un luogo comune, ogni intervento rischia di planare sulla superficie. Eravamo a Rieti per RIC Festival quando già esplodevano colpi mortali nella Striscia di Gaza, solo poche settimane prima del riaccendersi della pioggia di fuoco in Iraq. E soprattutto eravamo lì mentre sono centinaia i focolai ardenti in tutto il mondo. Ecco, proprio questo il rischioso atteggiamento retorico. La trovata della compagnia reatina Teatro Alchemico nel suo E quindi uscimmo a riveder le stelle… è invece semplice e sincera e si distingue per una vena sognante e crudele, che colora il tutto con i colori pastello di una piccola favola sussurrata, salvo imbrattarli poi con energiche mani sporche di realtà. Umberto Caraccia e Federica Scappa raccolgono un folto cerchio di spettatori nella sala d’attesa della stazione di Rieti per raccontare l’incontro impossibile tra, rispettivamente, uno “scemo di guerra” della Germania nazista e un bambino soldato. Nello spazio alternativo, che investito dalla scarna luce di un faro ospita pochi oggetti come avanzi di scatole di un vecchio trasloco, Scappa compare prima in vesti di bambola, per poi sfoderare anfibi e mimetica e ritornelli inquietanti di chi si è visto lavare il cervello in tenera età. Tornano forse troppo alla vista i riferimenti al teatro di Eugenio Barba, con una acerba esigenza di dire tutto ma proprio tutto usando ogni possibile linguaggio, dalla clownerie alla giocoleria, dalla poesia al brano anni Sessanta sparato a gran volume. E però in questo onirico viaggio all’Inferno emerge un grande impegno nel lavoro sul corpo, nella dedizione al teatro come edificio dell’anima (a scapito della scelta di Teatro Alchemico, che non si esibisce mai in luoghi propriamente teatrali), la performance è pulita, certe immagini toccano davvero. E il pubblico si lascia trasportare. In fondo a rendere ancora più orribile la realtà delle guerre contemporanee è il cronico disinteresse del resto del mondo.
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FRATELLI APPLAUSI
ideazione, scenografie, pupazzi e regia Laura Landi
con Margherita Fantoni, Carlo Gambaro, Laura Landi
fascia d’età 6-11 anni
Finalista Premio Scenario Infanzia 2012
Il teatro di figura, quello che ricorre all’animazione di oggetti al posto (o comunque in aiuto) degli attori in carne e ossa, è in questo paese una pratica in declino. È sempre più comune il pensiero che burattini, marionette, guarattelle, ombre e fantocci siano patrimonio esclusivo dei più piccoli. La verità è che servirsi di qualcosa di altro rispetto ai corpi usuali – nei quali dunque lo spettatore si riconosce immediatamente – rappresenta un’opportunità letteralmente straordinaria, permette l’accesso a strati altri della narrazione e della partecipazione. Dallo sfruttamento di queste possibilità, lasciando tuttavia il target puntato ai bambini, sembra partire Fratelli Applausi, ideato e realizzato da Laura Landi insieme a Margherita Fantoni e Carlo Gambaro. La baracca eretta sul piccolo palco del Teatro dei Condomini di Rieti ospita due diversi piani del racconto: nello spazio principale tre uccelli di gommapiuma si accalcano in un palchetto, in trepidante attesa dell’inizio di uno spettacolo del quale avremo modo di seguire i quadri salienti, distribuiti nelle varie altre aree della baracca. L’idea è di sdoppiare la visione, sezionando la stessa vena ironica/demenziale, debitrice della tradizione più popolare, in due piani diversi anche per proporzioni: i pupazzi in scena resi piccoli dalla supposta distanza dal palchetto che invece appare in primo piano. Idea ingegnosa ma forse troppo ambiziosa, che finisce per abusare dell’attenzione degli spettatori perdendo il controllo della linea drammaturgica e anche il rigore necessario al comparto performativo. Anche qui, di certo le esigue misure del palco non facilitano le manovre, ma è soprattutto qualche eccesso di narrazione e tecnica a scoprire il fianco a difetti di ritmo: la fiaba della Bella Addormentata si fonde con un’epopea di pirati e poi con la storia di Superman, concedendo un intermezzo troppo lungo al “teatro nero” (illusione ottica in cui, grazie alla lampada di Wood, gli oggetti sembrano fluttuare). La fattura dei pupazzi è variegata e pregevolmente artigianale, ma quando si lavora in assenza di testo occorre che la gestualità sia precisa, altrimenti il pubblico, soprattutto quello dei più piccoli, resta pieno di domande.
Sergio Lo Gatto
Twitter @silencio1982
Visto al RIC Festival Rieti in luglio 2014