Kilowatt Festival 2014: una giornata di spettacoli e riflessioni. Recensioni di Invidiatemi come io ho invidiato voi di Tindaro Granata e Trovata una sega di Antonello Taurino
Ritrovare dopo anni un vecchio amico, visitare la casa ristrutturata, salutare i figli che l’ultima volta ancora si guardavano in giro spauriti e ora si muovono con sicurezza, constatare che la cerchia di amici si è allargata negli ultimi anni, che la casa, già prima accogliente, ora ha nuovi vani e funzionalità; capita anche questo nella nostra piccola e marginale comunità del teatro, capita quando quell’amico non è una persona specifica, ma qualcosa di immateriale legato a un luogo. Non tornavo a Sansepolcro da qualche anno e con piacere la giornata che mi sono concesso ha svelato un festival in piena salute. Platee piene, un’offerta artistica capace di far emergere la pluralità dei linguaggi, nuovi spazi (con un lavoro di programmazione anche invernale) e un senso del rischio che evidenzia la libertà di manovra di una “direzione partecipata”. Il progetto legato ai Visionari, ovvero quel gruppo di osservatori che seleziona parte degli spettacoli in cartellone guardando durante l’anno centinaia di video, è arrivato a un punto di maturazione in grado ormai di dimostrare che la partecipazione, quando supportata e guidata, è uno strumento imprescindibile; è principalmente grazie a questo meccanismo (oltre all’organizzazione del festival) che Kilowatt ha costruito a Sansepolcro una cittadella del teatro attorno alla figura dello spettatore.
Basti pensare all’ultima serata in cartellone, sold out in tutti gli appuntamenti nonostante gli sprazzi di pioggia. Lavori molto diversi, a dimostrazione dell’eterogeneità ricercata, ma ognuno frutto di un rigoroso lavoro di ricerca e in grado (soprattutto per i due titoli su cui ci soffermeremo) di instaurare un proprio codice di attraversamento del reale.
La stand up comedy nello spettacolo di Antonello Taurino si lega a doppio filo con il lavoro drammaturgico attraverso il quale la più grande burla ai danni del mondo dell’arte italiana riemerge dal passato come un lembo di memoria rimosso. La celebre storia delle finte teste di Modigliani pescate a Livorno viene restituita con semplicità e ironia a dispetto di un pattern di informazioni, accadimenti e livelli mediatici molto complesso. Dovremmo definire Trovata una sega! uno spettacolo di teatro civile che trova nella comicità quel grimaldello con cui scuotere lo spettatore e allenarlo al ricordo. Il “test” funziona, in platea, nei passaggi più assurdi, ma reali, sono numerosi i bisbigli, gli scuotimenti di capo, i «non ci posso credere» quando spunta fuori il nome di Giulio Carlo Argan tra i critici “colpevoli” di aver riconosciuto come originali una serie di teste scolpite da tre studenti e da un artista livornese. Taurino in scena solo con un tavolo, un leggio e un fondale dove proiettare foto d’epoca si muove con passo deciso tra le contraddizioni e i paradossi di una bolla mediatica d’altri tempi.
La realtà deformata, la verità contraffatta, la Storia macchiata dalla falsità sono gli elementi con i quali lo spettatore deve misurarsi di fronte a Trovata una sega!, ma il rapporto con la realtà e l’effetto che essa può destare quando gravida di brutalità e tragedia è anche la chiave di visione di Invidiatemi come io ho invidiato voi, nuovo lavoro di Tindaro Granata programmato dai Visionari nell’ultima serata di festival. In questo caso la tensione in sala è altissima, il silenzio e la partecipazione hanno una densità eccezionale. Ciò non solo perché Granata, alla sua seconda regia dopo il fortunato Antropolaroid, sceglie la cronaca nera più efferata, ma anche perché l’avvenimento è realmente accaduto non molti anni fa proprio a Sansepolcro. Ed ecco che, come nel caso di Trovata una sega!, il palcoscenico diventa un formidabile amplificatore emotivo, laboratorio di narrazione sociale e forse unico medium che può permettersi in una seduta pubblica di riaprire certe ferite.
La realtà porta in consegna un fatto tanto semplice quanto atroce, la storia di una bambina violentata e uccisa da un amico di sua madre; la verità processuale ha visto l’uomo punito con il carcere a vita e la donna reclusa per decine di anni. A Granata di anni ne sono serviti due anni tra studio e scrittura. Ed ecco balzare fuori dalla penna dell’autore una serie di personaggi indigesti, figurine monodimensionali che come in un teatrino di cartone si animano quando è il proprio turno per poi ritornare in stallo o dietro le quinte. Nella scena vuota, due finestre appese al soffitto sono gli occhi della città: la vicina cinica contenta di non essere mai entrata in contatto con la disgraziata famiglia, ma anche tutti gli occhi silenti di Sansepolcro, quelli che leggevano della notizia dai giornali, quelli che l’hanno vista negli approfondimenti notturni alla televisione e infine quelli che dalla platea in un giorno di fine luglio hanno dovuto nuovamente trovarsi faccia a faccia con un fiotto di sangue mai rappreso.
La sensazione è quella di assistere a una sorta di teatro documentario, ma solo in parte deformato: i personaggi (gli attori sempre convincenti) alternano brevi dialoghi al racconto, il processo e il teatro si mescolano senza però riuscire del tutto a far prendere il volo alla delicatissima materia. Lo spettacolo in certi punti sembra rimanere imprigionato in quello spazio di realtà da cui proviene, gli elementi più inascoltabili della tragedia piombano sullo spettatore, la confessione del pedofilo e le assordanti risate della bambina sono lame affilatissime, armi non convenzionali, sull’utilizzo delle quali (e sull’effetto provocato) andrebbe svolta una riflessione approfondita. Uno spettacolo dal quale non ti liberi facilmente, che avrebbe bisogno forse proprio di un coraggio registico maggiore, così da poter aggirare i rischi di certi ricatti emotivi: insomma siamo lì, in ascolto, pronti a seguire i segnali – come la stralunata interpretazione del padre della bambina a opera dello stesso autore, oppure il momento in cui il televisore che trasmette i Barbapapà gioca il ruolo del giudice – che porterebbero, attraverso una lente deformata, considerazioni e pensieri altri, ma il percorso sembra fermarsi sempre un attimo prima, lasciandoci con in mano brandelli letali di morbosa tragedia.
Alcuni di questi temi sono stati protagonisti anche della discussione che ha animato la mattinata successiva il portico del Palazzo delle Laudi: tutti in cerchio, visionari, critici, operatori, artisti, ovvero tutti spettatori intenti ad affiancare il pensiero di registi e interpreti; tra noi c’era anche Pino, osservatore appassionato e partecipe che da poco ci ha lasciato, dopo aver trascorso gli ultimi giorni proprio a Sansepolcro, la città a misura di spettatore.
Andrea Pocosgnich
Twitter @andreapox
TROVATA UNA SEGA
Interpretazione e regia Antonello Taurino
disegno luci Orazio Attanasio
co-produzione Negrimusic
durata 75’
Sab. 26 luglio, Teatro alla Misericordia, 18.00
INVIDIATEMI COME IO HO INVIDIATO VOI
scritto e diretto da Tindaro Granata
con Tindaro Granata, Mariangela Granelli, Paolo Li Volsi, Bianca Pesce, Francesca Porrini, Giorgia Senesi
voce registrata voice Elena Arcuri
assistente alla regia Agostino Riola
scene e costumi Eliana Borgonovo
disegno luci Matteo Crespi
elaborazioni musicali Marcello Gori
organizzazione e distribuzione Paola Binetti
produzione BIBOteatro & Proxima Res
Sab. 26 luglio, Auditorium di Santa Chiara, 20.45
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