Nederlands Dans Theater 2 a Tivoli per il Festival di Villa Adriana. La recensione
Qualche giorno fa un amico, assiduo e seguitissimo commentatore di Twitter e non abituale frequentatore delle arti sceniche, cinguettava: «Se un movimento lo fa un danzatore mi sembra casuale; ma se lo fanno tutti assieme mi sembra perfetto». Chiunque guardi la danza, almeno una volta, deve aver espressso un pensiero simile, quasi fosse un passaggio obbligato. Chi scrive di certo non ha fatto eccezione e pensa, ad esempio, alla prima e unica volta che aveva assistito, al Festival di Edimburgo, a una coreografia del Grupo Corpo. Dietro la semplicità di questa affermazione si nasconde un principio fondamentale, relativo all’uso che la danza di gruppo fa del corpo, quel senso di amplificazione, di potenziamento, di espansione. Questa sorta di salto visivo dal particolare al generale ha una straordinaria opportunità elastica, e come per magia vedere un gruppo di danzatori muoversi all’unisono sembra concedere all’occhio che guarda un’affilatura speciale in grado di mettere a fuoco, di ciascun movimento, particolari altrimenti invisibili o confusi nell’esecuzione di un così complicato pattern dinamico. No, non c’è nessuna pretesa teorica in questa constatazione, solo il tentativo di fornire al lettore l’impressione di un’esperienza di visione, quella del Nederlands Dans Theater 2, passato dal palco del Festival Internazionale di Villa Adriana a Tivoli.
In una selezione di quattro coreografie la “seconda compagnia” del celebre ensemble olandese, che raccoglie le migliori giovani leve in giro per il mondo attraverso accuratissime audizioni, ha dimostrato un’eccellenza di cui nessuno aveva forse il coraggio di dubitare, ma lo ha fatto con l’impegno e la sincerità che si dovrebbe esigere anche da gruppi così affermati. Una platea piena per metà ha applaudito con calore il primo quadro, I New Then, in prima italiana, che ha restituito, interamente danzato sulle musiche di Van Morrison, una vera e propria narrazione per gesti. I corpi giovani e belli da far male agli occhi hanno raccontato la storia di Madame George e della sua scalmanata malinconia con micro-scene composte in micro-passi e confronti due a due, si sono amati «come fanno i giovani amanti», solcando il palco spoglio con diagonali e incroci dalla dinamica ipnotica, hanno ricostruito con ironia e candore la gelosia e l’autodistruzione sulle note di I’ll be Your Lover Too, transitando per Sweet Things e Crazy Love in una sorta di piccolo sacro della primavera.
Nel breve intermezzo Shutters Shut, due degli interpreti più talentuosi hanno dato voce all’espressionismo più puro mettendo in mimica il poema di Gertrude Stein If I Told Him, inseguendo la voce della scrittrice e le bislacche evoluzioni in forma di filastrocca, stipati dentro calzamaglie bianche e nere e intrecciandosi in un folle specchio, prima di riunirsi al resto della compagnia nel più sofferto e cupo Subject to Change, sarabanda di cerchi concentrici per tappeto rosso e divisa nera su coreografie di Sol León e Paul Lightfoot e musica di Schubert. Tutte micce accese in attesa dell’esplosione del pezzo finale, Cacti, coreografato da Alexander Ekman in un dedalo di nove pedane inseguite da sagomatori mobili, il bagliore di due batterie di luci poggiate di taglio a restituire il calore di un onirico deserto. Proprio in quest’ultima coreografia ci tornava in mente la considerazione sul movimento d’unisono, magia armonica simile al muoversi di un formicaio, nel quale solo una visuale periferica è in grado di individuare i movimenti dei singoli, le loro minute variazioni, i respiri e le espressioni facciali. Tra body percussion, un esilarante passo a due in cui due interpreti eseguono muti indicazioni di voci off che paiono affacciarsi da una dimensione di dormiveglia e l’esplosione sensazionale dei cactus, si snocciolano sarcastiche tesi scientifiche su una natura umana in lotta contro l’estinzione.
È così che alla potenza della danza pura, fusa con l’impiego di un organismo di corpi spinto al lavoro nel pieno del regime, si perdonano volentieri anche certe svisate un po’ troppo concettuali e compiaciute, sintesi tra innovazione e storia della modern dance. E dove i contorni astratti del lavoro di muscoli e ritmo lasciano spazio all’imperfezione di una presenza in fondo umana e agli sguardi vitali di chi lavora per la forza del gruppo, è là che fioriscono gemme di vera emozione, da chiudersi a chiave nella propria esperienza di spettatori.
Sergio Lo Gatto
Twitter @silencio1982
visto al Festival di Villa Adriana (Tivoli) [programma] luglio 2014
I NEW THEN
Johan Inger, coreografia
Urtzi Aranburu, assistente coreografo
Van Morrison: Madame George, The Way Young Lovers Do, I’ll be Your Lover Too, Sweet Things, Crazy Love, musica
Tom Visser, luci
Johan Inger, scene
Bregje van Balen, costumi
SHUTTERS SHUT
Un breve studio del poema scritto e letto da Gertrude Stein: If I Told Him: A completed portrait of Picasso [1923].
Sol León e Paul Lightfoot, coreografia
Tom Bevoort, luci
SUBJECT TO CHANGE
Sol León e Paul Lightfoot, coreografia
Hedda Twiehaus, staged by
Franz Schubert, dal Quartetto d’archi n. 14 in re minore D 810 La morte e la fanciulla (1824), II movimento “Andante con moto”; arrangiamento per orchestra d’archi di Gustav Mahler (1894), musica
Sol León e Paul Lightfoot, scene e costumi
Tom Bevoort, luci
CACTI
Alexander Ekman, coreografia
Tom Visser, luci
Alexander Ekman, scene e costumi
Spencer Theberge, testi
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