Inequilibrio 2014 tra il Cervantes di Garbuggino-Ventriglia e l’Hemingway di Roberto Abbiati
Le virtù dei luoghi sono degli uomini cui appartengono? Può darsi, fatto è che vedere uno spettacolo in uno o l’altro posto d’Italia, al sud o al nord, in un teatro o all’aperto, in un festival o in stagione, prende davvero tutto un altro sapore. Avevamo lasciato Castiglioncello, nel Castello Pasquini dove risiede il centro di produzione Armunia e il festival Inequilibrio, alle prese con un cambio di direzione in corsa: via Andrea Nanni, stimato critico e operatore che aveva gestito con qualità la difficile successione di Massimo Paganelli, dentro una coppia formata da Angela Fumarola e Fabio Masi, da anni nell’organico direttivo e quindi tra i pochi capaci in così pochi mesi di prendere le redini di una stagione fino a questa riunione estiva. Negli ultimi giorni del festival c’è stato modo di apprezzare come certi luoghi vivano i cambiamenti, come maturino le occasioni dagli uomini determinate, cosa cioè producano come fossero parte della magia e non il terreno, la condizione ambientale, in cui essa si manifesta.
Tutto ciò accade perché Armunia sulla costa etrusca coglie il dialogo tra le onde e la riva, tra fondale e membrana. Il teatro è ciò che accade nel mezzo, nella distanza che separa l’invisibile dal visibile, il presunto dal vero. Ma per questo c’è bisogno del metodo, del tempo, della misura. Di un progetto forte che vada oltre i pochi mesi concessi alla nuova direzione.
Al centro l’attore, si diceva in un precedente articolo, a dominare una proposta che ha chiamato molti degli artisti di casa al castello per sostenere questo difficile passaggio. Ma l’attore cos’è mai senza un ascolto? E allora è proprio in certi luoghi che prende corpo quell’abuso cui ci rimettiamo per i nostri racconti, ossia la relazione, la risacca di un ragionamento che uno scroscio lava via, lasciandolo netto e rilucente.
Per esempio sul pavimento di una scena nelle sale interne, c’è un libro riverso sulla faccia di due pagine, mi avvicino, Pavel Florenskij, Le porte regali, Saggio sull’icona. Eppure qui si era per vedere cosa avevano intenzione di fare Gaetano Ventriglia e Silvia Garbuggino con il Don Chisciotte, dinoccolati Cavalieri dalla triste figura alla ricerca della pienezza espressiva nella nudità della scena. Si comprende presto come questi “appunti” per uno spettacolo da farsi passino per un ascolto intermedio, necessario all’evoluzione. Ma soprattutto che per fare il Don Chisciotte l’idea dell’autore di uno spettacolo contemporaneo deve attraversare ben altre opere, meglio ancora un comparto evolutivo del pensiero che ne sostenga la soluzione artistica, concreta: la rappresentazione. Perché allora è riverso, Florenskij, a mostrare il dorso della sua presenza fisica? Il filosofo russo, vissuto tra Ottocento e Novecento, compie un viaggio nell’arte, più precisamente in essa scorge il segno cui si aggrappa proprio la rappresentazione, l’icona, svolgendo il suo carico ontologico proprio come passaggio di stato, nodo simbolico tra mondo visibile e mondo invisibile. Cos’è allora un libro sul dorso se non un simbolo di un passaggio organico tra realtà e rappresentazione? Cosa se non il fulcro della mutazione di un’idea nell’opera? Tutto si apre con un immaginifico testo di Ventriglia, una poesia sospesa si mette lì tra mare e terra, neve sulla battigia, un sogno che dell’opera da svolgere, del vero che la riguarda, sa già tutto. Oltre ogni falsificazione che la realtà, sulla verità, impone. E allora verranno le lotte contro le greggi di pecore, conto i famosi mulini a vento, verrà il sodalizio con Sancho Panza e l’amore per Dulcinea. Nascerà, questo spettacolo, dalle ceneri di tutti quelli che non faranno. Teatro è scelta, levigatura di desideri, eliminazione dei superflui. Il testo di Florenskij è rimasto sul pavimento, poco discosti se ne parlava, con gli autori. È stato allora che è accaduto quello che qui accade: lo spettacolo ha ricominciato il suo volteggiare, l’idea ha preso giovamento di una visione di rimando. Un simbolo ancora una volta ha legato due mondi, creandone uno ulteriore e tutto nuovo.
Parecchi secoli più tardi di Miguel de Cervantes, Ernest Hemingway scriveva Il vecchio e il mare. Era il 1952 e gli valse il Premio Nobel due anni dopo. Roberto Abbiati ci accoglie con una chitarra malandata, scordata, nella prima delle tante sale in cui la vicenda si dipanerà, un site specific nato con il laboratorio di costruzione teatrale in accordo – assonanza – alla musica di Alessandro Nidi per strumenti rudimentali azionati da dodici ragazzi attori. Quattro sono i vecchi, i dodici sono il mare. O questo sembra, nella “costruzione teatrale” che li coinvolge come da progetto, ma al punto di diventare essi stessi il teatro. Proprio in questo contatto tra Santiago e Manolin, tra generazioni umane, prende vita l’opera, di grande impatto visivo e sonoro, di splendida qualità evocativa: il vecchio che lotterà con il mare per il pesce che ha pescato e che perderà, cova in sé i caratteri del metodo, cioè dell’umanità, la pesca diviene così un fulcro dell’esistenza, senza cui la vita sarebbe impossibile. Il ragazzo è suono, scroscio di mare, proiezione della stessa umanità, di metodo ancora priva. La bolla sonora in cui si muove la loro relazione è ancora un passaggio di stato, di tempo, di emozioni. È poesia il lascito testamentario di Santiago a Manolin, dell’uomo alla sua evoluzione, del mare ai suoi flutti, di ciò che insomma resta in un segreto di fondale a ciò che, una volta ancora, raggiungerà la riva.
Simone Nebbia
Twitter @Simone_Nebbia
Vai al programma completo del festival Inequilibrio 2014
CAVALIERI DALLA TRISTE FIGURA
Primo passo nel Don Chisciotte
di e con Silvia Garbuggino e Gaetano Ventriglia
IL VECCHIO E IL MARE
da Ernest Miller Hemingway
laboratorio di costruzione teatrale con Roberto Abbiati e Alessandro Nidi
con la partecipazione di Giona Ashdjazadeh, Johannes Auf Der Heyde, Simone Bigazzi, Riccardo De Grandis, Cecilia Dini, Vittoria Dini, Valeria Feri, Maria Feri, Alicia Flores, Leonardo Guidi, Gioele Reginato, Omar Tognotti
e con Giuseppe Danesin, Enzo Marchi, Antonio Olivieri, Silvano Righi
immagini di Lucia Baldini
con il laboratorio di scenotecnica di Armunia
luci Fabio Giommarelli e Filippo Trambusti
col prezioso aiuto di Davide Salvatici
coproduzione Armunia/Festival Inequilibrio