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Caliban Cannibal (ri)emerge dalla tenda dei Motus

Caliban Cannibal ultima tappa di AnimalePolitico Project realizzato da Motus

 

Foto Andrea Macchia
Foto Andrea Macchia

Santarcangelo·14 Festival Internazionale del teatro in piazza si caratterizza anche quest’anno come un festival dei luoghi da abitare, diversi e disseminati nel piccolo paese in provincia di Rimini: dalla Scuola Elementare Pascucci alla Grotta Municipale, passando per lo storico Sferisterio, al piccolo Teatrino della Collegiata, allo Spazio Saigi… Situato nella zona artigianale, quasi alla periferia di Santarcangelo, si erge l’Hangar Bornaccino «nuovissimo e intatto, potente nella sua dimensione e vuotezza», pronto a ospitare Caliban Cannibal di Enrico Casagrande e Daniela Nicolò, ultima (?) tappa di AnimalePolitico Project 2011>2068 prodotto dal gruppo Motus nell’ambito di Ateliers de l’Euroméditerranée a Marsiglia nel 2013.

Foto Andrea Macchia
Foto Andrea Macchia

Motus prosegue con questo lavoro lo studio su La Tempesta, l’ultima opera compiuta di William Shakespeare. Il viaggio nomade all’insegna della precarietà del reale giunge finalmente, o quasi, a un approdo, allo stanziamento momentaneo e provvisorio che è però già partenza, già abbandono. Una «light emergency tent» è collocata al centro dello spazio scenico, i cui due lati sono entrambi occupati da muri di scatole bianche poste l’una sull’altra e su cui scopriremo il monito «fragile». Vi sono proiettate le riprese delle due piccole videocamere «one shot» che osservano, come una sorta di Grande Fratello orwelliano, l’interno della tenda dove dormono A+C, Ariel e Caliban, Silvia Calderoni e Mohamed Ali Ltaief (Dalì). La contrainte per cui i due giovani ragazzi si trovano entrambi sotto il tetto leggerissimo di questa tenda di emergenza stimola un dialogo sospeso tra di loro, com’è sospesa del resto la presenza di Ariel che dialoga con Caliban attraverso un “plurilinguaggio” (ibridato da tante lingue diverse). Il selvaggio Caliban – chiamato nel testo originale con l’epiteto di «most ignorant monster» e «debosh’d fish» – ora non è più un «man-monster» sottomesso alla volontà di un padrone, ma un uomo libero di ribadire il valore della propria esistenza, all’insegna di una «identità aperta alla differenza», cannibale per il troppo amore che nutre nei confronti dell’uomo.

Foto Andrea Macchia
Foto Andrea Macchia

Come ne La Tempesta, in cui l’isola, il mare, l’acqua, la magia sono tutti elementi dalla forte carica simbolica, anche questo adattamento pullula di rimandi simbolici: tra i fiori della piantina mangiati da Ariel, le note di One Day/Reckoning Song del cantautore israeliano Asaf Avidan risuonano come sottofondo musicale, mentre si inquadrano ritagli di giornale riguardanti la violenza in Medio Oriente… Questi i molteplici resti di un viaggio, custoditi nella tenda che durante lo spettacolo si muove, si agita e respira quasi avesse vita propria. «Voglio fare qualcosa!» è il grido di impotenza levato alto da una generazione di nomadi viaggiatori che attraversa un presente ignoto, perché come dice Dalì/Caliban «non esiste la realtà»; anche ciò che viene proiettato all’esterno, sui due muri di scatole, non appartiene allo stesso tempo o spazio della tenda, vi sono infatti immagini del viaggio in treno che Silvia e Dalì hanno fatto per arrivare a Santarcangelo e del racconto dell’esperienza al Teatro Valle Occupato, dove è stato allestito in precedenza questo rifugio.

Attraverso il racconto di Ariel e Caliban si abbattono le frontiere politiche e mentali che dividono e separano, impedendoci di dare forma a uno spirito comunitario che sia vessillo di questa così celebrata Europa. Sì, Europa: sogno di unità scritto da Ariel/Silvia su quelle scatole bianche poi prese a pugni per far crollare i muri, i confini, i limiti, senza badare a quella scritta, «fragile», come fosse un imperativo a non agire.
La tenda è il riparo d’emergenza, quell’«eterotopia mobile, modo di essere nel paesaggio artistico» dei Motus. Il presente è il tramite tra il passato e il futuro, il movimento e la spinta verso l’instancabile scoperta, per questo Ariel e Caliban usciranno alla fine fuori dalla tenda, svuotata e spogliata del suo mutevole habitus, per poi essere ripiegata e riposta in una «big bag» arancione e, a fatica, oltre le porte dell’hangar, fuori, verso nuovi mari.

Lucia Medri
Twitter @LuciaMedri

CALIBAN CANNIBAL
di Enrico Casagrande e Daniela Nicolò
con Silvia Calderoni e Mohamed Ali Ltaief (Dalì)
video Enrico Casagrande, Andrea Gallo e Alessio Spirli
assistente alla regia Ilenia Caleo
contributo video dal documentario “Philosophers’ Republic” di Med Ali Ltaief e Darja Stocker (philosophers-republic.com)
traduzioni Nerina Cocchi
produzione Elisa Bartolucci
organizzazione Silvia Albanese e Valentina Zangari
promozione e distribuzione estera Lisa Gilardino
ufficio stampa Sandra Angelini
produzione Motus / 2011 > 2068 AnimalePolitico Project
nell’ambito di Ateliers de l’Euroméditerranée – Marseille Provence 2013
con il sostegno di Santarcangelo •12•13•14, Face à Face / Paroles d’Italie pour les scènes de France e Angelo Mai Altrove Occupato ed ESC Atelier Autogestito

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Lucia Medri
Lucia Medri
Giornalista pubblicista iscritta all'ODG della Regione Lazio, laureata al DAMS presso l’Università degli Studi di Roma Tre con una tesi magistrale in Antropologia Sociale. Dopo la formazione editoriale in contesti quali agenzie letterarie e case editrici (Einaudi) si specializza in web editing e social media management svolgendo come freelance attività di redazione, ghostwriting e consulenza presso agenzie di comunicazione, testate giornalistiche, e per realtà promotrici in ambito culturale (Fondazione Cinema per Roma). Nel 2018, vince il Premio Nico Garrone come "critica sensibile al teatro che muta".

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