Il Principe Costante di Jerzy Grotoski, per Teatro in Video, 7° appuntamento
Il Principe Costante (1965) di Jerzy Grotowski a partire da un testo di Calderòn de la Barca è uno degli spettacoli più importanti del teatro contemporaneo. Lo raccontiamo con una esclusiva testimonianza del prof. Ferruccio Marotti, ex docente alla Sapienza Università di Roma. La testimonianza è stata raccolta durante una conferenza per la Scuola Dottorale dell’ateneo romano, tenutasi nel dicembre 2012, dal titolo Diventare uno spettatore professionista. I contenuti testuali che riportiamo sono stati autorizzati dal prof. Marotti. Il video che segue è la versione integrale dello spettacolo ricostruita da Marotti e dalla prof. Tinti nel 1977. Il progetto audiovisivo, sostenuto dal Centro Teatro Ateneo, è stato realizzato sincronizzando una traccia video e una sonora della registrazione originale.
a cura di Sergio Lo Gatto
IL RACCONTO DI FERRUCIO MAROTTI:
“Al Festival di Spoleto 1967, prenotai regolarmente un posto per Il Principe Costante di Grotowski, arrivai la sera e mi dissero che i giornalisti non erano ammessi. Solo sessanta spettatori, ma i posti erano stati tutti venduti. «Le consigliamo di mettersi in fila prima che apra il botteghino alle 8 di domani». Feci quasi tutta la notte in fila. Lo spettacolo si svolgeva il pomeriggio in soffitta. Con quello spettacolo mi accorsi di un teatro in cui non c’era più nulla di razionale: era un buco nell’onirico, si entrava in una strana apoteosi del martirio cristiano e di derisione. Il testo era quello spagnolo e barocco di Calderòn de la Barca, la storia quella di un infante regale che viene casualmente fatto prigioniero dai Mori e diviene oggetto di possibile scambio regale e quindi trattato benissimo, entrando nel mondo della corte. Lì riceve anche riconoscenza perché in duello non aveva ucciso un generale dei Mori. Ma il riscatto da pagare è la cessione ai Mori dell’unica città cristiana, Ceuta, a sud di Gibilterra. Il fratello, il re, è disposto a pagare questo prezzo, ma lui non accetta. L’atteggiamento del re cambia e vuole costringerlo con la forza, gli danno da mangiare solo acqua e pane, legato a una catena in una cella. Si assiste allora a una progressiva ricerca del martirio. Quando il principe muore, sono i Mori a glorificarlo come un santo. Grotowski aveva tirato fuori un’indagine psicanalitica junghiana sulla natura umana. Il principe era un uomo in perizoma bianco (Ryszard Ciezlak) braccato dalle guardie in nero e poi simbolicamente castrato, gesto che testimoniava la prigionia.
Solo sessanta spettatori erano disposti su una panca intorno a un rettangolo con una palizzata che arrivava all’altezza del naso. Al centro della scena, un tavolo ribassato, simile a un tavolo di anatomia. Tutto lo spettacolo era un gioco di dissezione dell’essere umano. E questo gioco era visibile solo a condizione di tirarsi su, di tendere la spina dorsale. Vedere solo se sceglieva di essere testimoni di un’azione esecranda. E veniva mostrato il passaggio dal trattamento regale alla tortura. Il Principe non è solo vittima dei carnefici, ma li supera nell’auto-tortura. Erano quelli gli anni delle imprese americane in Vietnam e in Corea, dove gli statunitensi usavano la tortura come strumento di persuasione per i nemici. Si sentiva forte la realtà attuale della tortura, esposta simbolicamente ma anche fisicamente. Il Principe era nudo con un perizoma bianco, gli altri in nero. Veniva frustato con una coperta rossa che diventava il suo sudario, unico elemento di colore su tutta la scena. Quando lo frustavano si vedevano proprio i segni del livido sulla carne battuta. Le grida del torturati erano portate sul minuetto dei canti della chiesa cattolica e al tempo stesso si sentiva forte la derisione di questa idea di martirio”.
Ferruccio Marotti
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