Teatro ragazzi: una riflessione sull’estetica, a partire dal simposio della rassegna Teatro tra le Generazioni
Nel numero di Novembre 2013 dei Quaderni si parlava di teatro ragazzi dando spazio a una riflessione di Fabrizio Pallara – regista e direttore della compagnia romana Teatro delle Apparizioni – che aveva offerto di questo settore un panorama piuttosto malandato e individuato certe possibili soluzioni innanzitutto nella lotta alla endemica frammentazione delle energie, nel recupero di una dimensione comunitaria del pubblico (quello dei bambini, certo, ma ancor di più quello delle famiglie), nella spinta a favore di un’uscita dal buco, forse sarebbe meglio dire dal ghetto. Sì, perché l’impressione che emerge più di ogni altra è che il teatro per i giovanissimi in Italia sia qualcosa di relegato a una dimensione “inferiore”, messo a parte dall’attenzione generale, che invece ancora se ne sta salda sul teatro più stabile (almeno come rispondenza a un immaginario comune) o, quasi di contro, sulla più acrobatica ricerca di forme nuove, di forme indipendenti, di forme culturalmente e politicamente rilevanti. Come se tutte queste caratteristiche non potessero o non dovessero trovarsi nel teatro ragazzi.
Accade spesso che simili ragionamenti sistemici possano trovare una parziale risposta nel contatto con una realtà altra, lontana da logiche malate. Una realtà internazionale sorprendentemente florida come quella della Danimarca, dove per il 44° anno consecutivo si è svolto l’Aprilfestival, una gigantesca rassegna nazionale di teatro per il giovane pubblico.
Di contro, per conoscere e comprendere questo esempio è forse utile ripartire dall’Italia. All’interno del festival Teatro tra le Generazioni, annualmente e pregevolmente organizzato a Castelfiorentino (FI) dalla compagnia Giallomare Minimal Teatro diretta da Renzo Boldrini, sono stati ospitati due incontri dal titolo “Il teatro ragazzi esiste?”. Moderando una tavola rotonda, Gerardo Guccini ha sollevato un’interessante questione per definire il sistema interno al teatro ragazzi: secondo il docente emiliano in esso coesistono due modelli paralleli, quello «comunicativo» e quello «relazionale». Nel primo, complice la distanza generazionale tra artisti e pubblico, «il destinatario può non sapere niente del messaggio dell’emittente, che passa da “chi sa” e informa “chi non sa”». Nella dinamica relazionale l’interazione vera e propria tra emittente destinatario è in grado di «influenzare il messaggio: da docente mi preparo ciò che comunico e so che se qualcuno parla il tutto cambia, cambia l’oggetto della comunicazione». La dinamica relazionale è in effetti determinante nel fatto teatrale. «L’espressione è ciò che si manifesta dentro un rapporto relazionale, dove non si può avere il controllo totale». Soprattutto, aggiungeremmo, con un pubblico di bambini, con i quali si tenta di conciliare «i vari passi e le situazioni di dinamica affidati invece a passaggi empatici». Sembra che il tutto faccia il paio, secondo Guccini, con quanto dice lo psicologo russo Lev Vygotskij: «Il prodursi del linguaggio nel bambino è patrimonio continuo della sua stessa crescita, l’attraversamento di un linguaggio asemantico, patrimonio costante dell’individuo», più che con quanto afferma lo svizzero Jean Piaget: «L’individuo è il risultato di uno sviluppo». Se tutto questo è vero, se il teatro ragazzi conferma il persistere di un «materiale prelinguistico» con cui fanno i conti sia l’emittente che il destinatario, eccola lì la cruciale importanza di questa arte: il preservarsi di una dimensione di espressione/ricezione in cui adulto e bambino si amalgamano in un codice comune.
A quel principio di conservazione direttamente connesso al concetto di bene culturale l’esempio danese dell’Aprilfestival risponde con una solida e longeva istituzione, stabilita addirittura dalla Costituzione del piccolo stato nordeuropeo. La municipalità che sostiene il teatro per i giovani ospitando un’edizione del festival ha diritto a un rimborso di metà delle spese direttamente dallo Stato. Quella che per il territorio è una forte promozione, in grado di muovere centinaia di visitatori, si traduce in un’offerta gratuita per il pubblico. Tutti gli spettacoli – che vanno avanti in decine di spazi per dodici ore a partire dalle nove di mattina – sono infatti a ingresso libero. Della qualità media degli spettacoli, molto alta, diventa quasi superfluo parlare, dal momento che un sistema come questo svolge a pieno il complesso e multiforme compito culturale che il teatro per i più piccoli dovrebbe avere in ogni società: grazie a una concreta attenzione delle istituzioni e delle comunità locali, creare un rapporto diretto (e gratuito) con i suoi fruitori (bambini e famiglie), formare una solida rete di scambio artistico e logistico tra le compagnie – anche grazie all’ospitalità offerta a compagnie e operatori internazionali – che alimenta dall’interno il livello di sperimentazione trasformandosi così in una macchina dinamica in grado di far crescere artisti e giovane pubblico insieme, verso una completa e coordinata alfabetizzazione sul campo. Eccolo, il modello relazionale rivendicato da Guccini.
Sergio Lo Gatto
Twitter @silencio1982
Questo articolo è apparso nel numero di Maggio 2014 dei Quaderni del Teatro di Roma. Per gentile concessione.