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Le ribellioni archiviate di Brechtskabaret

Brechtskabaret, teatro-canzone della Compagnia Nos sulle opere di Brecht

Immaginate di trovarvi catapultati nel 2067, anno in cui il mondo è uscito dalla crisi economica e le nazioni si trovano riunite sotto lo Stato unificato di Pangea. Immaginate una comunità umana che non è finalmente più afflitta dalla guerra, dalle malattie, dalla fame, dalla disoccupazione e dalla criminalità, né rischia di vederle di nuovo apparire, poiché un efficientissimo sistema burocratico-giuridico previene alla radice il loro insorgere. Ma immaginate anche che una simile condizione di relativa sicurezza si regge sulla sopraffazione sottile di un organo di controllo, (L’Unione Culturale), che giorno per giorno cancella ogni traccia del passato, somministra ai cittadini il cibo sufficiente per vivere e permette loro di praticare solo le attività indispensabili per il mantenimento dello Stato, quali crescere una famiglia, introducendo così una serie di mali più sottili: la noia quotidiana, l’impero del banale, l’oblio della storia. Così facendo avrete l’ambientazione dello spettacolo di teatro-canzone Brechtskabaret, scritto e diretto da Davide Strava della Compagnia Nos. Il lavoro è andato in scena al Teatro Quarticciolo di Roma con gli attori-cantanti Sarah Biacchi e lo stesso Strava e dei musicisti-attori Giovanna Famulari e Ivano Guanelli, al quale si devono le musiche dello spettacolo: arrangiamenti per pianoforte e violoncello delle canzoni di Kurt Weill per l’Opera da tre soldi di Bertolt Brecht.

Una simile ambientazione serve a introdurre Abramo, l’interrogatore del Sovrintendente dell’Unione Culturale, alla ribelle Zoe, arrestata per aver cantato in pubblico alcune canzoni di rivolta, tratte appunto da Brecht, e rischia per questo di essere condannata all’esilio. I personaggi seguono due ideali di condotta opposti, manifestati già nei loro nomi. “Abramo” e “Zoe” – come del resto “Pangea”, il super-continente che ridusse tutte le terre emerse in unità – sono “nomi parlanti”, in cui è inscritto il destino della vicenda. Al pari del suo antecedente biblico, Abramo è colui che incarna l’ideale di obbedienza a un’autorità superiore in grado di imporre col linguaggio un filtro alle cose e costruisce una barriera che preclude di aderire pienamente alla vita, la quale viene così dosata e controllata. È del resto lo stesso Abramo ad aver elaborato il sistema di dosaggio delle risorse e l’apparato di controllo di Pangea, retto sull’osservanza degli articoli di un catechismo e di principi logici trasmessi oralmente da genitori a figli, come quello di non-appartenenza («nessuno appartiene a nessuno, ma tutti appartengono a Pangea»). Il nome Zoe è, invece, un calco del greco zoè (“vita”), pertanto la donna che lo porta è spronata a cercare la vitalità e a scontrarsi con la vuota, quanto verbosa, retorica dell’Unione Culturale, che impone grigiore e banalità per conferire allo Stato una sicurezza altrettanto grigia e banale. Questa concezione dei nomi parlanti si riverbera, peraltro, nella recitazione degli attori: molto pacata e “sorvegliata” per Davide Strava, nel ruolo di Abramo, e molto fisica, emotivamente intensa per Sarah Biacchi, che impersona Zoe.

Nonostante queste lampanti differenze, i due personaggi si somigliano per molti aspetti. Non a caso, col dipanarsi della vicenda, si scopre che una volta essi erano amanti, il che non sarebbe potuto avvenire se non avessero avuto qualche tratto in comune. Anzitutto, entrambi agiscono in nome del benessere e dell’unità tra gli uomini, incarnati da Abramo con l’obbedienza a uno Stato che vede nell’uniformità la protezione da ogni pericolo; e da Zoe, la quale conduce una vita in cui ognuno è libero di seguire le sue propensioni particolari, ovvero di assecondare quello che dà senso all’esistenza, nel rispetto delle predilezioni altrui, facendoci sentire come «Uno». In secondo luogo, essi fondano i loro ideali su una dialettica tra le nozioni di felicità e di verità, delineata però in rapporti diversi. Se Abramo cerca di raggiungere la felicità costruendo col linguaggio del potere una verità fittizia, Zoe intende apprendere la verità per costruire una forma di felicità che dà potere agli uomini. In terzo luogo, infine, entrambi i personaggi individuano nei canti di Brecht-Weill uno strumento politico, seppure ancora una volta concepito diversamente. Abramo li impiega come mezzo di legittimazione del suo Stato, usando quelle canzoni che descrivono gli uomini come esseri viventi da tenere sotto controllo perché perfidi e malvagi (la canzone del primo finale dell’Opera da tre soldi), oppure che dichiarano l’inutilità degli sforzi umani (La ballata dell’inadeguatezza). Mentre Zoe intona i canti di Brecht-Weill più “militanti” e propositivi, inneggianti esplicitamente alla rivoluzione (Canzone di Jenny dei Pirati) e che cercano di indurre Abramo a passare dalla sua parte (Tango Ballad) o danno il coraggio per compiere azioni estreme (La ballata di Maria Sanders dà alla donna la forza di andare incontro alla morte, quando nel finale sarà messa di fronte alla scelta dell’esilio o dell’auto-eliminazione),  si rimpiange l’epoca in cui le persone potevano ancora cantare ad alta voce, ossia osare e rischiare per realizzare i propri desideri.

Sembrerebbe tuttavia che la regia di Strava propenda più per l’ideale di Zoe che per quello di Abramo; lo dimostra un elemento scenografico inquietante, che fa da sfondo al conflitto tra i personaggi, due grandi scaffali posti in fondo al palco e colmi di uccelli di cartapesta, i quali simboleggiano le registrazioni che l’Unione Culturale ha raccolto degli interrogatori fatti ad altri ribelli prima di mandarli alla morte o in esilio. Sembrano macabri trofei del potere, in nome del quale molti moti di ribellione sono stati stroncati sul nascere, invece di tradursi in un volo liberatorio per tutta la comunità. I cittadini hanno più volte desiderato la libertà ricercata da Zoe, in antitesi con il potere di Pangea. L’unità e la felicità promossa da Abramo è invece artificiale e ingannevole, così come lo è la visione del mondo propagandata nei canti. In realtà infatti, tutti gli uomini sono buoni e amanti della libertà pubblica, visto che scelgono di incorrere nella morte o nell’esilio pur di rendere felici i propri simili.

La rappresentazione del conflitto che ha luogo durante l’interrogatorio, si pone in continuità con la tradizione brechtiana. L’intento didattico di dare una visione preoccupante della nostra epoca, mostrando come le potenze politiche attuali e le loro misure economico-sociali stiano portando il mondo nel baratro dell’immobilismo dello Stato di Pangea. Lo spettatore viene così, sempre coerentemente con i meccanismi dello straniamento, a prendere posizione e a precorrere nei tempi la rivolta di Zoe, se non addirittura a trovare una terza via. Anche la posizione di Zoe risulta poi controversa, visto che in diversi punti dello spettacolo ella dichiara apertamente di essere disposta a sacrificare le vite di altri al suo ideale («Io credo che non importa se a causa della verità si scateneranno guerre, crocifissioni, distruzioni, perché l’unico vero scopo è l’eternità»). Tale terza via condurrebbe a una specie di rivoluzione superiore, che non cerca la sola tranquillità né la sola libertà, ma una condizione in cui l’una e l’altra si trovano intrecciate insieme.

Enrico Piergiacomi
Twitter @Democriteo

Visto in maggio 2014 al Teatro Quarticciolo, Roma

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BRECHTSKABARET
Scritto e diretto da Davide Strava
Musiche di Kurt Weill
con Sarah Biacchi, Davide Strava, Ivano Guagnelli, Giovanna Famulari

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