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Alda Merini: poesie dal manicomio. I colori maturano la notte

Alda Merini in un omaggio di Marzia Ercolani. I colori maturano la notte

 

foto di Silvia Pierattini
foto di Silvia Pierattini

«Quelle come me regalano sogni anche a costo di rimanerne prive. Quelle come me donano l’anima perché un’anima da sola è come una goccia d’acqua nel deserto. Quelle come me guardano avanti, anche se il cuore rimane sempre qualche passo indietro… Quelle come me quando amano, amano per sempre e quando smettono d’amare è solo perché piccoli frammenti di essere giacciono inermi nelle mani della vita… Quelle come me vorrebbero cambiare, ma il farlo comporterebbe nascere di nuovo…». Ci sono individui che sembrano affacciarsi e risiedere in questo mondo con un’attitudine al tormento, volti cui la banalità fisiognomica è sottratta da rughe di turbini interiori, cercatori di normalità in cave di supplizio, esploratori, a volte amari, che fanno luce sulla terra di mezzo dove la coscienza si impasta alle sue ombre brune. Guerrieri di un esercito di spiriti incarnati, capita che alcuni di questi permettano all’arte di beneficiare delle piccole e grandi atrocità personali e così succede pure che i lori occhi, le loro parole, diventino specchio per frammenti dell’esistenza di molti. Fra costoro certo si trovano anche quelle come Alda Merini, poche o tante che siano.

Se la sua opera ha conosciuto negli anni l’alternanza di momenti di gloria e oblio, la sua biografia, disseminata più o meno direttamente nelle liriche e negli scritti, è stata segnata da vicissitudini diverse affrontate con una sensibilità di poeta tutta femminile. Assieme alle tappe canoniche, a graffiare ripetutamente il corso della vita della Merini sono stati in maniera decisiva gli squilibri psichici e le esperienze manicomiali. Da queste nasce nel 1986 il primo testo in prosa L’altra verità. Diario di una diversa a cui oggi Marzia Ercolani si è rifatta per la costruzione dello spettacolo I colori maturano la notte. Confessioni di una diversa andato in scena al Nuovo Cinema Palazzo di Roma.

foto di Matteo Nardone
foto di Matteo Nardone

L’introduzione prende quasi la forma del documentario, con la proiezione di sequenze girate nel comprensorio di Santa Maria della Pietà da un infermiere, qualche anno prima che la legge Basaglia decretasse la dismissione dei manicomi. Unica voce narrante è poi quella dell’autrice, attrice e regista, che veste i panni della poetessa e traghetta lo spettatore nel periodo di internamento cui fu sottoposta fra gli anni Sessanta e Settanta. La performance non è strutturata propriamente come un monologo, a prendere corpo piuttosto è un dialogo in cui la musica fa da accompagnamento e “controcanto” rivestendo in proporzione un ruolo da protagonista quasi paritetico. Stefano Scarfone con chitarra e pedaliera è seduto al centro di una scena essenziale, ma non del tutto scarna, dove campeggiano pochi oggetti adoperati come supporti delle azioni: un secchio di alluminio, un cumulo di terra fregiato da fiori in cima, una gabbietta sospesa e due reti da letto incorniciate da boccioli bianchi servono a Ercolani per delineare i momenti drammatici. Il tessuto sonoro e strumentale a tratti scandisce le parole e spesso si concede ad assolo prolungati nell’intervallarsi di quadri che, più o meno intensamente, fanno dell’interprete il cardine su cui ruota la vicenda e con essa la performance. Tolte piccole incertezze di eccessiva maniera e il rischio di cadute melense – difficile stabilire se determinate o meno dal testo in sé – la presenza attoriale non è priva di consapevolezza, seppure con picchi di maggiore efficacia.

Pregio principale del lavoro nel complesso è la costruzione di un’autonomia teatrale rispetto al presupposto letterario, senza che essa si tramuti tuttavia in una manipolazione inopportuna del tessuto narrativo di base. Alcuni aspetti risultano da ricalibrare in prospettiva: fatta eccezione per i riverberi tonali probabilmente imputabili allo spazio e alla circostanza specifica, restano perplessità sull’uso del microfono per la voce e sull’equilibrio a tratti ridondante fra musica e parola.

Marianna Masselli
Twitter @Mari_Masselli

Nuovo Cinema Palazzo, Roma, Giugno 2014

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I COLORI MATURANO LA NOTTE
Confessioni di una diversa Alda Merini
un progetto a cura di Marzia Ercolani
con
Marzia Ercolani – Voce e corpo narrante
Stefano Scarfone – Musiche originali e sonorizzazioni
ospite d’eccezione: Adriano Pallotta – ex infermiere del Santa Maria della Pietà premio Basaglia
Adattamento liberamente tratto da “L’altra verità: Diario di una diversa” di Alda Merini

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Marianna Masselli
Marianna Masselli
Marianna Masselli, cresciuta in Puglia, terminato dopo anni lo studio del pianoforte e conseguita la maturità classica, si trasferisce a Roma per coltivare l’interesse e gli studi teatrali. Qui ha modo di frequentare diversi seminari e partecipare a progetti collaterali all’avanzamento del percorso accademico. Consegue la laurea magistrale con una tesi sullo spettacolo Ci ragiono e canto (di Dario Fo e Nuovo Canzoniere Italiano) e sul teatro politico degli anni '60 e ’70. Dal luglio del 2012 scrive e collabora in qualità di redattrice con la testata di informazione e approfondimento «Teatro e Critica». Negli ultimi anni ha avuto modo di prendere parte e confrontarsi con ulteriori esperienze o realtà redazionali (v. «Quaderni del Teatro di Roma», «La tempesta», foglio quotidiano della Biennale Teatro 2013).

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