Recensioni: Giacominazza di Luana Rondinelli, Perché amo il mio peccato di Diego Placidi e Le dissolute assolte di Luca Gaeta
Tra le molteplici offerte teatrali, sul Taccuino Critico si appuntano segni di sguardi diversi che rispondono a un’unica necessità: osservare, testimoniare, dar conto dell’espressione pura, del piccolo e grande teatro…
GIACOMINAZZA
testo e regia Luana Rondinelli
con Claudia Gusmano, Luana Rondinelli
musiche originali Adriano Dragotta
aiuto regia Silvia Bello
produzione Accura Teatro
C’è una società dell’apparenza dove la diversità implica l’isolamento e la paura di questa muove contro la libertà individuale. Non perché la Sicilia sia la terra di Giacominazza, tutto il mondo è paese, e se non è il rifiuto per il chiromante, potrebbe esser quello dell’omosessuale, o chissà cos’altro, ognuno metta dentro ciò che vuole. In scena due donne, entrambe “diverse”. L’una, la chiromante, per fortuna o suo malgrado è riuscita ad inserirsi nella comunità; l’altra, non più ragazzina ma quasi donna, vive appieno quel dramma adolescenziale di definizione del sé, misto di incertezza e forza rabbiosa verso un mondo che ancora non le appartiene, ma che le storpia il nome. A muoverla è la voglia d’esser libera dalla città che l’opprime, dall’amore che pensa sia sbagliato, dai consigli di riflessione. Solo nel dialogo con l’amica, la strana saggia più che pettegola, chiromante quasi greca veggente, la “tammorra” della richiesta di sguardo, quel «Taliàtimi!» urlato di fronte alla piazza a “scandalo rivelato” si potrà placare. Luana Rondinelli, qui autrice regista e, assieme a una validissima Claudia Gusmano, attrice, torna alla lingua di Rosa Balistreri (che sembra riecheggiare anche se non direttamente evocata), dove anche quelle parole non comprensibili all’intelletto captano altre corde: all’italiano sfugge in questo caso la ragione, ma non il cuore. È una lingua fresca, di grande impatto sonoro resa musicale dalla scelta dei termini, dall’alternanza di registri comici, proverbi, espressioni crude o italianizzate, che pochissimo ha da rifinire – probabilmente qualcosa sul finale forse un po’ affettato – per dirsi completo. Il lavoro visto al Teatro Tor Bella Monaca, del resto fa parte del Progetto Gestazione che accompagna spettacoli inediti di giovani autori durante il loro processo creativo. Non uno studio, né un avventata corsa verso un risultato non ancora giunto, ma un momento in cui vagliare il proprio percorso tastandolo direttamente con la platea.
Viviana Raciti
Twitter @Viviana_Raciti
Al Teatro Tor Bella Monaca. Maggio 2014
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PERCHÈ AMO IL MIO PECCATO
libero adattamento di “Storie di una capinera”
di Diego Placidi
con Francesca Verzaro, Giovanna Cappuccio, Nunzia Mita; e l’unico attore Diego Placidi
regia Diego Placidi
Nella Roma dei tanti teatri, la maggior parte salette d’affitto più o meno esoso, una bella realtà di etica professionale è il Teatro Kopó che va a concludere la sua prima stagione, in vista anche di una prossima piccola stagione estiva, senza avere mai praticato affitto, ma condividendo il rischio con le compagnie (incasso 70/30), sobbarcandosi promozione, comunicazione, radicamento in un territorio come quello molto esteso e modaiolo del Tuscolano. Perché amo il mio peccato – spettacolo di Diego Placidi anche in scena con Francesca Verzaro, Giovanna Cappuccio e Nunzia Mita – trae spunto da Storia di una capinera, racconto di Giovanni Verga ispirato alla reclusione coatta di una giovane costretta al convento. La chiave prescelta è di certo estetica, un’atmosfera gotica e sospesa in cui sviluppare il racconto in prima persona della sventurata, il cui dolore è frutto di una privazione d’amore. Maria della sua passione tradita dall’uso dà conto in forma tragica, è sorvegliata dalla morte e dalle due Moire ai lati avvolte in fasci di filamenti, che le sono sostegno e insieme carceriere e le schiudono la via della redenzione, cui solo una narrazione dolorosa può tendere. La regia ricava dal testo epistolare di Verga un nuovo testo, modificato perché agli attori sia consentito di abitare quell’atmosfera cupa che, tuttavia, fin da subito attestata non evolve e resta uniforme, veicolando lo spettacolo verso una linearità in cui si perde pian piano spessore.
Simone Nebbia
Twitter @Simone_Nebbia
Al Teatro Kopó. Maggio 2014
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LE DISSOLUTE ASSOLTE
(ovvero le donne del Don Giovanni)
Liberamente ispirato al personaggio creato da Tirso De Molina, Molière, Puskin, Rostand, Frisch
Uno spettacolo ideato, scritto e diretto da Luca Gaeta.
Con Nela Lucic, Laura Gigante, Valentina Ghetti, Annamaria Zuccaro, Lucia Rossi, Janet De Nardis, Mariaelena Masetti Zannini, Glenda Canino, Giulia Morgani, Valeria Pistillo, Eleonora Gnazi, Claudia Donzelli e Marco Giustini.
Vi è sempre una certa emozione attorno alla pratica dello spettacolo itinerante, sarà anche colpa della difficoltà con la quale ormai l’attenzione dello spettatore viene catturata e stimolata, causa l’abitudine a un pensiero frammentato e sempre rivolto a numerose fonti di informazione. Comunque scendere nei meandri di certi teatri romani scavati nell’underground storico della capitale e viverli pienamente è un’attrattiva che solletica la partecipazione. Al Piccolo Teatro Campo d’Arte fino al 21 giugno è in scena Le dissolute assolte, viaggio nel ventre dello storico spazio (che a quanto pare purtroppo chiuderà a fine stagione), ma anche nel mito del Don Giovanni visto con gli occhi delle donne che col celebre personaggio hanno avuto a che fare. Cicerone di questa esperienza non può che essere il fido Leporello interpretato in punta di romanesco da Marco Giustini. Va detto che lo spettacolo comincia fuori dal teatro con la matrona del ”bordello” che adesca passanti e spettatori in attesa, una lavagna all’ingresso riporta i prezzi dei servizi amorosi rigorosamente in lire.
L’operazione ha un suo fascino e la riscrittura di Luca Gaeta (anche regista) potrebbe aprire interessanti spiragli se non fosse per la ricerca a tutti i costi proprio della partecipazione: nelle stazioni in cui si svolge lo spettacolo, ovvero tutti gli spazi cavernicoli del teatro, anche quelli più angusti, la dama di turno nel bel mezzo del proprio monologo cerca il contatto con gli spettatori, ma il risultato appunto è quello rischiosissimo di trasformare tutto in burla e di far sprofondare anche gli afflati più poetici tra le risate di una scolaresca. Si dirà che è anche colpa del pubblico, ma molte volte la risata nasce dall’imbarazzo di un contatto non sempre necessario o che avrebbe bisogno a priori di un terreno di incontro emotivo ben condiviso.
Andrea Pocosgnich
Twitter @andreapox
Al Piccolo Teatro Campo d’Arte. Maggio 2014
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