IT Festival: da Milano una riflessione di Maddalena Giovannelli e Francesca Serrazanetti
“Il teatro sta andando straordinariamente bene a Milano”, ha scritto Renato Palazzi in un articolo della scorsa domenica (articolo).
Difficile non concordare, osservando una vitalità che molto deve all’Elfo Puccini e al Franco Parenti: due realtà che – grazie anche al loro statuto di multisala – si sono imposte come punto di riferimento irrinunciabile per la città, accostando spettacoli di qualità per il grande pubblico e interessanti proposte sperimentali e di nuova drammaturgia. Certo non tutto riesce ad essere accolto nei pur fitti cartelloni, e molte delle compagnie più giovani restano escluse e marginali.
Milano pare aver trovato, negli scorsi due anni, un interessante modalità per dare conto di tutto il ricchissimo “sommerso” che anima le sale (e non di rado gli scantinati) della città. Si tratta di ITfestival, la cui seconda edizione è stata presentata alla Fabbrica del Vapore dal 2 al 4 maggio. La manifestazione – che ha contato quest’anno 4000 ingressi in tre giorni – si imposta come uno degli esperimenti più interessanti ed eversivi degli ultimi anni, per almeno tre aspetti.
1. L’organizzazione
It Festival è organizzato dall’intera collettività delle compagnie che partecipano, quest’anno più di cento. Cosa significa concretamente questa impostazione orizzontale? Nei mesi precedenti al festival si sono susseguite riunioni plenarie nelle quali sono stati spartiti i compiti, è stata messa a punto la struttura organizzativa, si sono creati tavoli di lavoro. A sentirne parlare, viene da storcere il naso o da pronosticare fallimenti. Eppure – contrariamente a qualsiasi lucida perplessità – It ha messo in piedi una macchina complessa ma efficiente: otto sale con programmazione simultanea dalle 18 alle 24, tempistiche serrate, montaggi e smontaggi fulminei. E ancora: dibattiti critici di mezzanotte (chiamati, non senza ironia, It’s late), incontri mattutini, spettacoli per bambini nel pomeriggio, la redazione di un blog, dj set e bar per la sera. Era sorprendente osservare, nei giorni del festival, come ogni compagnia si facesse carico del proprio compito con efficienza e senza clamore; sorprendente soprattutto se si pensa che nessuno è stato retribuito per il lavoro svolto e che il nome del singolo artista scompariva nel maremagnum della collettività. Difficile non riflettere sulla sostenibilità a lungo termine di un simile impianto organizzativo e sull’importanza, in tempi come questi, di ribadire la necessità di una retribuzione. Ma ognuno degli artisti coinvolti ha dimostrato, nei fatti, di considerare il festival come una propria creatura e di ritenere la realizzazione di uno spazio per il teatro indipendente una vera e propria urgenza. Una necessità per la quale, forse, vale la pena spendere tempo, risorse, energie.
2. Il pubblico
Per tre sere di 6 ore ciascuna, e per di più nel mezzo del ponte del primo maggio, le otto sale della Fabbrica del Vapore hanno fatto il tutto esaurito. Mentre le sale dei teatri off, che lavorano sul territorio in modo continuativo, faticano a riempirsi, ITFestival è riuscito ad attirare un attenzione e un interesse eccezionali. Un pubblico non solo di addetti ai lavori e appassionati: alla chiamata di IT hanno risposto spettatori attenti, teatranti, osservatori critici ma anche tanti curiosi, attratti dall’effettiva proposta interna alle sale ma anche dall’evento inedito e dall’atmosfera festosa. In tempi in cui tanto si parla della necessità di creare nuovo pubblico, si tratta di un dato significativo.
Gli oltre 400 spettatori simultaneamente in sala, per un totale di oltre 4000 visite, hanno accettato la sfida di un programma intenso e senza sosta, disposti a fare lunghe code, non solo per l’acquisto del biglietto (5 € per l’intera serata), ma anche per entrare a vedere i singoli spettacoli, restando spesso fuori. Le otto sale collocate intorno a un vasto piazzale a cielo aperto – sedi dei Laboratori creativi che durante tutto l’anno risiedono presso la Fabbrica del Vapore – aprivano le porte ogni 30 minuti: i tagliandi di accesso alle sale distribuiti poco prima dell’inizio dello spettacolo obbligavano il ricambio continuo e la corsa al posto, lasciando fuori ad ogni turno qualcuno. Gli innumerevoli attraversamenti del piazzale per trovare qualche posto ancora libero, gli incontri e gli scambi di opinioni rendevano quasi impossibile la scelta degli appuntamenti da seguire, imponendo la casualità. Anche questo ha assicurato a ogni compagnia pari visibilità, al di là del nome più o meno conosciuto, e ad ogni spettatore l’opportunità di scoperte inaspettate. Una nuova forma di democrazia?
3. Le proposte
Uno dei temi più interessanti e discussi è stato quello del tempo che ogni compagnia ha avuto a disposizione per presentarsi. I venti minuti concessi sono stati utilizzati in tre modi diversi, sempre indicati nel programma del festival con l’utilizzo degli hashtag: #pills (estratti da spettacoli esistenti), #adhoc (performance pensate appositamente per il contenitore spazio-temporale del festival) e #showcase (dimostrazioni di lavoro e presentazioni più didascaliche). I più hanno scelto la prima strada, quella che richiede meno tempo e che non obbliga alla creazione di nuovi progetti, con il tempo e la fatica che questi si portano dietro. Salvo alcune eccezioni, la compressione di un lavoro nato per tempi più dilatati rischia di comprometterne lo sviluppo narrativo, il crescendo di emozioni, e quindi la ricezione. Ad accettare la sfida di questo tempo compresso non sono state solo le compagnie ma anche il pubblico: il tentativo di costruire un’empatia, di innescare dei dispositivi scenici inediti, di raccontare una storia, di dimostrare la propria maturità e il proprio linguaggio ha messo alla prova gli artisti e aumentato l’attenzione del pubblico.
Inutile negare che il livello delle proposte non fosse sempre elevato. Molte le compagnie ancora immature o che non hanno saputo cogliere la sfida del tempo. Ma in questo contesto poco importa la qualità della singola offerta. A IT, la fortuna di incontrare creazioni più o meno convincenti sta negli itinerari personali che la serata traccia in modo quasi spontaneo tra le singole sale, e sarebbe riduttivo fare un bilancio basandosi su contenuti necessariamente parziali. Questa sete di teatro segna il successo del festival e la creazione di uno spazio in crescita per il teatro indipendente non può che rappresentare una buona notizia per la città.
Maddalena Giovannelli e Francesca Serrazanetti
Questo contenuto è parte del progetto Situazione Critica
in collaborazione con Stratagemmi