Recensione dello spettacolo dei Motus Nella tempesta visto al Teatro Valle Occupato
Mi piacerebbe leggerla come un’indagine sull’appartenenza. Su ciò che è nostro e che poi per scelta non lo è più, su come anche una coperta di troppo diventa scenografia temporanea, si presta a vela, sopperisce alla nave e diviene rifugio. Indagine su ciò che vorrebbe (dovrebbe?) esser nostro, meta da raggiungere per la quale saremmo disposti a varcare mari – metaforicamente? realmente? – e a rischiare la pelle pur di ottenerla. Indagine su ciò di cui siamo stati privati, operazione coatta tale per cui in un momento vediamo perdere quella che prima chiamavamo casa. Allora si rimetteranno in gioco tutti i valori, i ruoli prestabiliti, tutto sarà Nella tempesta.
Non a caso, ancora una volta, il luogo è il Valle, quel teatro occupato di cui da quasi tre anni raccontiamo nel bene e nel male le avventure. Motus presenta lì Nella Tempesta (tappa del più ampio AnimalePolitico Project, l’ultima del quale è finora Caliban Cannibal) la cui punta d’iceberg dedicataria è rivolta a tutto quel nucleo (artistico e non) gravitante attorno all’Angelo Mai sgomberato nemmeno un mese fa. Il testo di Shakespeare continuamente citato e messo sulla scena (e insieme a lui la riscrittura di Aimé Césaire, il Brave New World di Huxley, o le note di Riders on the Storm dei Doors), come se si assistesse al processo di formazione dello spettacolo, diviene strumento metateatrale per «intercettare inquietudini, slanci, immagini e proiezioni sul “domani che fa tutti tremare”».
Naufraghi i personaggi, altrettanto gli attori; intenti, ancor prima di iniziare, a raccogliere sulla scena le innumerevoli coperte portate – su programmatica richiesta – dal pubblico, le quali ogni sera differentemente costituiscono la base scenica del lavoro, per poi esser devolute a strutture che ne abbiano bisogno. Come di consuetudine lontano dalla linearità, il lavoro degli attori si articola in un continuo entrare-uscire dalla finzione scenica, tra la verità di un salto e una recitazione un po’ più “educata” che quasi stona, rispondendo però, anche in questo caso, a un’indagine sull’incertezza, in bilico tra il bianco del fondale e l’effetto glitter di alcuni giochi di luce; tra la conquista e la perdita di potere, dei luoghi, del personaggio. «Se fossi Prospero farei così, ma sono Glen» ribatterà uno di loro, Glen Çaçi. La verità – rimodulata, certo – entra continuamente nel gioco, così come vi entrano altre costanti tipiche del lavoro del gruppo riminese, come l’utilizzo del “real time film” che proietta in diretta l’uscita dal teatro di Silvia Calderoni, seguita subito dopo da immagini invece premontate di lei, in pieno giorno, tra gli sfollati di una manifestazione di piazza, con in mano un tronco d’albero, reciso, ma vero.
Oltre l’affermazione, oltre il giudizio, ciò che emerge è un’altra necessità. «This Island is mine», scritta su tutto il palco; basta un leggero spostamento e diviene quesito, «is this Island mine?». Soprattutto, può davvero esserlo? E, se fosse possibile, se fosse davvero nel nostro potere la facoltà di decidere il nostro futuro, cosa sceglieremmo noi? Si sente l’eco della voce di Judith Malina (anima del Living Theatre a cui i Motus devono molto) sostenere che bisogna andare contro le tempeste, innescarle, addirittura. «E voi», ci chiedono loro in scena – ed è una domanda che risuona anche dopo, che tocca da vicino – «cosa avreste fatto?», se foste stati Prospero, naufraghi e re assieme, dove e in cosa avreste trovato appiglio, rifugio?
Viviana Raciti
Twitter @Viviana_Raciti
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Visto in aprile 2014 al Teatro Valle Occupato di Roma
NELLA TEMPESTA
2011 > 2068 Animale Politico Project
sottotitoli in francese e in inglese
uno spettacolo di Motus: Enrico Casagrande + Daniela Nicolò
con Silvia Calderoni, Glen Çaçi, Ilenia Caleo, Fortunato Leccese, Paola Stella Minni
drammaturgia Daniela Nicolò | assistente alla regia e traduzioni Nerina Cocchi
direzione tecnica e suono Andrea Gallo | moving-head design Alessio Spirli
riprese e montaggio video Enrico Casagrande e Daniela Nicolò