Primo Appuntamento della rubrica Teatro in video. Grazie alla collaborazione di utenti e studiosi di tutto il mondo, YouTube sta diventando un grande archivio anche per le arti performative. Ogni domenica anticiperemo la visione di un filmato storico con un nostro breve testo di presentazione o accompagnamento. Lasciate i vostri commenti su questa nuova iniziativa e aiutateci a scovare preziose rarità.
Loïe Fuller con Danse Serpentine apre la nuova rubrica Teatro in video
La Ville Lumière. Se pensiamo Parigi tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento accade, come per effetto di una suggestione involontaria, di figurarci un crocevia di volti, di idee, di scorci al confine tra realtà e fascinazione: ci vediamo camminare tra i vicoli dove intellettuali del post-decadentismo, neo-simbolisti e pre-esistenzialisti trascinano le gambe sfiancate dalle bevute nei café notturni; sotto un cappello più o meno logoro, più o meno discreto di piume e velluti, compitiamo i passi, calzati di stivaletti coi bottoni, con quelli di una sciantosa che nemmeno troppo sommessamente si avvia al suo letto tutt’altro che verginale. E poi, con il giornale titolato dell’ultima straordinaria scoperta del secolo sotto il braccio, con uno dei primi bocchini nelle tasche e il fiato trionfalmente lordo di una sigaretta, lasciamo la camera mobiliata a buon mercato di Montmartre dopo uno sguardo fugace a Le Chat Noir e decidiamo di arrivare a piedi a Les Folies Bergère. Attratti da una locandina di Toulouse-Lautrec prendiamo posto e con la coda dell’occhio scorgiamo Stéphane Mallarmè pronto a guardare “l’incantatrice” avverare ancora la “scrittura visiva”, prima che la sala si riempia magari della musica di Ravel o di Debussy e compaia, in un turbinio di stoffe e luci, Loïe Fuller. Attrice, impresaria di sé stessa, indipendente americana, nella sua omosessualità non celata, nella totale disarmonia del suo volto, nella sua incontestabile mancata bellezza rappresenta l’emblema attrattivo dei fermenti del momento. Fra le pieghe e gli archi di tessuto irrorato di riverberi colorati da gelatine, lungo le traiettorie scolpite nello spazio dai movimenti sostenuti dall’ennesima trovata illuminotecnica si rintracciano le ragioni per cui l’art nouveau, l’estetica liberty e addirittura il pathos di Auguste Rodin abbiano ravvisato nella sua idea di performance un polo magnetico decisivo. Allure di un viaggio immaginifico verrebbe da dire, tracce anacronistiche di immagini di un altro tempo, di un altro luogo. Ma il senso di un viaggio non è forse nel ritorno, la sua funzione non rimane quella di ricondurre alla partenza dimostrando al viaggiatore di essere in realtà un pellegrino alla ricerca di qualcosa, per lasciargli il dubbio di non aver trovato in prospettiva un nuovo allontanamento? Noi pellegrini incoscienti e consapevoli, con le pupille piene dell’impalpabilità della storia, torniamo ravveduti ai nostri palcoscenici, ai nostri interpreti insieme alla figura di un pioniere travestito da farfalla di seta, da lingua di fuoco, da curva di un petalo di fiore; insieme ad una “non-danzatrice” che ha suggerito ai nostri occhi quanto il successo della sua rottura del canone abbia seminato per la danza contemporanea, nel tentativo costante di conciliare arte e nuove tecnologie, di costruire un modo nuovo di dialogare con la percezione. Probabilmente il presente è poco più che l’increspatura cangiante di un velo del passato.
Marianna Masselli
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