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Taccuino critico. Siena, Camoletti e la Barbie

Ummonte, Boeing Boeing di Camoletti, Doris Every Day. Recensioni brevi

Tra le molteplici offerte teatrali, sul Taccuino Critico si appuntano segni di sguardi diversi che rispondono a un’unica necessità: osservare, testimoniare, dar conto dell’espressione pura, del piccolo e grande teatro…

ummonte
Foto Ufficio Stampa

UMMONTE
Scritto, diretto e interpretato da Elisa Porciatti
Progettazione Scenica e Grafica Silvia Porciatti Elena Vattimo
Menzione Speciale Premio Scenario 2013

Vero è che di certe cose ci si accorge soltanto in assenza. Pensiamo un monte ad esempio, sovrasta la stessa città per millenni e generazioni, dovesse un giorno franare, crollare, eclissarsi dal cono visivo, allora sapremmo il momento esatto in cui ha smesso di esserci, rintracciando così tutto il tempo in cui silente componeva lo spazio. Se poi la città è Siena e il “monte” è una banca, allora il crollo è più grave e le conseguenze più estese. Ummonte è, quella banca, per Elisa Porciatti che ha compiuto la coraggiosa scelta di portare in scena una materia freschissima come il grande scandalo che ha coinvolto l’istituto bancario senese, rinnovando una volta ancora come la vena documentaria del teatro sia al vertice delle possibilità di racconto.
Zoe, una ragazza ex dipendente, narra dal suo punto di vista – lei innamorata delle parole, più che delle monete – ascesa e caduta di una città con dentro una banca o, si percepisce, l’esatto contrario. Già perché Siena della sua banca è intrisa, in essa è annegata. Nel racconto, la cui semplicità pur valorosa svela meccanismi drammaturgici non ancora evoluti e che forse la recitazione dovrebbe meglio sostenere attraverso la varietà di caratteri più marcati, i personaggi che crescono attorno a Zoe hanno dall’infanzia all’età adulta il mito del denaro, comprano e vendono, animano il presente in virtù di un futuro in cui saranno assunti, così inglobati nella macchina dei soldi. Ma c’è un limite in cui la disumanità della crescita scontra la sua nemesi, l’ascesa si incrina e il declino – economico, culturale – sarà inarrestabile. Siena, circondata dalle sue mura, finisce sotto la frana del “monte”. L’Italia, circondata dai mari, di “monti” ne ha per ogni altitudine. Dagli Appennini alle Alpi.

Simone Nebbia
Twitter @Simone_Nebbia

Visto in aprile 2014 al Teatro Bi. Pop. “Zaccaria Verucci”

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Foto di Tommaso Le Pera
Foto di Tommaso Le Pera

BOEING BOEING
di Marc Camoletti
versione italiana di Luca Barcellona e Francis Evans
con Gianluca Guidi, Gianluca Ramazzotti, Ariella Reggio, Barbara Snellenburg, Marjo Berasategui, Sonja Bader
scene e costumi Rob Howell
musica originale Claire van Kampen
disegno luci Stefano Lattavo
regia Mark Schneider
sulla regia originale di Matthew Warchus
allestimento scenico originale prodotto da Sonia Friedman
in coproduzione con Festival di Borgio Verezzi e Benevento Festival Città Spettacolo XXXII edizione

Un salotto in cui il bianco integrale è smorzato da pochi oggetti cangianti: rosso, blu e giallo come i colori delle divise di tre giovani hostess di compagnie aeree differenti che si avvicendano l’una all’insaputa dell’altra nell’appartamento di un rampante architetto italiano, Gianluca Guidi, impegnato a districarsi fra partenze e atterraggi per conservare in ognuna la certezza di essere la fidanzata ufficiale. Queste le premesse per una classica commedia degli imprevisti in cui ruolo non secondario è giocato dal compagno di scuola – Gianluca Ramazzotti – arrivato all’improvviso e subito divenuto complice e artefice dei piccoli intrighi amorosi destinati a sfociare nell’immancabile lieto fine. L’allestimento di Boeing Boeing di Marc Camoletti, curato da Mark Schneider e andato in scena al Quirino, ha il vantaggio di tentare una capillarità dello spazio adattata sulla situazione e costruita dalla scenografia, di fatto abbastanza convenzionale, con sette porte che suggeriscono ambienti altri. Per il resto l’applicazione degli attori risulta evidente, Guidi riesce brillantemente nella sua intenzione, tuttavia Ramazzotti appare una macchietta la cui forzatura recitativa non funziona se non per il gusto di risata da pochade ottocentesca, efficace forse per un pubblico piuttosto agée; stessa cosa vale per Barbara Snellenburg nel ruolo di Gloria. Nonostante la confessione di pregiudizi non solo di genere, ci siamo trovati a riconoscere la godibilità di due ore di completa “superficie” per certi spettatori in virtù della discreta padronanza del palco, ma resta il dubbio sul senso di simili operazioni.

Marianna Masselli
Twitter @mari_masselli

Visto in aprile 2014 al Teatro Quirino di Roma

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Foto di Alfonzo Germanò
Foto di Alfonzo Germanò

DORIS EVERY DAY
di Laura Bucciarelli
regia Pietro Dattola
con Flavia Germana De Lipsis, Andrea Onori
Produzione DoveComeQuando presenta
assistente regia ed elementi di scena Alessandro Marrone

Non si esaurirà mai il mito delle bionde, del “sorriso perenne” da Barbie patinata, perfetta, rosa? Doris Every Day di Laura Bucciarelli – testo vincitore nel 2012 del Premio di Drammaturgia DCQ Giuliano Gennaio e quest’anno del progetto di residenza artistica de La Cattiva Strada – mette in atto una confessione che indaga il mito della bellezza a tutti i costi. La messinscena vista ad opera della compagnia DoveComeQuando affida gran parte della resa all’interpretazione di Flavia Germana De Lipsis, in grado di modulare dalla freschezza del suo personaggio i toni della madre coercitiva – imperativi che risuonano nella mente a luci spente, mentre in scena il calore delle luci accarezza una scena fatta di abiti rosa e poco più. “Freschezza” è proprio il caso di dire, se si pensa ai limoni continuamente ingurgitati da Doris. La sua sarà una trasformazione sottopelle, lì dove l’acidità citrica sembra quasi sbiancare i denti, ricordo di uno smalto perduto, le labbra si tenderanno sempre di più in un sorriso che cela una smorfia disperata. Tazzine da thè riempite di sapone o di vaporoso profumo, sorseggiate con charme anche se tutto sembra crollare. Ciò che convince meno, paradossalmente, è proprio il testo. Al di là del senso ritmico di scrittura nel quale la ripetizione diventa mostro ossessivo, il tema, abusato e a dirla tutta un po’ sorpassato, rischia di rimanere solo sulla superficie del discorso. Esiste ancora il mito della Blondie, non si mette in dubbio questo, né che non ci sia bisogno di una critica a coloro che fanno di una ricerca esteriore e tutta superficiale unica ragione di vita. L’importante è che non si cada nel loro stesso gioco.

Viviana Raciti
Twitter @viviana_raciti

Fino al 20 Aprile 2014 in scena presso il Teatro Studio Uno

 

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