La parola”Madre” da Savinio. Occhi di carta – N. Stoccolma. Recensioni brevi
Tra le molteplici offerte teatrali, sul Taccuino Critico si appuntano segni di sguardi diversi che rispondono a un’unica necessità: osservare, testimoniare, dar conto dell’espressione pura, del piccolo e grande teatro…
LA PAROLA “MADRE”
Libero tradimento da “Emma B. vedova Giocasta” di Alberto Savinio
Scritto e diretto da Luigi Imperato e Silvana Pirone
Con Fedele Canonico, Domenico Santo, Salvatore Veneruso
Costumi Francesca Balzano
Disegno luci Paco Summonte
Attrezzeria Monica Costigliola, Stefano D’Agostino
Uno spettacolo di Teatro di Legno
Roma è un alveare in fermento dove si elaborano strategie e nuovi tentativi di assalto all’immobilismo delle istituzioni. La scorsa settimana due rassegne di matrice indipendente sono riuscite a contendersi attenzioni e spettatori: All In (che approfondiremo prossimamente), organizzata in seno a Dominio Pubblico e affidata totalmente a un manipolo di operatori under 25, e Sciapò, di cui avevamo già parlato con una vivace intervista twitter all’organizzatrice Laura Belloni. Quest’ultimo ha chiuso al Teatro Tordinona in una serata di pioggia (e di partita), riuscendo comunque a catalizzare l’attenzione di una trentina di persone nella sala Pirandello, pronte ad accogliere l’interessante proposta della compagnia Teatro di Legno e a valutarne la bontà con l’affilatissimo motto: entrata libera e uscita a cappello.
Il gruppo – di cui fa parte anche Domenico Santo, ideatore della rassegna per il Teatro Civico 14 di Caserta già nel 2011– ha trovato una felice sponda nella scrittura di Alberto Savinio, autore pressoché dimenticato dal teatro italiano. Il testo di riferimento è Emma B. vedova Giocasta; da qui la compagnia parte per un viaggio drammaturgico e visivo di forte impatto e suggestione approdando a La parola “Madre” (scritto e diretto da Luigi Imperato e Silvana Pirone) che vede il monologo di Savinio tripartito su tre personaggi. Sono madri in attesa del figlio Milo. Ha spedito una lettera, ma l’attesa mette in discussione la debole indole della donna. La drammaturgia di Savinio già ribolle di echi da teatro dell’assurdo, ma in questo caso diventa ancor più materia viva in bocche partenopee capaci di masticarla con destrezza e di organizzarvi intorno e attraverso anche una visione registica rigorosa e conturbante: le scelte cromatiche dei costumi (tutti in rosso), il porpora dei mobili, le luci dalla forte carica espressiva, l’abile alternanza dei registri comici ad alcuni momenti più ambigui e riflessivi. Il tutto calibrato da tre attori giovani, ma di alto livello (oltre a Santo ci sono Fedele Canonico e Salvatore Veneruso), ai quali infatti il pubblico non esita a dimostrare l’apprezzamento riempiendo il cappello.
Andrea Pocosgnich
Twitter @andreapox
Visto al Teatro Tordinona in aprile 2014
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OCCHI DI CARTA – N
messa in scena di Antonio Sinisi
voce recitante Antonio Sinisi
con Elisa Turco Liveri
dai racconti di Alex Cantarelli
Non si può dire che il Teatro Studio Uno di Torpignattara non ami rischiare. Questa è la volta del progetto “N”, un dittico immaginato e messo in scena da Antonio Sinisi a partire da due racconti di Alex Cantarelli. Lo spettacolo, nettamente diviso in due da una cesura, tenta di affiancare in maniera dichiaratamente ossimorica il radiodramma e il teatro gestuale. Scelta (e categorie) che è il regista stesso, da dietro la consolle, a chiarire subito prima dell’inizio, parlando di un “esperimento sulla visione”. Nella prima parte si possono facilmente tenere gli occhi chiusi, tutta la performance è nel sonoro. Eppure le luci sul palco restano accese, incorniciando le forme di una bacinella d’acqua al centro e di un misterioso quadro nero sul fondo. È curioso il rapporto che la mente immagina e tenta di creare tra questa visione fissa e la voce narrante che, da un unico altoparlante, si limita a leggere il primo dei due racconti, confusa mini-odissea in stile cyberpunk ambientata nell’anno 2190. La voce (di Sinisi stesso) dialoga in maniera non chiarissima con effetti sonori e ripetizioni a loop e il tratto più interessante di questa lettura in fondo un po’ già sentita è il fatto che la voce è stata registrata “in diversi momenti della giornata”, così che sembri appartenere a più personaggi. Il secondo tempo è affidato all’abile mimica di Elisa Turco Liveri, che trasforma la descrizione del remoto pianeta N in una minuziosa partitura gestuale. Per un’operazione genuina e in fondo umile va reso merito al regista, al quale il consiglio dato è di confrontare costantemente le proprie intuizioni con il fertile humus della ricerca, che oggi a Roma è sempre più vivo in spazi come questo. Compito dell’artista che voglia sperimentare è sempre quello di misurare i propri tentativi con quelli degli altri, in modo da non cadere nel rischio di operazioni che si pensano più all’avanguardia di quanto sono.
Sergio Lo Gatto
Twitter @silencio1982
visto al Teatro Studio Uno in aprile 2014
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STOCCOLMA
di Bryony Lavery
con Ketty Di Porto e Luigi Iacuzio
Regia di Marco Calvani
Stoccolma. Altrove. Una coppia felice fa di tutto per non esserlo e ritrova agio e intimità di relazione, in una parola reciprocità, attraverso la proiezione in un viaggio, nell’assenza dalla vita di ora. Eppure, la vita, è ora. Nel tempo cioè in cui non sanno trovare un equilibrio o, meglio, non sanno mantenere ciò che fin troppo semplicemente hanno conquistato. C’è una riflessione sui rapporti che prende le mosse da una particolare relazione, quella tra Todd e Kali, all’interno di Stoccolma, testo di Bryony Lavery che Marco Calvani ha adattato e portato in scena per Trend 2013 e di nuovo ora al Teatro Belli. Il giorno del compleanno di lui, quando tutto sembra pronto per una bella festa privata, prima la lettera imprevista di sua madre che non vuole aprire, poi l’assurda gelosia di lei accende una miccia esplosiva e la tranquillità a portata di mano diventa un’utopia, ma insieme il rimorso è attraente e la rabbia stimola una nuova salvifica catarsi. Nel gioco sensuale, che Calvani (su tutte la scena della prima notte d’amore) rende con garbo e leggerezza, Ketty Di Porto e Luigi Iacunzio raccontano parte in prima e parte in terza persona, e sanno nei personaggi far valere diverse sfumature arricchendo così la piéce, immaginata invece in uno spazio scarno ed essenziale. La loro rotta lontana non è il rapporto di domani ma una città a poche ore d’aereo, lontana ma raggiungibile, la città in cui sognano di andare e che fanno di tutto per evitare, annientando il viaggio ma, contemporaneamente, il loro futuro e loro stessi.
Simone Nebbia
Twitter @Simone_Nebbia
Fino al 27 aprile 2014 al Teatro Belli di Roma
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