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Open di Ezralow. Intervista e postilla critica

Open, spettacolo del coreografo statunitense Daniel Ezralow torna in Italia rappresentato dalla celebre compagnia di danza Spellbound Contemporary Ballet, diretta dal coreografo Mauro Astolfi. Per saperne di più riguardo questo sodalizio coreografico abbiamo incontrato (prima dello spettacolo) il produttore di Open e rappresentante italiano di Ezralow Antonio Gnecchi e Valentina Marini direttrice generale della SpellBound Contemporary Ballet.

Foto di Angelo Redaelli
Foto di Angelo Redaelli

Due grandi realtà  – una americana l’altra italiana – si uniscono in questo progetto: com’è avvenuto il vostro incontro?

V.M. Attraverso un’amicizia incrociata e una stima professionale reciproca. Il progetto è il frutto di un’intuizione imprenditoriale. Del resto ci sono forme di economie di scala e di possibilità che si percorrono in sinergia, unendo le forze. La produzione rimane fa capo a BaGS Entertainment, cioè marchio intestatario della produzione originaria e diventa coproduzione nella misura in cui la Spellbound Contemporary Ballet entra nella dinamica produttiva. Il budget non cambia, mutano le strategie e le opportunità date da una collaborazione congiunta.

Cosa vuol dire produrre un simile spettacolo?

A.G. Un’ opportunità molto importante innanzitutto. Daniel Ezralow non possiede una Compagnia, quindi si riuniscono i ballerini tramite audizioni e si scritturano a progetto. La Spellbound è una delle poche compagnie italiane che riescono a sostenere uno spettacolo come questo, ossia popolare, di livello internazionale, dal linguaggio complesso e versatile, ma non affatto semplice. I risultati avuti con la Spellbound devo dire sono stati eccellenti.

E i suoi tempi di produzione?

A.G. Open è stato creato in tre mesi e rimontato sulla Spellbound in tre settimane. Un grande lavoro, che ha visto i danzatori impegnati ventiquattro ore su ventiquattro. Adesso siamo a fine tournée, abbiamo già fatto tre settimane iniziando in Italia e, poi proseguiremo in tutto il mondo: Brasile, Argentina, Nord Europa, Germania, Francia, Spagna, Asia…

Cosa vuol dire produrre adesso uno spettacolo di danza nel nostro paese?

A.G. O te lo fai da te o stai a casa e cambi mestiere.
Quello che facciamo in Italia all’estero varrebbe cento volte di più. Purtroppo ci manca una cultura dell’apprezzamento teatrale, probabilmente perché ciò che viene prodotto non è di alto livello e quindi non merita un riconoscimento. Open, invece, penso sia uno spettacolo che dovrebbe essere prodotto e rappresentato 365 giorni all’anno.

La differenza tra le produzioni indipendenti e le compagnie di produzioni private.

V.M. La nostra è una compagnia di produzione privata e stabile, lavoriamo annualmente grazie al finanziamento ministeriale che viene assegnato per legge solo alla produzione. Tuttavia nessuna delle compagnie lo utilizza effettivamente per produrre, esso viene impiegato per mantenere la struttura. La produzione può nascere quindi sempre e solo da un finanziamento, non esiste quasi mai in Italia la possibilità di produrre nel senso economico del termine.
A.G. Produrre inoltre ha un costo, senza soldi non si possono fare belle cose. Ritengo che si dovrebbero finanziare esclusivamente compagnie meritevoli, che riescono a portare il pubblico a teatro.

Nel futuro avete progetti in mente?

V.M. Lavoriamo day by day, siamo aperti a tutto.

POSTILLA CRITICA – breve recensione a seguito della visione di Open

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Foto di Angelo Redaelli

Quadri di movimento che si susseguono senza soluzione di continuità, sostenuti da un tappeto di musica per lo più classica e da un insieme di immagini in movimento proiettate su svariati pannelli mobili o sul fondale. Per chi non avesse mai visto uno dei più celebri lungometraggi Disney, Fantasia (1940), Open potrebbe suscitare un interesse diverso. Purtroppo chi invece ricorda a menadito l’ingresso del direttore Leopold Stokowski a sipario semichiuso, mentre l’orchestra si accorda e interloquire con la visualizzazione di una “colonna sonora” raffigurata come una vera e propria onda fisica, ritroverebbe nell’opera di Daniel Ezralow vista al Teatro Vascello e messa in scena dalla Spellbound Contemporary Ballet, immagini molto simili. Il richiamo, mai esplicitato, continua imperterrito: anche i brani tratti dal Principe Schiaccianoci di Čajkovskij, o della Danza delle Ore di Amilcare Ponchielli, giusto per fare qualche esempio, richiamano i movimenti riportati e perfino alcuni costumi (con delle variazioni, lo riconosciamo). Fortunatamente, alcuni passaggi originali, sfruttando anche la presenza dei pannelli e delle proiezioni, sicuramente strappano qualche sorriso e applauso per la volontà di mettere al centro il gioco e l’idea di stupore accattivante.
Per quanto non si possa non notare l’impegno dei danzatori, spesi, nell’arco di più un’ora, in evoluzioni modern e modern jazz, tra pas-de-deux (dal sapore molto televisivo invero) e dance floor, l’idea è che in generale l’operazione rischi di rimanere intrattenimento senza superare quella barriera che consacra l’arte da fruire “365 giorni l’anno”.

Lucia Medri, Viviana Raciti
Twitter @LuciaMedri @Viviana_Raciti

visto al Teatro Vascello in aprile 2014

OPEN
uno spettacolo diretto e coreografato da DANIEL EZRALOW
prodotto da BaGS entertainment
scritto da Daniel Ezralow e Arabella Holzbog
con SPELLBOUND CONTEMPORARY BALLET
assistente coreografo: Michael Cothren Pena
costumi America Appareil
OPEN è stato realizzato anche grazie al contributo di Illumia

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