Recensione di Il Castello di K. della Compagnia dei Masnadieri da Kafka
Gli studi relativi allo spazio scenico e ai suoi innumerevoli e anche imprevisti usi hanno da sempre interessato storici e critici. Del resto, il fare teatro implica l’esistenza di un’aerea definita: la strada, la piazza, un paese o l’ edificio legittimato e riconosciuto, sono solo alcuni dei contesti possibili, la cui scelta determina, caratterizzandola, la rappresentazione e la sua resa scenica.
La fisicità del luogo, l’ architettura e l’ arredamento, il modo in cui esso accoglie noi spettatori e la pièce agita dagli attori, sono variabili indispensabili che incidono sullo stare a teatro e sulla fruizione di un’opera. A tal proposito, capita molto spesso che la descrizione di uno spettacolo sia preceduta dalla percezione dell’ambiente in cui esso si è svolto, indice non della poca validità del lavoro, quanto piuttosto della sua capacità di offrirsi come esperienza. Lo spazio scenico è in fin dei conti un ecosistema, all’interno del quale attori e spettatori si incontrano e interagiscono tra di loro.
In Via della Penitenza vi sono due teatri, uno di essi (l’altro è il Teatro Agorà) è un piccolo teatro-salotto chiamato Stanze Segrete che dal 1998 occupa questa nuova sede. Nato nel 1992 in Via Garibaldi, esso si distingue per una programmazione dedicata non solo ai classici del teatro, ma soprattutto alla letteratura e alla poesia dei grandi autori. In questi giorni La Compagnia dei Masnadieri presenta Il Castello di K. di Massimo Roberto Beato e tratto dal romanzo di Franz Kafka Il Castello; la regia, affidata a Jacopo Bezzi, guida in scena lo stesso Beato, Nicoletta La Terra, Lorenzo Venturini, Brunella De Feudis e Ugo Benini.
K. è un agrimensore che giunge una gelida notte in un villaggio, si ferma in una locanda e, cercando ospitalità, sostiene di essere stato invitato dal Conte del castello per l’impiego lavorativo. Alla certezza di K. si contrappongono una serie di fraintendimenti e incomprensioni che sembrano dimostrare l’inesistenza della richiesta di impiego, perdutasi nelle intricate trame di una burocrazia farraginosa. Esiste, tuttavia, una lettera firmata da un certo funzionario Klamm, che attesta ufficialmente l’assunzione di K. nel ruolo di agrimensore.
Nell’adattamento teatrale la figura di questo funzionario della decima sezione, assume «la valenza di un ideale salvifico o diabolico legato indissolubilmente alla potenza del Castello, luogo che il protagonista fatica a raggiungere, spossato dalla stanchezza o avvolto dalla nebbia». La ricerca del protagonista K. diventa metafora dell’esistenza umana, in cui l’individuo è sempre ostacolato o imbrigliato; la riuscita e la rivalsa sono precluse e non resta che soccombere a un destino già stabilito, rispetto al quale prevale la resa.
Gli attori si muovono in questa stanza, segreta, che può ospitare al massimo quaranta persone assise sui posti intorno alla sala e dietro di essa, che si riflettono nel grande specchio centrale e negli altri posizionati sulle pareti, in modo da offrire una visione totale e da angolazioni diverse. L’azione scenica è così scomposta in un prisma sfaccettato, attraverso il quale è possibile seguire la narrazione da vari punti di vista. I personaggi – abbigliati con costumi tardo ottocenteschi e truccati come fossero presenze in bilico tra la vita e la morte– si muovono di fianco agli spettatori, i quali riescono a sentirne il profumo delle vesti e del loro maquillage, ascoltando il respiro così vicino e forte e prendendo parte alla scena nella scena. Lo spazio ristretto con la scala laterale che porta a un soppalco è stato attentamente studiato affinché la scena nella Cancelleria – in cui K. va alla ricerca del suo certificato di assunzione – rispecchiasse l’idea di una sovrastruttura macchinosa che ricopre immobilizzandola l’esistenza del personaggio. Gli attori indossano in questo quadro la mezza maschera, due si trovano in alto nel soppalco e tre in basso nella sala; citando articoli, passaggi burocratici e logistici, fanno volare i fogli delle innumerevoli scartoffie, che ricadono sul povero K. in preda alla confusione e smarrimento. Una precisione registica e drammaturgica impreziosisce la presenza scenica degli attori, i quali con oculata caratterizzazione e professionalità portano avanti questa intricata storia, la cui complessità sembra a tratti appesantire il racconto e distogliere l’attenzione degli spettatori.
Inseriti in un contesto particolare, che letteralmente fa trovare lo spettatore (anche con un leggero imbarazzo) in scena, si fruisce lo spettacolo in maniera inattesa, si osserva e si è osservati nello specchio, in un continuo gioco di rimandi; alla messinscena agita dagli attori, se ne aggiunge quindi un’altra, esperienziale e personale.
Lucia Medri
Twitter @LuciaMedri
Al Teatro Stanze Segrete fino al 6 aprile 2014
Vuoi qualche consiglio sugli spettacoli da vedere a Roma?
Teatro Roma – Spettacoli in Agenda
Ogni settimana gli spettacoli da non perdere, una guida per orientarsi fra i numerosi teatri di Roma
IL CASTELLO DI K.
di Massimo Roberto Beato
Dal romanzo “Il Castello” di Franz Kafka
regia Jacopo Bezzi
con Massimo Roberto Beato Nicoletta La Terra Lorenzo Venturini Brunella De Feudis e Ugo Benini
musiche di Angela Bruni