Teatro ragazzi, ne parliamo con il direttore di Aprilfestival
Sei giorni trascorsi a Holstebro, Danimarca, in occasione del 44° Aprilfestival, semplicemente il più grande e longevo tra i festival per il teatro ragazzi su scala mondiale, sono sufficienti per riempire gli occhi e il cuore. Un pezzo a parte sarà dedicato a dare conto dei molti spettacoli visti, in questo – più urgente ancora – si parlerà soltanto, in maniera specifica, di come funziona questa titanica impresa che dal 1971 si occupa di mettere in pratica dei principi culturali, sopravvissuti a tutti i cambi di governo perché fanno parte della Costituzione di questo piccolo stato.
Il nome di questa manifestazione già dice tutto: “Festival d’Aprile”. Nessuna specifica è necessaria a porre il focus su un particolare tipo di teatro, perché questa è appunto innanzitutto una festa di primavera, un’occasione di incontro per tutto il panorama nazionale e una splendida opportunità per occhi che vengono da altrove. Invito che chi scrive ha colto al volo.
Poche ore prima di prendere un aereo di ritorno verso Roma, ho qualche minuto per sedermi davanti a un caffè (non una birra, quindi, non alle tre del pomeriggio) con Henrik Køhler, il direttore del Teatercentrum e dunque direttore anche di un programma di 400 spettacoli, distribuiti in ogni parte di questo piccolo centro dello Jutland, Holstebro, fino a ora a noi noto solo perché sede del celebre Odin Teatret di Eugenio Barba. Ma l’Aprilfestival non ha casa qui, è un festival nomade. Ogni anno l’intera macchina si sposta di territorio in territorio, intercettando da quarantaquattro anni pubblici sempre diversi, «in stretta connessione con le amministrazioni locali». Come è possibile questo? Come si possono coinvolgere 400 compagnie di teatro ragazzi nella stessa città?
Se fossimo ad Avignone nel mese di luglio o a Edimburgo in agosto la risposta sarebbe, in fondo, la più ovvia: gli artisti pagano per prenotare uno delle centinaia di luoghi disponibili tra teatrini, cantine e vecchie fabbriche e uno spazio nell’enorme volume di carta che costituisce il programma. E poi si buttano in strada ad animare un vero e proprio carnevale, dove si cerca di trascinare il pubblico a vedere l’ennesimo Amleto o Cappuccetto Rosso. Un pubblico pagante, anche se a prezzi contenuti. L’organizzazione del Festival Off francese o del Fringe scozzese si occupa solo di mettere in moto e regolare questa macchina, senza tirar fuori un centesimo. E tutto diventa un’avventura ma anche un’impresa economica. Qui le cose funzionano in maniera diversa. Nella loro Costituzione c’è scritto, mi spiega Henrik, che «l’amministrazione locale che sostiene il teatro per i giovani ospitando un festival come questo, ha diritto a un rimborso di metà delle spese direttamente dallo Stato».
Quella che per il territorio è una forte promozione, in grado di muovere centinaia di visitatori, si traduce in un’offerta gratuita per il pubblico. Proprio così, tutti gli spettacoli – che vanno avanti in decine di spazi per dodici ore a partire dalle 9 di mattina – sono a ingresso totalmente libero. Chi voglia assicurarsi un posto, può fare un salto negli uffici convenzionati e ritirare un tagliando, ma «ogni passante ha diritto di entrare, fino a esaurimento posti». Vista la mole di compagnie ospitate e nessun pilotaggio finanziario, la mia prima domanda è ovviamente se esista una direzione artistica. «Il direttore del Teatercentrum è anche il responsabile organizzativo del festival, ma non è un direttore artistico. Hanno diritto a partecipare tutte le compagnie che vengono accettate da un apposito comitato». Si tratta di un gruppo di cinque professionisti del settore in carica per quattro anni su selezione mista: parte a carico dell’Arts Council (una sorta di ente pubblico costola delle istituzioni), parte di competenza diretta del Ministero della Cultura e parte su scelta delle associazioni di categoria connesse alle arti performative. «Tutte le compagnie che lavorano con il pubblico dei più piccoli presentano una candidatura (due volte l’anno), che viene valutata dal comitato su base di qualità, professionalità e pertinenza con la forbice di pubblico in questione. In un certo senso il criterio di “bello” o “brutto” passa in secondo piano». La valutazione – che da noi molto spesso avviene in maniera arbitraria o su base di video – qui non ha filtri: il comitato viene invitato a due grandi showcase annuali (in due diverse aree del paese) ed è chiamato a vagliare insieme le candidature solo dopo aver visionato i lavori. Il risultato è un catalogo annuale contenente, verosimilmente, «una mappatura completa dei gruppi di teatro ragazzi, che hanno così automaticamente accesso all’Aprilfestival».
Quindi, riassumendo, abbiamo: un comitato di esperti selezionati in maniera democratica e che ruota ogni quattro anni; una geografia completa dei gruppi operanti su tutto il territorio nazionale; un mastodontico evento annuale che cambia sede ogni anno intercettando sempre nuovi spettatori; per le compagnie non un cachet ma una reale chance di visibilità che deriva da tutti i fattori precedenti, ai quali si aggiunge il valore di poter, da regolamento, «vendere i propri spettacoli alla metà del prezzo». In altre parole, da un lato l’amministrazione che ospita il festival gode di un 50% sulle spese vive di rimborso diretto da parte dello Stato; dall’altro le compagnie possono vendere – per l’intera stagione successiva – i propri spettacoli ottenendo metà del pagamento dai committenti e metà dallo Stato stesso. Il tutto senza che gli spettatori tirino fuori mezza corona.
«Il festival, che da qualche anno riesce anche a ospitare degli eventi internazionali – pagati a cachet, ndr – e riesce a provvedere a quasi tutte le spese di alloggio e facilitazioni (reali!) per il vitto delle compagnie, propone nei giorni feriali performance non pubbliche, ma riservate solo agli alunni dei vari gradi di scuola, e nel weekend un fitto programma aperto a tutti». Tutto questo grazie anche all’aiuto di oltre 300 volontari raccolti sul territorio, molti dei quali andranno poi a ingrossare le file del personale organizzativo di tutto questo fiorente settore.
«La parte più eccitante e importante di tutta la preparazione – confessa Henrik – è quella in cui lo staff del Festival entra in contatto con il luogo che ospiterà l’edizione corrente: si instaura con le amministrazioni locali (qui divise in municipalità, ndr) un rapporto di reale collaborazione, la progettazione avviene a quattro mani nel continuo tentativo di creare un evento fatto su misura per il territorio», il che significa anche tentare di coprire il maggior numero di spazi possibili e sfruttare tutte le potenzialità. Oltre alle numerose scuole, palestre, stadi e centri culturali (il Musikteatret di Holstebro è una struttura polifunzionale all’altezza dei più alti standard internazionali) quest’anno un ruolo fondamentale l’ha avuto anche l’Odin, che ha messo a disposizione il teatro offrendo da dormire a molti ospiti internazionali, aprendo le porte del laboratorio e della biblioteca a un totale attraversamento, replicando spettacoli storici, accogliendo conferenze e dibattiti, fornendo risorse per visite guidate allo spazio e addirittura tour ambientali verso le coste del Mare del Nord.
E pensare che al piccolo ma agguerrito festival Teatro fra le Generazioni (di cui parleremo presto su queste pagine) organizzato dalla compagnia Giallomare Minimal Teatro a Castelfiorentino il tema di un incontro era “Il teatro ragazzi esiste?”. È il caso si sfoderare un bel “Ja”, il “sì” danese che è una delle poche parole imparate in sei giorni di permanenza. L’altra è “tak”: “Grazie”.
Sergio Lo Gatto
Twitter @silencio1982
Il 44° Aprilfestival si è svolto dal 30 marzo al 6 aprile 2014 a Holstebro, Danimarca.