A pochi giorni dall’apertura della mostra Frida Kahlo alle Scuderie del Quirinale di Roma (fino al 31 agosto 2014), era saltata fuori l’idea di fare uno strappo alla regola e uscire dal circuito solo teatrale, entrando nello storico spazio espositivo per raccontare la visita a questa retrospettiva, rivelatasi poi un’opera di cura davvero notevole, ricca di pezzi più e meno rari e piena di spunti critici. Ma un articolo interamente dedicato all’arte visiva ci era per un attimo parso fuori luogo su queste pagine e avevamo colto al volo un pretesto: al Piccolo Eliseo sarebbe stato in scena per due settimane lo spettacolo Frida Kahlo – Il ritratto di una donna di Alessandro Prete, Igor Maltagliati e Luca Setaccioli. Davvero un vero e proprio insulto all’intelligenza del pubblico.
Lo splendido spazio delle Scuderie del Quirinale accoglie a meraviglia 130 opere dell’artista messicana grazie a un’intelligente visione cromatica, che non si limita a restituire agli occhi del fruitore un contorno di colori “tipicamente messicani” (arancione, viola, verde, azzurro), piuttosto ricrea da dentro l’evoluzione di una personalità complessa. L’apporto di certo materiale fotografico (come gli scatti di Nickolas Muray, così sorprendentemente attuali nel trattamento dei colori) e video completa un quadro davvero raffinato da un punto di vista documentario, così come i pochi ma significativi dipinti di Diego Rivera – pittore per lo più dedito al murale, mentore ed eterno compagno di vita di Frida – fungono da specchio necessario per comprendere sì le evoluzioni di una maestria immaginativa, ma anche i cunei severi di una vita tormentata e segnata dall’infertilità e dalla malattia, sempre attaccata con passione al senso dolce delle cose che finiscono.
Dei celeberrimi impassibili autoritratti in cui gli occhi neri di Frida risucchiano letteralmente lo sguardo di chi osserva dentro una spirale ipnotica; degli sfondi struggenti nel loro colore compatto e brillante; dell’inquietante esplodere, negli ultimi anni della malattia, di visioni surreali e millenariste; di quello “slancio vitale” con cui Frida rileggeva l’intera tradizione folklorica messicana dentro i ritmi e gli accenti della contemporanea pittura magico-realista; di tutto questo non rimane niente nell’abbozzo disegnato dalla regia di Alessandro Prete. Lo spettacolo, elaborato insieme ad Alessia Navarro e Pino Insegno, si fonda su quel (reale e dichiarato, invero) intento programmatico che sta dentro l’opera di Frida: essere una voce per tutte le donne. E però il senso politico e fortemente legato al contesto storico – quello che proveniva dalla Rivoluzione Messicana di Zapata e avrebbe portato il paese a contatto con le influenze nordamericane –; l’esplosiva carica poetica e critica di quell’affermazione, sputata in faccia da una borghese agli altri borghesi che si credevano detentori di una potenza rivoluzionaria solo apparentemente filocomunista, niente di tutto questo viene colto dallo spettacolo, che si rivela essere un goffo susseguirsi di scenette intervallate da opprimenti intermezzi di danza squisitamente televisiva.
La pedana rotante del Piccolo Eliseo diventa il giocattolo preferito del regista, che in tutti i modi, nel pedante cambio di prospettiva e ancor di più nella voce microfonata dei doppiatori (ché attori non sono, assente com’è il corpo) cerca disperatamente un’aderenza al modello della peggiore fiction. Frida compare nei propri abiti “filologici” solo nella prima e nell’ultima scena, ovviamente seduta davanti a una grande tela. Tutto ciò che c’è in mezzo procede a partire dai quadri della pittrice riprodotti sul maxischermo di fondo e che dovrebbero ispirare al drammaturgo (se ve ne fosse davvero uno) delle scene allegoriche in cui la donna «è tutte le donne», tra episodi di violenza domestica, amori omosessuali e tentativi di rivalsa. Accompagnata da una musica che va dalla strimpellata di piano à la Giovanni Allevi al tango (il tango non era argentino?) fino a improbabili pezzi rap-crossover ispanici, senza concedere un attimo di tregua, l’operazione è del tutto priva di inventiva e, cosa ben peggiore, si prende sul serio come se fosse il “Vangelo secondo Frida”. Se la prima metà (lo spettacolo dura la bellezza di 1 ora e 45) si riesce a ridere di questa operazione così a buon mercato, che tenta di trasferire sul palco il peggio della televisione e del talent show, nella seconda parte sale il batticuore, mentre si realizza il reale danno di operazioni simili e ci si chiede come lo stesso teatro possa ospitare Valter Malosti e poi un lavoro simile. Raramente ci era capitato di sentirci così imbarazzati di fronte a simili attentati all’arte.
L’unica cosa degna di sguardo sono i quadri di Frida proiettati sullo sfondo, molti dei quali meno conosciuti e non presenti alla mostra, di una potenza visionaria talmente forte da vincere contro il bieco tentativo di rovinarli tramite una elementare elaborazione grafica da presentazione in Power Point. C’è tempo fino alla fine di agosto per andare ad assaggiare il vero miele di questa artista straordinaria. Dentro un ottimo allestimento, e il più lontano possibile dallo spettacolo che, con tanto di patrocinio dell’Ambasciata del Messico e il sostegno delle Scuderie del Quirinale (ecco spiegati i cartelloni 6×3 che tappezzavano Roma), vi si è indebitamente legato.
Sergio Lo Gatto
Twitter @silencio1982
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FRIDA KAHLO
curata da Helda Prignitz-Poda
20 marzo – 31 agosto 2014
Scuderie del Quirinale, Roma
1 – 13 aprile Piccolo Teatro Eliseo – Roma [cartellone 2013/2014]
FRIDA KAHLO – IL RITRATTO DI UNA DONNA
di Prete, Maltagliati, Setaccioli
con Alessia Olivetti, Ettore Belmondo, Cristina del Grosso, Claudio Garrubba
corpo di ballo Marta Mearelli, Ilenia Jodice, Maria Celeste Sammarco, Marco Passarello
regia Alessandro Prete
Grazie per il vostro articolo… per la grande sensibilita’ e onesta’ rara nel mondo delle “convenienze” .
Ci sono andata anch’io piena di gioia e aspettative e MI SONO ALZATA E SONO USCITA durante lo spettacolo con grande rabbia e in segno di rispetto verso la grande donna-artista che amava la verita’.