Recensione de La tempesta di William Shakespeare con la regia Valerio Binasco
Stimolati dal prologo della Tempesta shakespeariana nella quale il Bardo trascina tutti su una nave nel bel mezzo di una burrasca, fior di registi hanno dato fondo alla propria capacità inventiva, favorendo nella mimesi il racconto, appoggiandosi sulla metafora, districandosi tra le trovate scenotecniche. Per quella che da molti studiosi viene definita come la sua ultima opera pienamente riuscita, il suo commiato al teatro, nessun suggerimento meta teatrale che ci inviti a completare con l’immaginazione le meraviglie raccontate in quella “O di legno”, ma frasi concitate tra marinai che temono per la propria vita. Tuttavia nell’adattamento della Popular Shakespeare Kompany di Valerio Binasco in scena fino al 16 marzo al Teatro Vascello, non un ingresso pieno di effetti speciali, nessun telo che svolazzi a suon di tuoni d’alluminio, ma un’entrata in scena volutamente sottotono, laterale, sommessa, preparazione a un rito, un incantesimo.
Regista nonché traduttore, Binasco vestirà i panni di Prospero, duca di Milano interessato più alle arti magiche che agli affari di palazzo, spodestato e tradito dal fratello, in un esilio coatto su una recondita isola dove aspetta assieme alla figlia Miranda una vendetta che sembra impossibile. Lo accoglieranno un insieme di quinte rossastre e qualche rametto di legno – unici oggetti a riempire il palco crudo con balaustre e cordami a vista, in questa nave fatta per soli attori. Il mago si inchinerà in proscenio, la tempesta che sta preparando per spingere i propri nemici a naufragare sulle sue stesse rive e dare il via all’azione non è sul palco, sta oltre, sguardo lontano al di là del pubblico. Ne sentiremo il rombo, vedremo la determinazione di lui o la disperazione della figlia che non comprende le azioni del padre perché ne ignora le radici.
Basti ciò per capire su cosa si sia concentrata la compagnia: portare sulla scena le parole del Bardo a una familiarità di linguaggio evitando lo stravolgimento del valore letterario ma centrando su un’asciuttezza funzionale di mezzi il proprio adattamento. Non saranno le trovate comiche fini a sé stesse, come il “selfie” scattato dai due traditori o i costumi a determinare più di tanto questa contemporaneità (peraltro giacca e cravatta saranno prerogativa solo della corte nemica, agli esiliati tocca una foggia molto meno caratterizzata); di queste al pubblico rimane al più un fuggevole sorriso. Ciò che si lascia apprezzare con maggior durevolezza è questa compagine di attori, in cui ognuno costruisce un proprio specifico atteggiamento corporeo, un linguaggio, una storia che rinvigorisce l’interpretazione senza snaturarla. Mentre Ariel, spirito del vento che invoca la libertà dal padrone mago, è un vecchietto stralunato, un tipo à la Buster Keaton dalle ginocchia tese, t-shirt stampata e occhialetti, Calibano, mostruoso figlio di streghe e diavoli, trova forza in una costrizione affaticante, deformati il viso e le dita e da elastici sembra essere l’unico personaggio tragico; si riderà di lui senza comprenderne il dolore della solitudine e dell’estraneità. Asciugati certi toni a volte un po’ debordanti e stringati certi ritmi un po’ meno sostenuti, i personaggi si ritroveranno nell’espressività attoriale completando quel processo di restituzione essenziale tale per cui, ad esempio, la freschezza di una Miranda, scomposta e ingenua bambina cresciuta lontano della rigidità di corte, risalti appieno.
Elidendo gran parte della componente magica presente nell’opera così come i presunti connotati colonialisti spesso attribuiti al protagonista, ciò che sembra allora emergere da questa messinscena è un’umanità bonaria in cui alla fine tutti troveranno una riconciliazione, il proprio tornaconto la propria sete di giustizia si placheranno, la mostruosità si riconoscerà come propria, accettandola. Quell’ingresso in minore non è difetto di rappresentazione ma segno scenico; non c’è sempre bisogno di grandi sfarzi, di soddisfare manìe di grandezza, cercando nella vendetta l’unica via per soddisfare la propria giustizia. Rimanere umani, e comprendendo il dolore, lo sforzo, l’errore, gettare gli orpelli e tornare alla vita.
Viviana Raciti
In scena al teatro Vascello fino al 16 marzo 2014
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LA TEMPESTA
di William Shakespeare
Regia di Valerio Binasco
con Alberto Astorri, Valerio Binasco, Fabrizio Contri, Andrea Di Casa, Simone Luglio, Gianmaria Martini, Deniz Ozdogan, Fulvio Pepe, Sergio Romano, Roberto Turchetta, Ivan Zerbinati
Musiche originali Arturo Annecchino
Scene Carlo de Marino
Costumi Sandra Cardini
TSI La Fabbrica dell’Attore – Popular Shakespeare Kompany