Luigi De Filippo con Il berretto a sonagli. Recensione
Entrando al Teatro Parioli di Roma, dietro il bancone del botteghino su cui affaccia l’ingresso principale, in una cornice grande c’è una fotografia antica, bianco e nero, di volti che guardano verso chi si presume abbia operato lo scatto. Tra i volti, due: Luigi Pirandello e Eduardo De Filippo, si fiancheggiano e misurano la posa che li eterna, ma nulla sanno di dove giungerà quell’immagine e, con essa, la gittata della propria opera. Guardano di fronte, un tempo verso il fotografo, ora verso chi entra in quel teatro, idealmente verso le epoche che hanno visto scorrere i propri testi, le indicazioni delle messe in scena, le atmosfere dei loro lasciti testamentari alla storia teatrale del Novecento. È una sensazione forte quella che coglie, soprattutto se si sta per assistere a una replica de Il berretto a sonagli, commedia in due atti scritta da Pirandello nel 1916 (prima in dialetto siciliano poi nel 1923 rappresentata in italiano) e che l’autore di Agrigento concesse nel 1936 a Eduardo perché la traducesse in dialetto napoletano. È il nipote Luigi De Filippo, figlio del fratello Peppino che oggi a questo teatro romano dà anche il nome, a recuperarne l’intenzione e portarlo sulle scene contemporanee con la sua compagnia.
Ciampa (Luigi De Filippo), servitore umile ma mai umiliato di una nobile famiglia, è posto nel mezzo di un intrigo che la capricciosa e gelosissima signora Beatrice (Francesca Ciardiello) mette in atto per rivelare il presunto tradimento del Cavaliere, suo marito, proprio con la bella Adelina (Claudia Balsamo), moglie del servitore. Grazie all’aiuto della solerte Saracena (Stefania Aluzzi), abile nei complotti quanto non a conservare una reputazione, Beatrice in assenza del marito chiamerà in campo al suo servizio uno stuolo di personaggi che dovranno dar seguito, coscienti o meno, ai suoi propositi: il fratello Federico (Giorgio Pinto), che le deve soldi in prestito persi al gioco, la timorata governante Nannina (Stefania Ventura), il Commissario Spanò (Vincenzo De Luca) legatissimo alla famiglia per antichi favori ricevuti, lo stesso Ciampa che ignaro di tutto viene spedito per una missione nella grande città, Napoli, così che non possa coprire – secondo la signora – le malefatte di cui è complice. Dopo il ritorno in paese del Cavaliere, per un equivoco il piano viene attuato e i due innocenti fedifraghi arrestati, ma presto rilasciati per non aver commesso il fatto. Così allora, dopo il ritorno in casa della madre di lei (Marisa Carluccio) e di Ciampa dalla “missione”, si tenta di salvare insieme il capriccio e la dignità, ma Ciampa è più abile e sa che per tornare ad avere rispetto dovrà fare in modo che Beatrice si dichiari pazza. Egli vincerà, perché sarà l’unico ad aver capito che la pazzia dalla verità non è così lontana, ne è un’estremizzazione, un calco stilizzato e tirato agli angoli, finché se ne perda il legame con la realtà.
Un interno aristocratico, dove le vicende colorano di tragedia una commedia, non riuscendo e pertanto finendo in commedia di nuovo, dove l’etichetta strozza la naturalità dell’azione, lo sfarzo sostituisce la pulsione, traducendovi calcolo. Alcuni di questi meccanismi svelati dalla scrittura pirandelliana si affacciano tra specchi e tendaggi, nature morte e mobilio da salotto, nella scene pensata da Aldo Buti perché De Filippo vi innesti il dispiegarsi della storia. Una scelta di regia, già in origine assai ipotizzabile, è legata al gruppo di attori che dà vita all’intrigo e alla soluzione; essi sono certo affiatati e la calata dialettale li favorisce nell’interazione, fra di loro e nell’accoglienza del pubblico, ma nello sviluppo dei personaggi cedono fin troppo allo stereotipo, alla maniera, sterilizzando gli accenti meno prevedibili in una comoda, e per questo meno intrigante, riproposizione tradizionale. De Filippo dispone per sé la parte di Ciampa, da attore navigato pone subito le cose in chiaro e rivela la sua dignitaria furbizia già in principio, ma questo un po’ attutisce l’evoluzione, anticipando fin troppo della rivalsa del personaggio verso le trame che lo coinvolgeranno. Come visibile dalla ripresa televisiva del 1981, Eduardo non lesinava la propria pazzia per innescare quella di Beatrice, questo nuovo Ciampa è mite e il suo innescare è quasi un consiglio, appunto, privo della necessaria potenza perché divampi – occhi negli occhi – il fuoco della follia.
Pirandello. De Filippo. Una riflessione, oltre questo spettacolo, li lega indissolubilmente se si vuole parlare di scrittura teatrale nel contemporaneo. Il loro impianto creativo si riferiva a un mondo abituato all’ascolto e disposto a considerare la parola teatrale come letteraria, efficace nella crescita culturale, non mero intrattenimento. Così la loro scrittura è stata sempre un’occasione per accogliere accenni filosofici, esistenziali, sia individuali che collettivi, all’interno di una vicenda che li esplicitava nell’azione. È la società italiana di oggi, depauperata della storica ricchezza teatrale e letteraria per sua stessa mano, a raccogliere in sé quell’accesso alla follia. Oppure siamo pazzi noi perché, come dice lo stesso Ciampa nel finale, crediamo di dire la verità.
Simone Nebbia
Fino al 23 marzo 2014 al Teatro Parioli – Peppino De Filippo
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IL BERRETTO A SONAGLI
commedia in due parti di Luigi Pirandello
versione di Eduardo De Filippo
con gli attori della “Compagnia di Teatro Luigi De Filippo”
Luigi De Filippo, Stefania Ventura, Francesca Ciardiello, Giorgio Pinto, Vincenzo De Luca, Claudia Balsamo, Marisa Carluccio
regia Luigi De Filippo
scene e costumi Aldo Buti
Foto di scena Samanta Sollima
Acconciature Marta Tarulli