Recensione di Bohème di Vico Quarto Mazzini
Michele Santeramo, cofondatore e autore della compagnia pugliese Teatro Minimo, ci ha insegnato più volte – a parole e, ancor di più, con il lavoro – che se esiste un modo per non far morire il testo drammatico e anzi per assicurargli una cittadinanza lunga intere decadi è quello di ancorare saldamente la scrittura alla realtà del presente. Questo non significa di certo limitarsi a raccontare fatti di cronaca, ma anzi immaginare che nel tessuto del presente esistano delle connessioni inaspettate, delle sorprese oscure che uniscono il complesso degli eventi e le sinapsi di un pensiero creativo, creando così sul palco un altro stato (necessariamente ibrido) della realtà. Grazie a questo patto – che finalmente non chiede per forza al pubblico una identificazione, né un’adesione – può avvenire un cortocircuito fondamentale, che riporta l’urgenza dentro il racconto poetico. Immaginare, dunque.
Bohème, il testo di Gabriele Paolocà e realizzato in scena da lui insieme a Michele Altamura, Nicola Borghesi e Riccardo Lanzarone, immagina che dopo 90 anni di morte (vissuta come «liberazione dalla vita») Giacomo Puccini torni sulla terra per andare a incontrare nientemeno che il fantomatico Ministro della Cultura. Un Ministro che indossa un completo da pagliaccio bianco rosso e verde, parla con forte accento emiliano – coincidenza o no, l’attuale ministro Franceschini è nato a Ferrara –, ostenta una falsa riverenza, non saprebbe nominare neppure un’opera del grande compositore, che infatti chiama Gianni, ma è convinto che per rilanciare la cultura italiana serva proprio questo: un grande del passato redivivo e pronto a dotare il Paese di una nuova identità comunitaria. Ragionamento piuttosto familiare agli italiani di oggi. Puccini dovrà vedersela con Rodolfo, uno degli «zingari» – così si ostina a chiamarli il Ministro – squattrinati protagonisti della celebre Bohème, riluttante all’idea di prestarsi a questo tradimento di ideali di purezza artistica che, se anche morti, lui vorrebbe vedere almeno trattati con rispetto.
La prova di Vico Quarto Mazzini, gruppo tutto al maschile nato di recente in seno alla feconda Civica Accademia “Nico Pepe” di Udine e che ha ottenuto diversi riconoscimenti nazionali e si è avvicinato molto al conterraneo Teatro Minimo, è di alto livello: l’occhio attento ai mali del presente agisce sotto la lente di un linguaggio molto libero dai cliché e guidato da una grande energia creativa. Il testo di Paolocà (in scena come Puccini) è semplice e scorrevole, raggiunge qua e là qualche punta di grande incisività – tra tutti il monologo finale, recitato in voce off da un bambino mentre in scena il Ministro è intento a “lavare i suoi panni” –; nel suo poggiare agilmente sulla nerboruta performance dei tre attori (la sfuriata di Rodolfo/Nicola Borghesi è davvero desolante) e su pochi e potenti simboli visivi sta la forza di questo bel brano di drammaturgia.
A questa già coesa compagnia basterebbe forse credere ancora di più in questi punti di forza, asciugando qua e là certe scene più “facili” il cui ruolo strategico è spesso meno necessario del previsto e alleggerendo quelle di passaggio che impiegano cambi di luce (manovrata a mano) ed effetti macchinosi un po’ posticci. Ma ecco un teatro semplice e diretto che parla dell’oggi senza rinunciare a parlare del teatro stesso e dei suoi mezzi insostituibili, come un’immaginazione dinamica e la forza dei corpi.
Sergio Lo Gatto
Twitter @silencio1982
visto al Teatro dell’Orologio di Roma in marzo 2014
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BOHÈME!
di Gabriele Paolocà
diretto da Michele Altamura, Nicola Borghesi, Riccardo Lanzarone, Gabriele Paolocà
interpretato da Michele Altamura, Nicola Borghesi e Gabriele Paolocà
assistenza alla regia Nicolò Giangaspero
scenotecnica Michelangelo Volpe
produzione VicoQuartoMazzini in coproduzione con Festival Castel dei Mondi
con il sostegno di Teatro dell’Orologio, Straligut Teatro, Teatro Kismet Opera, La luna nel letto, Teatro Minimo